Olimpiadi di Parigi, finale del fioretto maschile. La medaglia d'oro è contesa tra l'italiano Filippo Macchi e l'hongkonghese Cheung Ka Long. Dirigono la sfida un arbitro di Taipei, Hao Huang, e il suo assistente sudcoreano, Sang Suh. Andiamo subito alla fine del match: Macchi viene "derubato", perde la sfida a causa di due topiche degli assistenti di gara, che sul 14 pari e per ben due volte non se la sentono di assegnare la stoccata vincente all’azzurro. Poco dopo Macchi perde al terzo assalto. Giovanni Malagò è una furia. Raramente giornalisti e operatori del mondo dei media lo hanno visto così agitato. Al termine del duello, il presidente del Coni prende infatti la parola e si sfoga ai microfoni Rai: “Una porcheria mai vista, una vergogna. Non si fa così, due volte (l'arbitro ndr) non ha avuto le pal*e di dare la stoccata vincente a Filippo, e alla terza ha completato l’opera. Pazzesco. Andiamo a fare reclamo, non servirà a nulla, ma è il minimo che possiamo fare”.
All'inizio dell'articolo abbiamo citato le nazionalità dei protagonisti della finalissima: un italiano, un hongkonghese, un arbitro di Taipei (Taiwan) e un assistente sudcoreano. Malagò ha fatto bene ad infuriarsi, e altrettanto bene ha fatto a sottolineare l'incapacità tecnica dei due direttori di gara. Che, sul 14-14, hanno rivisto al video due stoccate di fila dell'azzurro, senza decidere né assegnare la vittoria a Macchi. Una vittoria che sembrava evidente, dato che l'italiano ha dato effettivamente l'impressione di aver colpito per primo il suo sfidante. Non per la coppia di arbitri asiatici, che non hanno deciso salvo poi rivedere una terza stoccata contesa assegnandola a Cheung. Il presidente del Coni, dicevamo, ha fatto bene ad infuriarsi. Ha però proseguito nel suo sfogo mettendo sul tavolo una scusante abbastanza ridicola: il fatto che Hao Huang e Sang Suh fossero asiatici come il fiorettista Cheung. “Senza entrare nel dettaglio della stoccata c’è un problema di fondo, è inaccettabile per la credibilità di questo sport che i due giudici venivano uno da Taipei e uno dalla Corea del Sud. Dice che sono stati estratti a sorte, ma se il primo è asiatico il secondo devi prenderlo dall’Europa. Non voglio dire che è cattiva fede, ma le polemiche hanno un loro fondamento. Siamo stanchi di questa situazione”, ha tuonato ancora Malagò.
Al netto degli oggettivi errori commessi dai direttori di gara e dei criteri alla base della loro selezione, il discorso sulla nazionalità asiatica di questi due tizi è un clamoroso buco nell'acqua. O peggio ancora, dà l'idea di essere la classica arrampicata sugli specchi. Il motivo è semplicissimo, e per spiegarlo serve fare una mini lezione di geopolitica. Un arbitro di Taiwan, isola che ragiona da Paese indipendente ma che la Cina rivendica come parte integrante del proprio territorio (uno status silenziosamente riconosciuto da tutti, tranne che dal Vaticano, dal Paraguay e da una manciata di altri Stati secondari), non avrebbe alcuna ragione di favorire quello che in sostanza è un “nemico”. E cioè un atleta proveniente da Hong Kong, quindi dalla Cina. Allo stesso modo un assistente della Corea del Sud, Paese che con i vicini cinesi condivide un vitale rapporto commerciale ma poche altre simpatie, non avrebbe interesse a favorire un hongkonghese rispetto ad un italiano. In sostanza, se Hao Huang e Sang Suh fossero stati francesi, spagnoli o tedeschi (comunque europei) non avrebbero comunque fatto vincere Macchi data la loro scarsa preparazione. Malagò se ne faccia una ragione e aggiusti il tiro delle sue legittime, e in questo caso giuste, polemiche.