Marc Marquez, come di consueto, riceve i giornalisti nell’hospitality Honda. L’ultima volta lo aveva fatto per annunciare la quarta operazione al braccio destro, al Mugello: sono passati due mesi e mezzo e il mondo delle corse vuole una risposta dal suo fuoriclasse. Lui, sempre serafico, spiega che tornerà a correre ma aggiunge di non sapere quando - il verdetto la prossima settimana, dopo una TAC - e che non è in Austria per parlare con i giornalisti o vedere le moto. È lì, racconta, perché Honda deve cambiare modo di lavorare. L’intervista procede in inglese prima di passare allo spagnolo, ma una violenta tempesta la interrompe prima del tempo.
“Ciao a tutti, sono felice di essere qui - comincia Marc - Sembra che adesso stia andando tutto per il meglio, ma la decisione era importante e tosta, rischiavo di chiudere la carriera. Sembra tutto a posto ma voglio tornare con calma, un passo alla volta, con il massimo della sicurezza. Sappiamo quanto è importante questo recupero ma onestamente mi sento bene, anche se alla fine è un braccio con quattro operazioni e stiamo cercando di adattarci. Almeno il braccio lavora come dovrebbe e sto già facendo esercizi che prima di operarmi erano impossibili. La prossima settimana farò una TAC per capire se potrò aumentare i carichi. Quando tornerò a guidare una moto capirò immediatamente se sarà abbastanza o no. Ma siamo ottimisti, il braccio reagisce bene”.
Hai detto che era importante stare con il team perché hai un po’ perso il contatto con loro. Pensi di aver perso un po’ la strada dal 2020?
“Si, ovviamente. Honda è in un momento difficile con tutti i piloti, il che significa che il progetto non è al meglio. Nel 2020 e 2021, quando sono stato molto lontano dalla pista, mi sono disconnesso troppo e al mio ritorno era tutto nuovo. Stavolta proverò a tenermi più in contattato con Santi Hernandez (il suo capotecnico, ndr.) e Stefan Bradl, specialmente col mio team. Chiaramente mio fratello corre con la Honda, ma preferisco lavorare col team e gli ingegneri di Honda. Non sono qui per guardare le moto in pista, ma per parlare con gli ingegneri. Non posso prendere decisioni ma voglio essere incluso nel progetto. In un momento difficile è impossibile che un pilota solo possa fare la differenza”.
Ci racconti il recupero?
“Nelle prime sei settimane non muovevo il braccio. I dottori - ero d’accordo - hanno detto di essere cauti. Poi ho cominciato a muovere il braccio e ultimamente sto lavorando con gli elastici. Fino alla prossima settimana non saprò cosa fare. Quando farò la prossima visita capirò quanto c’è da aspettare. È vero che quando sarò al 70%, 80% tornerò in moto che è la parte più importante della riabilitazione”.
Cosa pensi che serva alla moto adesso?
“Non ho provato gli ultimi sviluppi, ma in Mugello era difficile tirare fuori il meglio dalla moto ed il problema era grande. Non era ‘perdiamo un po’ qui’, era molto peggio. Ma come ho detto, la cosa importante adesso è il progetto, non la moto. Le informazioni devono fluire bene, in tutti gli aspetti. Così sicuramente riusciremo a tornare in alto”.
Hai detto che deve cambiare la moto, ma anche il team. Cosa intendi?
“Magari c’è stato un malinteso, so che ho detto così ma non intendevo persone, parlavo del concetto. Vediamo che i team europei lavorano diversamente e che Honda lavora tanto, più che mai, e spendono, ma serve un’altra maniera di fare le cose. Non sono io a dover dire come, ma Honda è la casa che ha vinto di più e sanno come lavorare. Però abbiamo sempre più gare e meno test ed il lavoro in Giappone diventa sempre più importante di quello in pista. L’obiettivo di Honda e dei piloti HRC è vincere il titolo, non altro”.
Stai chiedendo un grande cambiamento. Come Valentino e Maverick in Yamaha, quando chiedevano rivoluzione e i giapponesi dicevano di sì, ma non succedeva niente. Pensi che Honda debba fare qualcosa del genere?
“Honda non deve lavorare come gli europei, hanno un sistema che funziona. Ma è vero che il mondo cambia e le corse anche. È come quando arriva un pilota nuovo, devi capire il nuovo stile. L’importante è non andare nel panico, che è il peggior nemico in questo momento”.
Quest’anno torni in pista?
“Si, la mia idea è farcela quest’anno. Ma lo saprò la prossima settimana. Il test di Misano? Non credo, forse è troppo presto”.
Vuoi una moto ‘alla Marquez’ più concentrata sull’anteriore rispetto a quella di adesso?
“Voglio una moto vincente. Le moto cambiano, dobbiamo capire. Io posso dire solo dove perdiamo, dove dobbiamo migliorare rispetto agli altri. Se gli ingegneri dicono che serve una moto più centrata sul posteriore mi fido”
Alex Marquez in Ducati cambierà un po’ la tua prospettiva? E cosa ne pensi di Rins (con LCR) e Mir in HRC?
“Alex è mio fratello e viviamo insieme, ma non mescoliamo mai le idee tra stile di guida e discorsi tecnici. Sono sicuro che anche al ranch di Valentino fanno lo stesso: tutti si allenano insieme, io sono fortunato perché ho mio fratello e ci miglioriamo, ma in pista è diverso: lui ha i suoi segreti e io i miei. Non andrò a dirgli ‘ecco, questo è il progetto Honda 2023’ e lui mi dirà cosa fanno in Ducati. L’anno prossimo ci sarà Alex Rins in Honda, vedremo chi sarà il mio compagno di squadra. Sarà interessante confrontarsi con un pilota che arriva da un altro costruttore”.
È il momento più duro?
“Mentalmente è vero che il momento peggiore è stato prima di prendere la decisione di operarmi ancora. Dopo la chirurgia ero più tranquillo. Prima però avevo dubbi: è colpa della moto, mia, qual è il livello… Ho cercato di ascoltare il mio corpo e ho capito che era la cosa giusta da fare e tutto è andato bene sul punto di vista mentale. Anche adesso ho il dubbio su come sarà, però sono più sereno”.
Poi però i televisiori iniziano a tremare, gli attaccapanni tintinnano, Marc sorride: "Forse è meglio andare nel box", e la conferenza stampa viene sospesa.