“A sabato, al massimo a domenica! Aspettami, io ti ho aspettato tanto” – Oriana Fallaci lo scrive a Alekos Panagulis, in quel capolavoro della letteratura che è “Un uomo”. Ok, la MotoGP c’entra poco o niente, ma è a quel passaggio che è finito il pensiero quando Marco Bezzecchi - in questo GP d’India che doveva essere un disastro e invece è stato uno spettacolo – ha superato Pecco Bagnaia, prendendo vantaggio con manate di gas che hanno espresso proprio tutto e virgole sull’asfalto. Come uno scrittore, appunto. Come Oriana Fallaci in quella lettera lì inviata alla persona amata. L’amata per Marco Bezzecchi non è una persona, ma la vittoria.
Che l’avrebbe trovata, che lui e l’amata vittoria si sarebbero incontrati in India s’era capito già dal venerdì e dal primissimo turno in pista. Come se il Bez avesse scritto, appunto, una lettera alla vittoria: “a sabato, al massimo a domenica”. L’incontro, come noto, non c’è stato al sabato, per via di un incidente alla prima curva che ha lasciato il Bez in piedi, protagonista di una rimonta forsennata che, però, non gli ha permesso il miracolo fino a risalire oltre la quinta posizione. I miracoli non attengono agli uomini e Marco Bezzecchi è solo un uomo. Un uomo che a quell’appuntamento, però, mai ci avrebbe rinunciato e che ha saputo trasformare tutta la rabbia, tutta la frustrazione e magari anche tutto il dover stare zitto rispetto a quanto accaduto sabato (a metterlo fuori gioco è stato il suo compagno di squadra) in un qualcosa che non ti fa impazzire, ma anzi ti alimenta il desiderio di mantenere la promessa che hai fatto: “A sabato, al massimo a domenica”.
Una domenica che è arrivata. E che poi s’è aperta con Bezzecchi subito pronto a mettere le cose in chiaro, a far capire che non ce ne sarebbe stato per nessuno, con un warm up chiuso davanti a tutti. Poi la gara, su un circuito nuovo, con poco grip e un dispositivo per la partenza un po’ più vecchio di quello di Martin e Bagnaia. “Sono partito bene – ha raccontato nel retropodio – poi li ho sentiti che arrivavano e li ho lasciati sfilare, tanto ce lo sapevo che loro sarebbero potuti partire meglio”. Lucidità nella fase di gara in cui la lucidità è dura da tirare fuori, se non nel nome di una promessa: “a domenica”. Nel nome di quella promessa s’è preso il rischio di affiancare Pecco, l’amico e campione del mondo, prima di superarlo e lasciarselo definitivamente dietro con tre o quattro giri fatti su ritmi che solo chi ha una promessa che ne custodisce un'altra da mantenere è capace di tenere. “Ma quanto ca**o andavi?” – gli ha chiesto Jorge Martin dopo la bandiera a scacchi. Quello stesso Jorge Martin che gli è arrivato qualche secondo dietro, ma mezzo morto. Perché in India faceva caldo davvero, perché in India la sofferenza fisica dei piloti è stata massacrante.
Però quelli con l’anima grata, quelli che alle promesse ci tengono, alla fine sanno essere pure più forti. Tanto che per dire grazie, mentre gli altri si innaffiavano d’acqua e sali minerali per reidratarsi, il Bez è andato a reidratare l’anima che ha. Come? Con una scalata. Ok, niente che farebbe impallidire un alpinista vero, ma tre o quattro metri per salire sulla postazione di una telecamera della regia internazionale e guardare negli occhi quel pubblico d’India che nel frattempo s’era innamorato di lui. E che lo ha accompagnato giro su giro, curva su curva, a un appuntamento a cui non poteva proprio non farsi trovare. Perché era, appunto, l’appuntamento con ciò che un pilota ama oltre se stesso fino a mettere a rischio la sua stessa vita: la vittoria. Ma non una vittoria normale: una vittoria da dedicare. A quell’amico che in circostanze misteriose è morto a soli 24 anni, ritrovato senza vita nella sua abitazione (e di cui vi avevamo raccontato qui). “Filippo e io siamo praticamente cresciuti insieme, eravamo grandi amici nelle minimoto – ha raccontato il Bez con il viso ancora stravolto anche dalla fatica (anche di quella scalata) – Sapere che non c’è più è stato terribile, ma lui come me era un pilota e l’unico vero modo per salutarlo era avere qualcosa da dedicargli. Ecco, questa vittoria è per lui”.
Non la solita roba di circostanza, non i piagnucolamenti, ma la determinazione che s’è fatta quasi ferocia per metabolizzare qualcosa contro cui c’è niente da fare. Anzi, due cose contro cui c’è niente da fare: la morte e la voglia di vincere. Ma anche a ricordare che ognuno è frutto delle persone che ha incontrato, e che tutti, ma tutti davvero, sono diventati tasselli fondamentali della storia personale che ognuno di noi s’è costruito. Compreso il pubblico d’India. Compreso quel coetaneo, amico e anche rivale con cui ti prendevi a sportellate e che magari, per meno talento o meno fortuna, ha avuto una storia diversa. E in questo caso pure decisamente meno fortunata. Ricordarselo non è da tutti. Ricordarselo è da anime grate. Come quella di Marco Bezzecchi. Uno a cui vincere basta solo dopo aver detto grazie, anche quando la forza potrebbe essere finita. Magari scalando. Sempre più su. Fino al prossimo "a sabato, al massimo a domenica".