Troppo tempo che il derby mancuniano, Manchester City-Manchester United, non è un derby che vale la vittoria della Premier. Troppo tempo che, per colpa dei Red Devils, il City affronta la stracittadina come ogni altra sfida di rilievo medio-alto. Si tratta sempre e solo di tre punti, in fondo. Però stavolta la sfida sembra diversa, a suo modo estrema: chi si andrà a schiantare? Quale dei due allenatori-filosofi pagherà per primo il prezzo della propria intransigenza? Alle 17.30 (ora italiana) di domenica pomeriggio, all’Etihad Stadium, riecco City-United. Sette punti in due nelle prime tre giornate di Premier League. Una miseria, se pensiamo a due club che, insieme, fanno 30 campionati vinti (20 sono rossi). A stringere i glutei, teoricamente – e non solo per via di un fattore campo in realtà sempre più indeterminante –, dovrebbero essere i rossi guidati (ancora per quanto?) da Ruben “non cambierò mai una virgola” Amorim. La minaccia, per Amorim, ha nome e cognome: Erling Haaland, che qualche giorno fa, con la Norvegia, andando a scrivere metà del destino mondiale della nostra Italia, ha gonfiato cinque volte la rete di una vulnerabilissima Moldova. Cinque squilli per Pep Guardiola. Cinque squilli per avvertire lo United. Ma il primo derby 2025/26, al di là del match in sé, sembra ben altro. Ad affrontarsi ci sono due squadre che stanno gestendo con enorme difficoltà due momenti clou della loro storia. E se la crisi del City ha una data d’inizio abbastanza recente (settembre 2024: infortunio a Rodri, lesione al legamento del ginocchio destro), quella dello United va ricercata molto più indietro, quando Sir Alex Ferguson lasciò la panchina dopo 810 partite e una media di vittorie (paurosa!) del 65.2%. La stagione era il 2012/13.

Fronte United
A guidare lo United, dicevamo, c’è il giovane portoghese Ruben Amorim, faccia simpatica e smart che predica “filosofia di gioco” con lo stesso afflato di un premio Nobel che ringrazia la platea di Stoccolma. L’anno scorso, con lui, lo United torna a fiutare l’odore di silverware. L’occasione è la finale di Europa League con l’eternamente sfi*ato Tottenham. Vincono gli Spurs 1-0. Partita pessima, Amorim lascia in panca Alejandro Garnacho (non Marco Van Basten, diamogliene atto) e incassa una valanga di critiche. Alla fine, col quindicesimo posto in classifica in Premier (!), la stagione si rivela fallimentare. Ma cosa dice il buon Ruben, a tal proposito? “Ho molta fiducia nel mio lavoro. Non cambierò nulla nel modo in cui faccio le cose”. Sul serio? Pare di sì. E così, nonostante i reel con protagonista lo spavaldo Amorim impazzino sui social provocando i sempre più imbarazzati tifosi dello United, la proprietà tira dritto e spende 234 milioni di euro per un tridente nuovo di pacca: Benjamin Sesko (80, dal Lipsia), Bryan Mbeumo (81, dal Brentford) e Matheus Cunha (73, dal Wolverhampton). Risultato immediato? Quattro punti in Premier e l’umiliazione, fresca fresca, dell’eliminazione ai trentaduesimi di finale della Coppa di Lega inglese per mano di una squadra di quarta serie, il Grimsby Town. Uno dei punti più bassi dell’intera storia dello United. Una storia che, di fatto, si è come interrotta dopo l’addio di Ferguson. Tanti gli allenatori che lo hanno succeduto (il migliore, per numeri e vittorie, Josè Mourinho). Soprattutto, a fronte di poche soddisfazioni, una montagna di soldi spesi. Oltre 1 miliardo e 600 milioni di euro nel mercato degli ultimi 10 anni (vendite per 420 milioni, estraete voi il saldo). Un’autentica fortuna. Solo che oggi, alla guida di una squadra ancora una volta nuova, c’è un giochista filosofeggiante come Amorim, un altro di quegli allenatori New Gen che per giustificare un cambio o un passaggio al 4-3-3 improvvisa lezioni di vita con fastidiose punte motivazionali. Così sappiamo già che Amorim (36.4% di vittorie con i Red Devils, di gran lunga il peggior manager del post-Ferguson) domenica, a fine partita, qualsiasi sarà il risultato, ripeterà che la squadra sta crescendo e ha bisogno di tempo per giocare in un determinato modo (il suo). Come se per arrivare almeno quarti nell’odierna Premier, giocando un calcio decente, bisognasse spendere il pil dell’intera Gran Bretagna su un arco temporale di circa tre anni. Meno male che lo United, quasi magicamente, anche la scorsa stagione – secondo il rapporto di Deloitte – ha ricavato molto. È stato il quarto club con i ricavi più alti – 770 milioni di euro all’anno – subito dopo Real Madrid, Manchester City e Psg.

Fronte City
dopo quasi tre mesi di discussioni, si siano concluse nel dicembre 2024, alla commissione indipendente serve ancora tempo per terminare l’esame dei documenti forniti dalle parti. Un’indagine-monstre che sembra aver inibito gli uomini di Pep. Più lenti, più prevedibili di prima. Così dal gennaio scorso la società ha rimesso mano al borsellino: 350 milioni spesi nel 2025. Una squadra per metà nuova che, neanche a dirlo, seguirà la stessa filosofia di sempre. Ci scherza sopra, sulla filosofia, un Pep che da più di un anno appare stanco, incapace di governare quella squadra-macchina che per tutti è stata sempre, soprattutto, diretta emanazione della sua idea di calcio. Oggi il City arranca, tutti ci provano quando lo incontrano. E Guardiola? “Mai e poi mai cambierò i miei principi su come vogliamo giocare. […] Quando gli avversari fanno pressing alto e superiamo la prima pressione, voglio attaccare rapidamente. Ma dopo, adoro fare mille, milioni di passaggi noiosi. Lo adoro.” Ironia a parte sui “milioni di passaggi noiosi”, colpisce osservare come uno dei tecnici più influenti degli ultimi 25 anni stia reagendo a una situazione per lui piuttosto rara: la difficoltà prolungata. Barcellona, Bayern, Manchester: in nessuna tappa del suo viaggio Guardiola aveva mai sofferto così a lungo. Eppure, è quasi un anno che il suo City sembra vulnerabile, prevedibile. In attesa che i nuovi Rayan Aït-Nouri, Rayan Cherki e Tijjani Reijnders lascino un segno tangibile magari tracciando rotte inedite, anche Pep torna a rifugiarsi nell’integralismo: l’idea, l’identità, lo stile sopra ogni cosa. Il che ci conduce alla domanda che ci siamo posti in apertura: in una sfida fra testardi chi si romperà la testa per primo? Solo un pareggio rinvierebbe la risposta.Nonostante le udienze,Il City sorride di più solo perché conta su un Haaland letale, ma anche all’Etihad da un annetto circa si storce il naso. E non solo a causa di quello stop a Rodri da cui tutto ha avuto origine, almeno sul campo. Sul club che con Guardiola ha vinto tutto pesa ancora il verdetto (da mesi definito “imminente”) sulle presunte violazioni (130) nell’arco degli ultimi nove anni.
