La domanda che tutti si stanno ponendo in questo momento è sulla condizione fisica di Jannik Sinner. Che cosa può aver avuto a Cincinnati? Si è trattato solo di un virus, del caldo, o c'è un aspetto mentale che è stato sottovalutato? Lo abbiamo chiesto a Vincenzo Pincolini, uno dei preparatori atletici più noti e rispettati del calcio italiano ed europeo. Una carriera lunga e ricca di esperienze: dal Parma al Milan (dal 1986 al 1998 e poi ancora dal 2001 al 2003), passando per l’Atletico Madrid, la Roma, la Dinamo Kiev, la Lokomotiv Mosca e fino alla Nazionale ucraina. Oltre al lavoro sul campo, Pincolini ha sempre affiancato un’attività di scrittura, collaborando tuttora con la Gazzetta di Parma. Nel 2004 pubblicò con il professor Amos Casti il libro Doping 2004, che ebbe risonanza internazionale. Con lui abbiamo parlato del malore che ha fermato Jannik, delle pressioni psicologiche che accompagnano la sua ascesa, dei paragoni con Alcaraz, ma anche di calcio, tra mercato, giovani talenti ed equilibri di un campionato che si annuncia apertissimo.

Che cosa ha avuto Sinner a Cincinnati? Ancora non c’è una motivazione ufficiale…
È difficilissimo non pensare che sia anche qualcosa di psicologico, un peso mentale. Penso che questa maschera di ragazzo dall’alto controllo, fortissimo nel gestire le emozioni e tutto quanto, possa invece avere qualche debolezza normale per la sua età, per le pressioni che ha attorno. Non vorrei che fosse così: lui è sicuramente un predestinato, però anche i predestinati il primo posto se lo devono meritare. Il fatto che tutti si aspettino da lui solo vittorie probabilmente gli mette addosso un abito pesante da portare. Io gli augurerei che fosse un semplice virus, perché quelle sono cose che si superano e poi non ti lasciano strascichi per tutta la carriera.
C’è chi aveva parlato di attacco di panico.
Sì, il fatto che sia stato così improvviso fa pensare: il virus non arriva dalle 14 alle 14.15, ti mette in difficoltà gradualmente. Secondo me un po’ la sua corazza si è rotta anche con l’episodio del doping. Si è trovato a vestire un’accusa enorme. Io nel 2004 ho scritto un libro con un biochimico sul doping e non riesco a leggere nell’episodio di Sinner la minima radice di un fatto di doping. Siccome questi prodotti sono ormai così conosciuti, per lui è stato un colpo pesante. Ti chiedi come mai, a quei livelli, i rischi non siano stati gestiti meglio.
Da un punto di vista fisico, chi ritiene più in forma tra Sinner e Alcaraz?
A me Alcaraz dà l’impressione di avere una leggerezza maggiore: si prende due giorni con gli amici, magari mangia male apposta e poi torna a fare l’atleta con ferocia. Insomma, vive con più leggerezza. Uno come Sinner, che sta vincendo una semifinale o un quarto e dice al suo angolo di preparare un campo perché deve ancora mettere a punto la battuta, mi sembra invece uno che porta addosso una pesantezza, un obbligo continuo. Alla fine, questi obblighi diventano pesi. Io penso che siano mestieri duri: anche il calciatore di oggi, molto più che ai miei tempi, vive una maniacalità. Se giochi ogni due o tre giorni, devi avere la capacità di fare “switch off”: staccare per un giorno o due e poi rientrare. Se non hai questa capacità, prima o poi ti scotti.
A proposito di calcio: lei è un uomo che possiamo dire essere professionalmente “nato con Galliani”. Come vede il suo ritorno eventuale al Milani?
Io ho paura di tutti i ritorni. Penso che ci sia un tempo nella vita per fare certe cose. Se quel periodo è stato fortunato, è difficile ripetersi. Non do consigli, ma temo sempre i ritorni, soprattutto dopo aver fatto talmente bene da entrare nella storia. È difficile poi rivestire gli stessi abiti in tempi, situazioni e motivazioni diverse, e senza le stesse persone attorno.
