Ci vogliono le Olimpiadi per vincere l’oro dell’imbecillità. Dopo la croce scomparsa dall’illustrazione della locandina per Parigi 2024 ora tocca all’ultima cena queer (fatta passare per un banchetto dionisiaco), una carnevalata che somiglia, senza troppi eufemismi, a quei gay pride che uno scrittore omosessuale come Alberto Arbasino definiva “l’orgoglio del sedere”, che è poi il senso opposto al cervello per definizione: se non pensi con la testa, pensi con il cu*o. Così i registi, le alte cariche, i supervisori e le drag queen hanno pensato bene di dare per primi l’esempio mostrando quel sentimento di inclusività di cui tanto si riempiono la bocca, spesso con un impeto eugenetico che facciamo fatica a criticare – pena diventare nemici del progresso – e che un intellettuale inglese, anche lui omosessuale, Douglas Murray, ha definito “pazzia delle folle”, ma potremmo anche dire “follia delle piazze”. Perché è a favore di telecamera e en plein air che va in scena l’antiarte, nel senso di ciò che si oppone drasticamente a tutta l’arte degli ultimi dieci secoli. Antiarte, che è arte, sia chiaro – nessuno potrebbe sostenere che arte è solo ciò che è anche cristiano o rispettoso del cristianesimo (a partire dalla prostituta morta nel Tevere usata come modello da Caravaggio per la sua Morte della Vergine). E va bene così, perché è ciò che si chiede allo spettacolo, cioè farsi guardare. Ciò che non torna è come tutto questo dovrebbe rappresentare il “mondo nuovo” (altra definizione distopica che potete andare a cercare) e l’uomo, la donna, l’entità nuova, l’otreuomo, l’oltredonna, il nietzschiano prototipo del nazista di cui si parla accuratamente solo in un libro recente, in mezzo a tanta altra letteratura cospirazionista da una parte e dall’altra, Nietzsche l’iperboreo del filosofo Paolo Ercolani.
Niente a che fare con le drag queen che per la prima volta nella storia portano la fiaccola olimpica (giusto) e niente a che fare con la presenza di queste artiste in un evento tanto importante (giusto). La domanda è un’altra. In che modo sarebbe giusto finire di prendersela con le minoranze per iniziare a prendersela con Cristo, che è la minoranza per antonomasia, l’individuo lasciato da solo dal suo popolo, dai suoi discepoli, persino da suo Padre. Ora anche la Bibbia è queer e pare che l’immaginario sia più o meno quello visto in televisione a Parigi: un baccanale in costume da bagno, con tante piume e tanto trucco e, probabilmente, poche o cattive letture. Cattive letture perché è difficile immaginarsi una fonte letteraria in grado di giustificare questo svuotamento di senso, questa finta provocazione vecchia di cento anni che diventa più scherno, quasi vendetta, fatta con i mezzi della società dell’intrattenimento. C’è una parola che si annida nei movimenti e nel racconto dell’ultima cena, quella vera, ed è Grazia. Esiste la sorella minore, la grazia, che è l’eleganza, il buongusto, tutto fuori moda. Anche in queste Olimpiadi.