Mig Babol è la bolla del Mig, di Andrea Migno. Il claim: Racing Podcast. A Jerez de la Frontera, dopo aver intervistato Marco Bezzecchi, ci siamo fermati a fare due chiacchiere con Andrea, che stava lì a tagliarsi le unghie in un bidone della VR46. Tonico, in forma. Mostra un Casio G-Shock: “L’ho preso a Roma l’anno scorso perché arrivavo da Valencia senza bagaglio e mi ci sono affezionato, novanta euro”. Il suo amico, Marco, ha appena finito di dirci che il podcast in parte gliel’ha finanziato in parte lui, aggiungendo che l’ha fatto per primo e senza sapere niente. Andrea Migno parla del podcast come di una fatica enorme: trova il set, l’attrezzatura, chi ti cura l’immagine sui social: “È un gran casino anche quello, perché se vuoi farlo bene devi lavorare come un matto e se lo fai male tanto vale lasciare perdere. E poi sai cosa? pensavo ci avremmo messo di meno”. Ha ragione, solo che queste cose nessuno le sa, nessuno ne parla.
Comunque sembra soddisfatto, sia del prodotto che ne è uscito che del format: “Non vogliamo fare una cosa alla Jorge Lorenzo, dove un po’ fai fatica a ritrovare gli episodi perché le copertine si assomigliano tutte. Qui magari vuoi far sentire una frase di Franco (Morbidelli, ndr.) a un tuo amico e la trovi subito”. Passano un paio di giorni, la gente torna a casa dal GP di Spagna ed esce il primo episodio del podcast: “TIME OUT con Franco Morbidelli”, che trovate in apertura. Il riferimento è al casco che Franco ha indossato a Misano nel 2021. A intervistare Morbidelli assieme a Migno c’è il co-host, Filippo Carloni, grande amico di entrambi.
Il punto di questa roba è che è è tutto fatto in casa, solo che funziona perché è la casa delle corse: chiedi un angolo a un amico, però quell’amico è Mattia Pasini e così vai a registrare a Misano tra i simulatori della Res-Tech. Poi chiedi una mano per comprare un po’ di attrezzatura, te la dà Marco Bezzecchi. Hai un amico che è bravo a disegnare, perché serve un logo? C’è Aldo Drudi. E poi, quando chiedi a un altro dei tuoi di raccontarti qualcosa per fare del contenuto, hai a disposizione Franco Morbidelli. Nello specifico Franco racconta di quando è andato a casa di Kevin Schwantz, del fatto che Kevin è il motociclista dopo Valentino Rossi. Dice di essere “Un ragazzino da internet point”, perché sua madre se lo portava dietro per telefonare in Brasile. L'atmosfera è rilassata, i tempi funzionano. C'è da capire un po' meglio come funziona il mixer.
Intanto Morbidelli racconta della favela di Iputinga fuori Recife, dove abita quella parte della sua famiglia: “Non ho rivisto i miei amici di quando c’avevo 10 anni, perché quelli che sono rimasti vivi… o sono andati da qualche parte in villeggiatura o magari sono andati in campagna. Uno di cui mi ricordavo molto bene che mi aspettavo di vedere - ed è rimasto vivo - purtroppo era in campagna. Però mi sono fatto degli amici nuovi, un’amicizia di un’intensità che mi porto dentro”.
La conversazione è piacevole perché nessuno ti dà l’impressione di dover performare, è tutto molto spontaneo, immediato. Migno: “In Yamaha… Non è che giocavi a Fifa col Real Madrid”. E poi ancora, quando gli chiedono della prima 125 che ha guidato: “Mio padre - racconta Franco - era matto abbastanza da aver avuto l’idea, che magari adesso è normale, di mettermi su di una 125 GP a 11 anni. Dov’era possibile? In Sardegna, a Mores. Una pista molto bella, però piccolina. Con me c’era Guido Mancini, mi teneva al sicuro e mi insegnava la disciplina del motociclismo”.
Mentre passano i minuti ci rendiamo conto che Mig Babol è una sequela di storie da paddock, roba autentica, raccontata con quella densità che ti aspetteresti da un ottimo giornalista in pensione. La differenza è che questi non hanno nemmeno 30 anni ed è tutto più rilassato, niente da dimostrare, nessuno ha bisogno di far sapere perché è lì.
Te ne accorgi soprattutto quando Morbidelli racconta di come è entrato a far parte della VR46, di fatto la sua seconda famiglia: “La svolta è stata quando mio padre Livio ha chiesto a Graziano Rossi di andarmi a far girare alla cava. Da lì Graziano mai ha preso sotto la sua ala, dandomi una mano a fare tutto. Poi hanno chiesto a Carlo se mi potevo allenare con lui e con Vale, c’era anche il Sic. Era il 2008, 2009. Poi è successa la cosa che è successa con Livio. Da lì Vale, Graziano, Carlo, Albi e tutta la VR46 mi hanno preso ancora di più sotto la loro ala, mi hanno abbracciato in un momento sicuramente difficile. Hanno cercato in tutti i modo di non farmi sentire la difficoltà di questo momento e io non l’ho sentita”.
Da raccontare tutta c’è troppa roba: la festa per il mondiale nel 2017 (“Prima alla Cueva di Montelabbate, poi al Twenties di Urbino”), l’immagine di Ayrton Senna (“il mio letto deve avere il suo poster sopra”) e il casco di Misano dedicato a un film di Spyke Lee in cui Franco si trasforma in Samuel L. Jackson. E i capitoli in cui è divisa l’intervista, belli da leggere e da ascoltare, che toccano l’apice con “Franco passione due settimane”. Qui Migno racconta l'amico, più che il pilota: “C’è Vegan Franco, Pokemon Franco, Surfista Franco a Portoverde”. Al che lui risponde con una risata: “Devo dire di essere abbastanza concentrato sulla mia passione base, le moto. Però mi sto guardando la Divina Commedia spiegata da Benigni”.
La domanda per chiudere ad effetto: cosa diresti a un ragazzo che come te insegue un sogno?
La risposta di Franco Morbidelli: “La cosa più ovvia, ma anche la più vera e importante: non mollare. Mollare o rallentare è la castrazione di un sogno. Ed è una cosa brutta da fare a sé stessi e in generale. Se uno ha un sogno, è vero e ci crede veramente che lo insegua fino a dove questo sogno lo porta”.
Mig Babol funziona bene, sembra di essere lì con loro. Sarà interessante vedere cosa uscirà quando, invece degli amici di una vita, si troveranno a intervistare degli sconosciuti, o comunque qualcuno che non sia l'amico di sempre. L'idea però c'è già: "Quando verrà Kevin Schwantz", dice a un certo punto Andrea Migno, "lo faremo parlare di Franco Morbidelli".