Sono tutti belli, bellissimi, in casa Ducati nel giorno di Francesco Bagnaia a Valencia. La felicità rende memorabili le espressioni di un godimento che non ha paragoni, che trasforma e che cambia. A ognuno il suo, da Pecco incredulo, emozionato, che si fa trascinare, abbracciare, sollevare da chi lo ha portato al successo e adesso ha il privilegio di poter gioire con lui. A Jack Miller capro ultrà alla guida dei festeggiamenti, fino a Davide Tardozzi, Luigi Dall'Igna e Stefano Domenicali, sgravati dal peso di una serietà da mantenere sempre quando, sopra il taschino della tua uniforme, c'è scritto Ducati.
Ma non ci sono uniformi, regole o buone maniere in un giorno così. Nel successo di numeri che fanno rabbrividire e sognare: cinquant'anni dall'ultimo successo azzurro su una moto italiana, quindici dall'unica vittoria Ducati - con Casey Stoner - e tredici dall'ultima gioia di Valentino Rossi sul tetto del mondo. È una liberazione. Per Pecco, per la Ducati, per chi verra dopo di lui: un peso che andava tolto, una serie di numeri, di mancanze e di sconfitte, che andava interrotta. C'è riuscito Bagnaia, forte di una moto velocissima, pieno però delle zavorre della responsabilità, la croce di un ragazzo che si è sempre professato libero - come il suo Go Free - e che oggi, forse per la prima volta, libero lo è davvero.
E nella gioia mista a incredulità di una maledizione che si è spezzata spuntano delle parrucche rosse. Brutte, ispide, divertentissime sulle teste di personaggi a cui non avremmo mai pensato di vederle indossare. Un pugno nello stomaco per chi, di ruote, ne ha sempre portate due in più rispetto alle moto. Per tutti quei tifosi di motorsport che al primo posto hanno sempre messo la Formula 1 ma che si ritrovano oggi coinvolti nel successo di un'altra rossa italiana, nella gioia di un altro promettente ragazzo classe 1997, nell'incantesimo ritrovato di un'altra scuderia che torna a vincere dopo tanti, troppi anni, di attese.
Guardi quelle parrucche rosse e non puoi non pensare a quelle indossate da Michael Schumacher, Jean Todt, Luca Cordero di Montezemolo e Rubens Barrichello dopo la vittoria di Schumacher al GP di Malesia nel 2000 il 22 ottobre dell'anno del nuovo millennio. Un successo che consegna nelle mani della Ferrari il titolo più atteso, quello della fine dell'incubo del digiuno. La maledizione spezzata dal tedesco d'oro, il sogno dell'inizio di una dinastia che da quelle parrucche rosse accompagna la squadra Ferrari in anni di vittorie schiaccianti, gioie intramontabili anche oggi, nella malinconia di quelle parrucche rosse, a ventidue anni di distanza.
Li guardi, Luigi Dall'Igna, Jack Miller e tutti gli altri ragazzi Ducati, e in quelle parrucche rosse c'è una doppia speranza che solo chi di ruote ne ha sempre seguite quattro può capire: quella che per loro, così felici in una Valencia che non dimenticheranno mai, quella di Pecco sia la stimmate per l'inizio di qualcosa di grande. E quella, fatta di egoismo e malinconia, che presto anche in Formula 1 si possa tornare a vivere una gioia così. Piena, incredula, in grado di abbattere una maledizione, un blocco, un digiuno che prosegue da oltre quindici anni.
E che il rosso di quelle parrucche non abbia più il sentimento agrodolce delle cose passate. Ma il senso di pienezza di chi vede un futuro, un futuro rosso smalto, rosso Ducati, rosso Ferrari, davanti agli occhi.