Bianco immacolato, come da tradizione. Il dress code di Wimbledon è tra i più sacri e intransigenti dell’intero mondo sportivo: niente eccezioni. Dal 1963 è una regola ufficiale, ma le sue radici affondano addirittura nel 1877, alla prima edizione del torneo, quando l’élite dell’epoca sfoggiava completi bianchi anche sugli spalti, simbolo di status sociale. Eppure, anche la più intoccabile delle liturgie inizia a vacillare. A metterla in discussione è Billie Jean King. La leggenda americana, 28 titoli in carriera tra singolare e doppio, ha parlato di “errore assoluto” in un’intervista al Daily Telegraph, riferendosi alla regola che impone ai tennisti un abbigliamento completamente bianco sull’erba dell’All England Club. “Comincia una partita, mi siedo davanti alla tv e sto lì a chiedermi chi è chi? E il fatto che sia indicato il nome del tennista al servizio dalla grafica non vuol dire niente”. Secondo lei, infatti, non c'è motivo per mantenere l’uniformità cromatica: “Non credo sia necessario avere un'uniforme comune, credo che questa cosa si possa anche cambiare”. E se proprio la regola non può essere abolita, allora almeno si potrebbe apportare qualche modifica. La proposta? Semplice e in linea con quanto accade in altri sport: “Aggiungere nomi e numeri alle divise dei giocatori, come accade nel calcio”. Ma King ha messo sul piatto anche la questione economica: “Stiamo perdendo milioni perché le maglie personalizzate permetterebbero anche di guadagnare molti più soldi. E questo vale tanto per il torneo quanto per i tennisti stessi”.

Dichiarazioni che rischiano l’anatema da parte dei puristi, ma che trovano terreno fertile anche in un Wimbledon che, pur restando iconico, ha dovuto già fare i conti con la realtà. Due anni fa, nel 2023, lo stesso All England Club ha deciso di modificare parzialmente la regola introducendo una deroga importante: ha autorizzato le giocatrici a indossare pantaloncini di colore più scuro sotto i gonnellini durante il ciclo mestruale. Una decisione di buonsenso. L’unica condizione posta? Che quei pantaloncini “non siano più lunghi dei pantaloncini o della gonna”. La storia dell’uniforme bianca, in ogni caso, ha sempre diviso. Andre Agassi, ad esempio, disertò Wimbledon per tre anni consecutivi, dichiarando apertamente di non sopportare quella regola. Anche quando tornò e vinse nel 1992, la sua opinione non cambiò: “Perché devo indossare il bianco? Perché dovrebbe importare a queste persone cosa indosso? Mi sono sentito offeso dal fatto che mi hanno trattato da indesiderato”. E non fu l’unico caso. A Roger Federer, nel pieno della carriera, venne imposto di cambiare le scarpe perché la suola non era perfettamente bianca. Nessun margine, nemmeno per i re. Ma ora, Billie Jean King chiede di guardare avanti e siamo certi che non troverà il favore di volti iconici come Adriano Panatta che, proprio su MOW, ha parlato della tradizione rimasta in questo Slam.