Avrebbe Ibrahimovic vicino, ma non so quanto bene abbia fatto al Milan…
Secondo me non è mai entrato davvero nel cuore dei tifosi. Ha sempre dato l’idea di essere molto centrato su sé stesso. Da dirigente devi conoscere tutti i giocatori, anche quelli molto meno forti di te. Ho conosciuto campioni che non sono riusciti a fare gli allenatori perché pretendevano troppo dagli altri, come se tutti dovessero essere campioni quanto loro. Le squadre invece sono mosaici: servono qualità psicologiche, tecniche, tattiche e caratteriali diverse. E chi è stato troppo campione spesso fatica a cogliere certi dettagli.

L’Inter ha detto no al Napoli che ha offerto 45 milioni per Esposito, e anche all’Atalanta che offriva uno scambio con Lookman. Parliamo quindi di un’operazione da 50 milioni. È più un’operazione identitaria o economica?
In Esposito riconosco dei segni del campione vero. È giovane, ci si può sbagliare, ma ha qualità enormi. Sono legato anche a suo fratello Salvatore, che ha meno talento ma tanta personalità. Ha fatto gol da campione quest’anno allo Spezia. Esposito ha segnato gol di qualità incredibile. Quando un giovane ha certi colpi è perché ha l’estimate del campione. Se quest’anno in Serie A segna 15 gol, l’anno prossimo lo vendi in Premier a 100 milioni. Se l’Inter vuole diventare grande deve fare queste scelte. Il Milan, ad esempio, non le fa: aveva un giocatore come Reijnders, e se vendi l’unico giocatore forte significa che non hai ambizione o non puoi averla per motivi economici. Io rispetto tantissimo Beppe Marotta, e so che all’Inter queste valutazioni le fanno.
A proposito di giovani: quest’anno c’è Leoni che va al Liverpool.
Il Parma ha preso una cifra importante, ma il ragazzo rischia di non giocare mai. A quell’età devi giocare. Se avesse fatto un campionato intero di Serie A da buono a molto buono, avrebbe avuto una valutazione ancora più alta. Purtroppo, le squadre italiane diventano serbatoi per la Premier League. I giocatori vanno venduti al massimo della loro crescita, quando il valore è più alto.
Pronostico: chi è la favorita per il Campionato?
L’Inter è una grande squadra. Per me, oggi, Inter e Napoli hanno un vantaggio netto sulle altre. Poi se la giocheranno tra loro. Da milanista dico che l’Inter quest’anno può avere la cattiveria che l’anno scorso le è mancata. È un gruppo forte, ha espresso il miglior calcio in Italia. Se cancelli un mese storto dell’anno scorso, non avrebbe perso lo scudetto. Credo che quest’anno possa vincerlo e fare bene anche in Coppa, arrivando almeno ai quarti.
Ma non sarà una gufata da milanista?
No, assolutamente. È una squadra che mi piace molto. Già l’anno scorso dicevo: perché spendere 50 milioni per Lukman? Non è facile metterlo titolare in questa Inter. Hanno preso Bonny, che poteva sostituire Arnautovic, e secondo me la rosa è già buona così se tutti stanno bene. All’Inter l’anno scorso non è mancato un giocatore, ma un po’ di alternanza e freschezza fino alla fine.
Quanto ha inciso il fattore “Inzaghi out”?
Inzaghi è un allenatore che a me è sempre piaciuto. Non so se avesse già deciso, ma dopo la batosta della finale pensare di tornare davanti agli stessi giocatori dopo una settimana sarebbe stato durissimo. Magari aveva già deciso tre mesi prima di andare in Arabia, quindi le nostre considerazioni valgono poco. Però certe dinamiche psicologiche contano più dei risultati: affrontare lo spogliatoio dopo una sconfitta così sarebbe stato un impegno molto gravoso.