Sono passati venti anni. Qualcuno aggiungerà l’avverbio “già”, per sottolineare come il tempo sia volato, anche se questa non è una storia spensierata a cui tornare con la memoria. Per nulla. Era il 14 febbraio 2004. Una data spartiacque che ha segnato un prima e un dopo nella storia dello sport (e non solo) del nostro Paese. Come succede per gli eventi importanti in tanti si ricordano dove erano e cosa stavano facendo quando la notizia è arrivata. Era un sabato e non c’erano ancora i social (per fortuna), ma c’erano già i telefoni cellulari. La morte di Pantani mi raggiunse tramite SMS. Mi trovavo a cena fuori a San Lorenzo, il quartiere universitario di Roma, e a scrivermi fu il mio amico Flavio. È morto Pantani. Tutto qui. Tre parole. Niente di più. Ma in realtà c’era un mondo intero dentro quelle tre parole. Erano circa le 22 e la notizia iniziava a comparire sulle bocche di tutti, diventava argomento di discussione. Maggiori dettagli sarebbero arrivati nel corso della notte. Iniziammo così a conoscere il residence Le Rose, a parlare di scatole di ansiolitici trovate accanto al corpo, di stanza distrutta e di porta chiusa a chiave dall’interno. Un dettaglio, questo, non marginale. Anzi fondamentale per fugare sin da subito ogni dubbio su come fossero andate le cose
Ma quante volte è morto Pantani? Questa domanda me la sono fatta tante volte in questi anni. C’è stato il gatto nero, il fuoristrada contromano, un’altra macchina che lo prende in pieno. Cadute che avrebbero messo KO chiunque, ma non lui. Pantani un modo per risollevarsi lo trovava sempre. Pure quando non era scontato. Pure quando sembrava un miracolo tornare a camminare, figuriamoci pedalare. Pantani era quello che pur di essere al giro d’Italia, pur di non far dimenticare la sua faccia, nel 1996 ancora con i chiodi dentro la gamba cantava la sigla del Giro che apriva la diretta Mediaset. Un rap stonato inascoltabile e bellissimo al tempo stesso. Nel 1997, dopo il famoso gatto nero che lo fece cadere, incontrò Marcello Pieri a cui chiese una canzone per presentarsi al Festival di Sanremo. Pieri gliela scrisse e lui dopo averla ascoltata disse che era troppo bella, che forse doveva cantarla Renato Zero. Quella canzone esiste ancora oggi: è depositata in SIAE, ma non è stata mai incisa.
Poi arriva il 1998. La doppietta Giro & Tour sembra rimettere il cosmo in ordine, ogni cosa trova pace ed equilibrio. La storia del ragazzo talentuoso e sfigato è stata bella, ma non potrà essere più bella del ragazzo talentuoso e sfigato che si prende il mondo ed entra nella leggenda. Una lettura ingenua, perché nulla può superare la storia di chi casca dal paradiso all'inferno in pochi attimi. E siamo al 1999. Pantani sta annientando tutti i record al Giro e quando la seconda vittoria consecutiva è scontata arriva quel controllo a sorpresa a Madonna di Campiglio che cambia tutto. Pantani ha l’ematocrito al 52% (sopra di un punto percentuale rispetto al massimo consentito) e l'organizzazione lo deve sospendere in via cautelativa. Dalla maglia rosa al buco nero il passo è brevissimo. Se sé vero che servono anni per costruire, è altrettanto vero che bastano pochi istanti per distruggere tutto. Pantani cade di nuovo e deve ricominciare da capo, come un crudele Gioco dell’oca. Ma stavolta è dura. Stavolta non ci sono ossa da riattaccare con delle viti, punti da mettere, muscoli da cucire e ferite da disinfettare. Stavolta è diverso. Lo sanno tutti, ma hanno paura a dirlo. Ci pensa lui: Sono ripartito dopo gravi incidenti, ma stavolta abbiamo toccato il fondo moralmente.
E rieccoci al 14 febbraio del 2004. Siamo dentro la stanza D5 del Residence Le Rose di Rimini. Nessuno sa che Pantani si è chiuso lì dentro per guardare in faccia i propri demoni un’ultima volta. Tutti lo scopriranno qualche ora dopo, quando sarà troppo tardi. Cesenatico d’inverno è una città triste. Il cielo è grigio e basso, il lungomare è vuoto, il vento si incastra tra le vie dell’entroterra, soffia tra i palazzi e poi scappa via verso fuori, verso la parte più turistica e quindi più disabitata. Ho provato a immaginarmi il risveglio di Cesenatico domenica 15 febbraio 2004. L’ho immaginata come una di quelle palle-souvenir piene d’acqua che se le agiti simulano una finta nevicata: silenziosa, fredda e ovattata. In balìa degli eventi, incapace di reagire.
Pantani all’apice della sua carriera è stato un’icona generazionale. Fosse in attività oggi, si dovrebbe creare il reato di abuso della parola resilienza. Per fortuna ogni campione è figlio della sua epoca e per lui è bastata la parola Pirata a sintetizzare tutto. Una vita romantica, una carriera avventurosa e una morte prematura. Grazie al libro “Un uomo in fuga” di Manuela Ronchi e Gianfranco Josti abbiamo conosciuto le sue ultime parole, scritte sulle pagine del passaporto qualche ora prima di morire. Come fosse un ultimo – doloroso – viaggio, un flusso di coscienza che alla fine non era altro che un grido di aiuto arrivato troppo tardi. Sono stato umiliato per nulla, E dopo come fai a non farti male, Mi sento ferito, sono alcuni dei concetti espressi.
L’autopsia parlerà di morte causata da un edema polmonare e cerebrale conseguente a un'overdose di cocaina e psicofarmaci. In queste ore (con una curiosa, forse non casuale coincidenza) è arrivata la notizia che anche la terza inchiesta sulla sua morte verrà archiviata. La sua famiglia continua a parlare di omicidio, la procura no. Forse hanno ragione entrambe le parti. Forse Pantani è morto da solo, ma forse tante persone non lo hanno protetto quando avevano il potere di farlo.
E oggi, vent’anni dopo, cosa ci resta? Pantani ci ha insegnato che puoi cascare cento volte, ma non cambia niente se sei disposto a rialzarti centouno. Questo è quello che un uomo senza capelli e con le orecchie a sventola ha raccontato al mondo facendo la cosa che gli riusciva meglio: pedalare. Poi è caduto per la centoduesima volta e a quel punto non ha avuto la forza di rimettersi in piedi. Nemmeno lui. Forse dio esiste davvero e ha voluto Pantani tutto per sé. Lo ha messo dentro una biglia e adesso ci sta giocando su una spiaggia, in qualche angolo dell’universo.