Durante la finale di Wimbledon, tra un rovescio lungolinea di Jannik Sinner e un passante liftato di Carlos Alcaraz, a molti sui social è venuto un dubbio legittimo: ma questi due non sudano? Si rincorrono per ore sotto il sole di Londra, si piegano in affondi esasperati, si scambiano pallate a velocità assurde, eppure appaiono sempre impeccabili: asciutti e freschi. Com’è possibile? La verità è che sudano eccome, solo che lo fanno bene. Meglio di noi comuni mortali, almeno. A renderli apparentemente immuni alla fatica è un insieme di fattori ambientali, tecnologici e, soprattutto, umani, legati a un livello di preparazione e controllo del corpo straordinari. Partiamo dal contesto: Wimbledon non è l’inferno umido dell’Australian Open o le sabbie mobili del Roland Garros: l’erba londinese è fresca, l’umidità contenuta, la ventilazione costante. In queste condizioni, il sudore tende a evaporare in fretta, senza lasciare tracce visibili. Il risultato? I giocatori si rinfrescano mentre noi, magari sul divano con la finestra chiusa e il caffè in mano, ci ritroviamo come in sauna.

Ma non è solo il meteo. Il vestiario gioca un ruolo chiave. Le magliette e i completi dei tennisti professionisti sono realizzati con materiali traspiranti ad alta tecnologia, progettati per assorbire e disperdere il sudore in modo omogeneo. Non lo vedi, ma c’è. Viene incanalato, gestito, eliminato. Se aggiungiamo il fatto che durante la partita i giocatori si cambiano spesso maglia, asciugamano alla mano, il “miracolo” è servito. Poi c’è la macchina-corpo, ovvero il frutto di anni di allenamento pensato per trasformare l’atleta in un sistema perfettamente efficiente. Carlos Alcaraz, ad esempio, si allena due volte al giorno con routine studiate per sviluppare esplosività, resistenza e controllo del recupero. Non solo forza fisica: cura meticolosa viene dedicata alla prevenzione dei crampi, grazie anche a integratori e soluzioni “strane” come il famigerato pickle juice, succo di cetriolini ricco di elettroliti e acido acetico, che aiuta il rilassamento muscolare e la reidratazione veloce. Jannik Sinner, da parte sua, lavora in modo quasi scientifico sul corpo e sulla mente. Ha un team che monitora ogni aspetto della sua prestazione, dall’equilibrio mentale al battito cardiaco sotto stress. La sua “palestra mentale”, sviluppata con Formula Medicine, lo aiuta a restare freddo nei momenti di massima pressione. Anche la gestione della fatica è programmata: stretching, fisioterapia, recupero attivo. Nulla è lasciato al caso, nemmeno il modo in cui il suo corpo suda o smaltisce il calore.

E poi c’è l’effetto Tv. Le telecamere ad alta definizione, la regia perfetta, le luci naturali: tutto concorre a costruire una narrazione epica, in cui l’atleta non è umano ma simbolico. Non lo vediamo piegarsi, ansimare, sgocciolare. Lo vediamo reagire, combattere, vincere. È una scelta estetica, non una menzogna: l’atleta suda, ma le riprese sono studiate perché il pubblico viva il pathos, non la fatica. Nel frattempo, sul divano, noi spettatori viviamo un’esperienza opposta. Sudiamo senza muoverci, con il cuore in gola e il telecomando in mano. Perché il tennis ad alti livelli non è solo uno sport: è una combinazione di biomeccanica, climatologia, scienza dello sforzo e narrazione. E chi riesce a dominare tutto questo può anche permettersi di sembrare asciutto mentre scivola sull’erba per tre ore. Loro evaporano. Noi grondiamo. Ma per fortuna, almeno, possiamo applaudire con le mani sudate.
