“Non lo tengo, da fondo campo!”, dice Carlos Alcaraz, frustrato, rivolgendosi al suo staff tecnico mentre Jannik Sinner cresce e si impone, finendo per diventare il primo italiano della storia a trionfare sull’erba di Wimbledon. Ma è frustrazione da tennisti. Più disciplinata, più consapevole. Il PSG a New York perde la finale del Mondiale per club dopo 30 minuti e la frustrazione – tutta calcistica – prende altre forme. Nessuna plateale ammissione di “difficoltà” – sia mai! –, bensì l’obbligatoria rissetta finale con spintoni e sceneggiate annesse. Paris St. Germain messo sotto fin dal fischio di inizio, braccato dal pressing alto del Chelsea (la stessa arma che in questa stagione aveva fatto vincere tutto ai parigini) e da un Cole Palmer incontenibile, due gol quasi fotocopia – e pregiatissimi – nel giro dei primi 30 minuti di gioco. Quindi, poco prima del riposo, il sigillo – rivelatosi poi definitivo – di João Pedro. Tre a zero e tutti a casa, innanzitutto la squadra di Luis Enrique. Il primo a raggiungere gli spogliatoi è stato João Neves, espulso a pochi minuti dalla fine. Poi la pantomima finale, con João Pedro che, spintonato dalla frustrazione francese, va giù – il copione insegna questo – come urtato da un caterpillar. Finale ahimè tipico, ormai, come coda di una vittoria anche italiana, quella di Enzo Maresca, allenatore di un Chelsea edizione 2024-25 quasi miracoloso. Qualificazione raggiunta per la prossima Champions League dopo una combattutissima Premier, Conference League vinta con stile e ora un Mondiale per club – il primo – vinto meritatamente e imprevedibilmente. Sconfiggendo, nell’atto conclusivo, una squadra, il PSG, in stato di grazia. Un trionfo americano che vale, un dettaglio non trascurabile, 85 milioni.

Ma chi è Enzo Maresca, allenatore che, a differenza di tutti gli allenatori italiani che hanno fatto faville all’estero, non è passato dalla palestra, o dalla verifica (chiamatela un po’ come volete), della nostra Serie A? Calcisticamente, da giocatore, nasce già all’estero, iniziando la carriera in Inghilterra con il West Bromwich Albion, la terza squadra (talvolta seconda) di Birmingham. Ci gioca, in Serie A (Juventus e Fiorentina, soprattutto), ma dimostra di avere la valigia facile (due le esperienze in Spagna), consapevole – ben prima di altri – che il calcio del nuovo millennio non vede più l’Italia che trionfò nell’ultimo quarto del Novecento come epicentro dove tutto accade e si sviluppa. Un concetto che Maresca fa proprio quando si tratta di insegnare calcio (diciamola alla Adani, dai). Parte con l’under 23 del Manchester City, poi diventa assistente di Pep Guardiola, a fianco del quale, nella stagione 2022-23, vince il triplete. Ma è alla guida del Leicester City, stagione 2023-24, che firma il primo trionfo personale, riportando la squadra che fu di Claudio Ranieri in Premier League. E ci torna in carrozza, con due giornate d’anticipo, senza mai dare l’impressione di non potercela fare. E qui arriva il primo momento “per nulla italiano” della sua carriera da allenatore. Chi lo cerca? Il Chelsea, club milionario, ma calcisticamente da rifondare. Da noi non funziona così. Se vinci la Serie B col Sassuolo resti a Sassuolo. Lungimiranza e coraggio sul fronte londinese. Una lungimiranza già ripagata, perché la prima stagione Blues di Maresca è un successo istantaneo. Due trofei (Conference League e Mondiale per club) e un quarto posto in Premier che fa riassaporare il miglior calcio del mondo alla ex-grande delusa del calcio inglese.

Oggi Enzo Maresca appare come una sorta di guardiolano flessibile, poco affezionato agli schemi incisi nella pietra, ma con un’idea molto chiara – e molto simile a quella di Luis Enrique al PSG: pressing alto, uomo su uomo, per poi andare a liberare, presto e in verticale, il patrimonio offensivo del Chelsea. Dice Maresca che la vera pressione è costituita dall’affetto della sua famiglia, moglie e quattro figli. Tutti presenti sugli spalti, in occasione della finale di Breslavia di Conference League, con la figlia di tre anni che chiamava continuamente suo papà. E la Serie A? Guarda e prende appunti, forse distrattamente. Frenata dall’impossibilità di investire come solo gli sceicchi si possono permettere di fare, il nostro campionato sta facendo crescere i suoi tecnici più interessanti (non dimentichiamo Roberto De Zerbi e Francesco Farioli) lontano da Milano, Torino, Napoli, Bergamo, Roma. Scelte obbligate? Non sempre. Non ci sono solo i soldi, di mezzo. C’è anche il coraggio.
