Carlos Alcaraz ha battuto Jannik Sinner. Ma la vera partita, fuori dal campo, è un’altra: quella giocata sul piano dell’immagine. Perché Alcaraz divide. C’è chi lo considera “figo”, magnetico, affascinante, e chi invece storce il naso: niente lineamenti scolpiti, niente estetica da copertina. Eppure funziona, conquista, attira. Perché?
Forse perché la bellezza, quella vera, non è mai una questione di simmetrie perfette. Albert Camus scriveva che “la bellezza non è mai persuasiva, ma inquieta”. Un’inquietudine che non respinge, ma che affascina: perché nella sfumatura, nel mistero, nel non immediatamente comprensibile, spesso si nasconde la vera attrazione.
Roland Barthes parlava di punctum, quel dettaglio che ti colpisce e ti resta addosso. Nel caso di Alcaraz, il punctum non è un tratto del volto, ma il suo modo di prendersi lo spazio: la velocità, la potenza, la spontaneità. Gioca, vive il gioco, e proprio per questo è magnetico.

Se i social ci hanno abituati a volti levigati, corpi scolpiti e sorrisi standardizzati, la fascinazione che Alcaraz esercita nasce dall’autenticità, dall’imperfezione, dal non costruito. E soprattutto, dalla soggettività della bellezza: quella che colpisce per caratteristiche personali, per il carisma, per la presenza, per un gesto o un’energia, non solo per un volto o un corpo perfetti.
Milan Kundera ricordava che “il cervello sembra possedere una speciale area che potremmo chiamare memoria poetica, e che registra tutto ciò che ci incanta o ci tocca, che rende la nostra vita bella”. Una bellezza che non si misura in centimetri o muscoli, ma in emozioni, sensazioni, ricordi. Proprio come nella Recherche di Marcel Proust: il sapore della Madeleine risveglia emozioni e dettagli del passato, restituendo un mondo intero di ricordi, attraverso un gesto apparentemente semplice. La bellezza, allora, non è nelle proporzioni perfette, ma nella capacità di farci sentire qualcosa e di imprimersi nella memoria e nel cuore.

Il campo da tennis, dopotutto, è un teatro fatto di gesti estetici e narrazioni.
Alcaraz è imperfetto, ed è proprio questo a renderlo più vicino, più umano.
Simone de Beauvoir scriveva che “non si nasce donna, lo si diventa”; parafrasando, potremmo dire che non si nasce belli, lo si diventa: nell’intensità, nell’autenticità, nella presenza.
Perché la vera bellezza, oggi, non è quella che appare perfetta o artefatta, ma quella che resta impressa. E Alcaraz, nel suo modo imperfetto e vibrante, è già un’immagine che non si dimentica.