Mettendo una ruota in una piccola buca di una maledetta curva di Sepang, Pecco Bagnaia non ha perso un titolo mondiale, ma ha dimostrato ciò che tutti dovremmo sapere sempre: solo l’imperfezione sa essere perfetta. Ok, a caldo è venuto da dire altro e con ben altre parole, mentre Bagnaia col suo casco nero spuntava dalla ghiaia dietro la sua Desmosedici tutta rossa sgraziatamente coricata su un lato. E pure mentre, dopo una camminata sconsolata di qualche metro, piegava quel casco verso il basso chiudendoci dentro, probabilmente, lacrime e rabbia, frustrazione e delusione. Per cosa? Non per un errore. Non è volontà di difendere a tutti i costi il campione del mondo, ma più cinicamente la presa di coscienza che ridurre tutto alla caduta nella Sprint di Sepang sarebbe un non rendere il giusto onore allo sconfitto, e meno che mai al vincitore, del titolo mondiale della MotoGP 2024. Pecco Bagnaia e Jorge Martin, a prescindere da come andrà (e ricordandoci ogni secondo da adesso all’ultima curva di Barcellona che non è ancora finito niente), hanno preso a carezze (non a schiaffoni) la perfezione sin dal primo giorno di marzo. Migliorandosi. Giocando al rialzo. Cadendo come cadono gli umani ogni volta che arrivano a un passo dal disumano. O dal divino.
Non c’è un pilota che ha sbagliato e non c’è uno che non ha sbagliato. C’è stato, molto più semplicisticamente, un modo di affrontare le corse, di stare nelle corse, diverso. E paradossalmente diametralmente opposto. E c’è un sistema che inevitabilmente deve premiare uno solo. Nel caso specifico quello che porta a casa più punti rispetto a quello che vince di più. Dieci GP vinti e sei Sprint sono troppo, decisamente troppo, per pensare che Pecco Bagnaia abbia perso il titolo cadendo in una maledetta buca a Sepang nel bel mezzo di una Sprint. E questa stagione ha già riservato così tante sorprese che chi parla già di sentenza emessa rischia di rimangiarsi tutto domani. Non è una gufata, sia inteso. E’ un ricordarsi, e ricordare, che due che rasentano la perfezione stanno pure sempre a meno di un pelo dall’imperfezione. E sono pure pronti a pagarla. Vincere o niente è una delle scelte sui modi di stare nelle corse e si contrappone al fare il massimo fino all’evidenza che c’è da accontentarsi. Jorge Martin ha potuto permettersi il secondo modo, Pecco Bagnaia no. Dove sta l’errore?
Chi poteva pensare che Bagnaia, il preciso e maniacale Bagnaia, si sarebbe steso nella Sprint del penultimo fine settimana? Tra l’altro in seguito alla premura di aver frenato un attimo prima per evitare di finire risucchiato dalla scia? Nessuno! E allora perché quasi tutti oggi pensano che Jorge Martin ha ormai vinto il titolo mondiale? L’unica vera sentenza è che di premure, a volte, ci si ferisce pesante. In quell’affermazione di Bagnaia, “ho bisogno che qualcuno si metta in mezzo”, non c’è l’appello a un fantomatico biscotto o robe così, c’è semplicemente l’analisi oggettiva di una situazione che è sì critica e disperata, ma non del tutto impossibile. E la storia è piena di colpi di scena e pronostici sovvertiti e pure la MotoGP, visto che fino a poche ore fa la stragrande maggioranza degli appassionati, nonostante i 17 punti di vantaggio di Martin, sosteneva che Pecco avesse ancora qualcosa in più. Non fosse altro che per i colori della moto che guida.
C’è un altro gran premio da correre almeno e quella buca, come altre, sta ancora lì per tutti. A Sepang come a Barcellona, magari sotto un’altra forma e in un altro punto. No, lo ripeto, non è una gufata, ma un rendere onore a Martin prima di tutto perché se vincerà non sarà giusto neanche minimamente pensare che sia stato Pecco a servigli il titolo su un piatto d’argento. 29 punti sono tanti, ma sono solo 4 in più di un eventuale bottino pieno da far corrispondere a un bottino zero. Con un GP lungo, una Sprint e un altro GP lungo da giocare. E chi è guerriero davvero ha il dovere di crederci. Magari ricorrendo pure alla letteratura antica e a quel passaggio potentissimo dell’Eneide in cui un giovane e senza ormai più armi, Julio, riuscì incredibilmente a avere la meglio sul potente Numano, meritandosi un’esortazione che poi con Voltaire è diventata fondamento anche di quella corrente di pensiero che ha elevato la ragione a dio: macte animo, puer, sic itur ad astra (coraggio, ragazzo, è così che si raggiungono le stelle). Ci sarà un vincitore, ci sarà comunque un vinto, ma se c’è qualcosa che non c’è stato proprio tra due capaci di avvicinarsi così alla perfezione, alle stelle, quel qualcosa è l’errore.