Il tempo esiste? O esistono gli stati emotivi, le fasi della personalità e dell’anima che, invece, confondiamo con il tempo? E’ una delle grandi domande che ci si fa da sempre e su cui l’umanità ha speso il pensiero. Però è pure il tema, alla fine dei conti, di una vecchia canzone. Anzi, di una poesia di qualche anno fa recitata in musica da Ivano Fossati: C’è tempo. Un testo che c’entra niente con le corse in moto o che forse c’entra tantissimo visto che è comunque sempre di rapporto con il tempo che si parla, ma un testo che nei giorni scorsi, proprio nel bel mezzo del GP del Qatar, è passato più volte su Sky come “colonna sonora” di un servizio in ricordo di Luca Salvadori mandato in onda tra una pausa e l’altra delle dirette sul Motomondiale e sul Gran Premio di Lusail. Proprio quel Gran Premio che ha visto il ritorno in pista di Jorge Martin e, contestualmente, il nuovo calvario del campione del mondo. Con quel testo di Fossati che, in qualche modo, è diventato pure spunto.
Per che cosa? Per provare a spiegarsi l’inspiegabile e il tempo che non esiste più perché si nega anche a chi per tutta la vita c’ha “combattuto contro” e vorrebbe solo tornare a farlo. Sì, Jorge Martin con tutta probabilità non tornerà in sella alla sua Aprilia con il numero 1 sul cupolino prima di alcune settimane. Forse mesi. Dicono che anche solo per volare e tornare in Spagna dal Qatar dovrà aspettare almeno quindici giorni o organizzare un trasferimento su un aereo medicalizzato e attrezzato per viaggi così. Roba che basta da sola a spiegare che bisognerà trovare anche il tempo che non si voleva più avere: quello di aspettare. E sudare. Per tornare a sfidare, paradosso dei paradossi, proprio il tempo stesso.

C'è un tempo negato e uno segreto
Negato e segreto. E’ l'essenza stessa della sofferenza interiore di Martín, un dolore che si nasconde nelle pieghe del silenzio, lontano dalla confusione a cui un campione del mondo ha dovuto abituarsi e che finisce per interrompersi solo con qualche uscita sui social, fatta più per dovere e riconoscenza che per umana volontà. Circa venti fratture accumulate in sessantasette giorni fanno male e, di sicuro, fanno passare ogni voglia di stare a dire o raccontarsi. Perché non rappresentano soltanto una sfida fisica, ma un naufragio dell'anima. Con l’Aprilia, quella squadra che inizia con la A ma comincia sempre dalla U di Umanità, che diviene confidente silenziosa, compagna capace di aspettare quel tempo, necessario ma ancora segreto, che servirà.
"La vera felicità – diceva Seneca - è non aver bisogno di felicità" e in questo silenzio Martín, mentre medici e fisioterapisti lavoreranno alle sue fratture, dovrà trovare insieme a Aprilia il suo equilibrio. Perché il botto è stato grosso e perché a tutti noi – anche se ci fa talmente paura da negarcelo o evitare di dirlo – ha ricordato una scena già vista ormai 14 anni fa. Esplorando anche quelle profondità che spesso non si vanno a toccare proprio per non ritrovarsi con altre ferite, ma fino a comprendere che la felicità, a volte, si insegue stando fermi. O comunque in maniera differente dal rincorrerla. Perché, come sembra ribadire Fossati, ci ricorda che esiste un tempo per ognuno di noi, un tempo che può essere negato o celato, ma che inevitabilmente finirà sempre per rivelarsi utile nella sua intima verità.
C'è un tempo perfetto per fare silenzio e un giorno che ci siamo perduti
In un mondo che chiede incessantemente a notizie e aggiornamenti, Martin si rifugia in un "tempo perfetto per fare silenzio". È un tempo di attesa che dovrà essere paziente, che poi è la cosa più difficile, dove la quiete diventa indispensabile per lasciar decantare la frustrazione e preparare la mente e il corpo al risveglio. Riabilitazione e introspezione, rinascita e resurrezione. Corpo e anima, insomma. Con, per tutti noi, il dovere della pazienza di non voler stare per forza a capire, di non voler necessariamente sapere quando, come, dove, Jorge Martin ritornerà.
Il vero ritorno per Jorge, adesso, è accorgersi che, come suggerisce Rilke, "la vera patria dell’uomo è la sua infanzia". Ecco, il gas aperto bisognerà tenerlo per tornare a quel bambino con un sogno enorme e ritrovare quella spinta lì, quella voglia lì, in un ragazzo, un uomo, che ormai è diverso e sicuramente meno capace della leggerezza del bimbo che è stato, ma che ha ancora quello stesso sogno. E in questo viaggio interiore, l’Aprilia diventa insieme Penelope e madre, riscoperta e ricostruzione, quasi a ribadire in maniera al limite dell’ossessione che non esiste realmente “quel giorno che ci siamo perduti”. Ma un insieme di giorni in cui ci si è trovati per ritrovarsi.
Dio, è proprio tanto che piove
"Dio, è proprio tanto che piove", lamenta Fossati, e sì, per Jorge Martin è davvero tanto che piove. Ogni sfiga un temporale che diventa metafora di una sofferenza implacabile in cui sarebbe fin troppo facile cedere alla conclusione che “tutto è nulla, solido nulla". Ma Giacomo Leopardi, che quella conclusione l'ha firmata, non avrebbe mai fatto il pilota di moto da corsa e l’Aprilia non è una siepe che impedisce un oltre.
Non c’è solitudine, ma c’è una famiglia, gli amici, gli affetti e un team che diventano “squadra” complice oltre che testimone. Un tesoro, insomma, che non osserva impotente il dramma continuo, ma lavora per mantenere la promessa di un cambiamento. O comunque di un miglioramento per fare in modo che non sia un altro inizio, ma semplicemente un seguito differente senza spazio per le insoddisfazioni dopo tanto soffrire.
C'è un tempo bellissimo, tutto sudato
Il vero nettare degli dei è il sudore. Perché non inebria, ma produce. Anche se l'odore è quello che è. E questo è qualcosa che Jorge Martin, come ogni pilota e probabilmente come ogni sportivo di altissimo livello, ha imparato e assimilato meglio di qualsiasi altro concetto. Lavorare malgrado tutto. E amare quel sudore che ha la capacità di lavare via il dolore e ricostruire. Fino a ritrovare la sua Aprilia, che a quel punto sarà anche simbolo potente e non più solo il mezzo verso i sogni. Nonostante il tempo.
Quale tempo? Quel "tempo che scopre la verità" che per uno che fa il pilota di moto da corsa è sempre e solo una: solo competere sfama. Solo competere cura. Solo competere è presupposto di vincere e trasformare. Anche quando l’avversario si chiama “sfiga” e prova a batterti con tutte le scorrettezze, le insistenze e le esagerazioni possibili.