Un po’ Napoleone, un po’ Dumas e un po’ Hugo: figli di Francia anche a dispetto della Francia. Come Johann Zarco. Pilota, ma pure condottiero predatore, intellettuale provocatore e romantico senza smancerie, immaginato in quel momento lì, quando il Bugatti Circuit di Le Mans è rimasto vuoto con lui ancora sull’asfalto. Finalmente solo. Dopo essere stato tante volte solo, persino a 17 anni. Per scelta o per incomprensione. L’alito della pioggia che ha smesso di cadere, la tuta imbrattata di Prosecco, sudore e gomma mentre un po’ di quel vento lì - che solo chi è stato a Le Mans può riconoscere - gioca con i residui di adrenalina che continuano a fare a sportellate nelle vene. Tristezza? Magari anche un po’ di quella. Con gli stivali che finalmente fanno di nuovo rumore nel silenzio postumo e surreale di una gloria che ha sapore di miracolo. Miracolo, ma di quelli che solo gli umani ancora capaci di umanità sanno fare. A ripercorrere tutta una vita e pure ciò che gli è appena riuscito. Proprio a lui: pilota più anziano della griglia sopra una moto, per di più clienti, che non vinceva da anni.

Intorno? Solo fantasmi che fanno sorridere o vomitare: il motorino su cui fuggì da Cannes a 17 anni, rompendo con la sua famiglia, le urla soffocate e esplose nel box durante l’incubo KTM, lo sguardo pietrificato di Françoise, sua mamma, che per la prima volta in diciassette stagioni, ma proprio nel giorno della Festa della Mamma, ha osato varcare il recinto sacro delle corse per guardare da vicino quel cavallo matto- ma con gli occhi buoni - di suo figlio. E ancora il ricordo di un padre-soldato-manager tradito dopo un tradimento e il simbolo di un padre biologico che scoppia di fierezza con un dente perso e un figlio ritrovato. Ma non ritrovato e basta: ritrovato campione. Tutte tappe della marcia di un ragazzo che, come gli ha appena ricordato l’inno sul gradino più alto del podio, ha marciato, ha marciato e ha abbeverato i nostri solchi. Di muscoli e nervi, di pensiero e sangue, di sudore e potenza come un figlio di Francia, appunto. Mentre a Le Mans non c’è più nessuno e Johann è ancora lì, a marciare senza smettere, ma questa volta con la testa un po’ più in su, magari raccogliendo da terra qualcosa da trasformare in talismano per il prossimo pezzo della sua pacifica guerra che – come quella (non pacifica) di Napoleone, di penna Dumas e di pensiero di Hugo – non è mai contro gli altri, ma per la libertà di poter essere conquistatori, ma contestualmente poeti e operai, folli e lucidi e con l’unica, potentissima, arma dell’ostinazione sempre a portata di mano. E sempre carica.
Come Napoleone...
“La vittoria appartiene ai più perseveranti”- amava ripetere Napoleone. E Zarco ne ha fatto un tatuaggio dell’anima. La formazione del soldato Johann non è avvenuta, però, in accademia, ma nella caserma-domestica di Laurent Fellon, ex paracadutista che forgiava il suo allievo con metodi spartani: sveglie alle 5 per correre nel gelo, diete ferree, sessioni in pista fino allo sfinimento. Come Napoleone alla guida della Grande Armée, Johann impara a leggere gli scenari come nessuno, forse neanche immaginando che un giorno a Le Mans quella capacità di “capire prima in che teatro sarebbe toccato esibirsi” gli sarebbe valso un ingresso nella storia. Pilota, ma con il sonar e la consapevolezza dell’importanza di una strategia. La ritirata strategica dal team KTM nel 2019, in fondo, è stata l’apoteosi del suo modo di stare nelle corse. “Ho lasciato due milioni di euro sul tavolo pur di non perdere l’amore per la moto – confessò – Per pagare la penale posso anche vendere la casa che ho comprato per me e la mia famiglia, ma restare in KTM avrebbe significato per me ammalarmi e arrivare a odiare il mio sogno”.
Trasformare una disfatta in un atto di sovranità, quindi, come quel Napoleone che nella sconfitta aveva saputo lasciar cadere sempre anche il seme della rivincita. Una rivincita che per Johann Zarco è cominciata a Brno nel 2020, primo di tantissimi podi con la Ducati Pramac. E poi una vittoria quando ormai era già chiaro che la Desmosedici non sarebbe stata più la sua moto. Fino a Le Mans, la sua Austerlitz, dove ha sfidato la logica restando con gomme da bagnato mentre tutti facevano scelte diverse e cadevano sul campo: “La perturbazione stava arrivando, l’ho sentita nelle ossa”. Come un genio militare, insomma, capace di immaginare tutte le ossa rotte in tanti anni di corse come moderne stazioni meteo.

Come Alexandre Dumas (figlio)...
Con la guerra fatta fuori, però, uno come Johann Zarco c’entra meno di niente, se non nella misura intellettuale del combattere. Che è più un gusto del proprio modo fino a rendersi esercito identitario contro i soldatini omologati. “Quante strade e quante ragioni crea il cuore per arrivare a quello che vuole?” – si chiedeva, conoscendo già la risposta, Alexandre Dumas (non il babbo, ma il figlio) . Quello che Zarco voleva era essere pilota, magari campione, ma restando Johann. Semplice e stravagante. Come Dumas figlio, appunto, che sfidò l’ipocrisia borghese dell’800 francese parlando di divorzio, sessualità e diritti delle donne. Zarco è l’anticonformista non chiassoso di un mondo iper-regolamentato. Mentre i colleghi sfilano sul tappeto rosso con abiti firmati, lui irrompe in maglietta e pantaloncini. Con l’aria di uno che ha appena finito di legare i pomodori nell’orto. Beffardo. Eppure autentico.
“Non sono un manichino – disse una volta a chi glielo aveva fatto notare - io sono un pilota”. Che poi è la frase che disse anche all’uomo a cui ha dovuto tutto, ma che l’ha anche tradito, nascondendogli che la Honda, esattamente la Honda, l’avrebbe voluto in MotoGP. Ecco, proprio nella rottura col padre-manager Fellon – raffigurato per anni sul casco – si ritrova il conflitto tra Alexandre e Dumas padre: entrambi scelsero l’autoesilio pur di non tradire la propria voce. Persino la vittoria a Le Mans ha il sapore di un atto teatrale: il backflip senza casco, “per vedere dove atterro”, è la metafora di un uomo che rifiuta le coreografie prefabbricate, vive di sogni, ma vuole capire dove mette i piedi. Anche quando è stato lui stesso a prefabbricarle. Un signore delle camelie che ha trasformato le proprie ferite in arte: dalle notti insonni dell’incubo con KTM a quel documentario, “Team Zarco”, in cui s’è mostrato persino nudo (e Rocco scansati!).

Come Victor Hugo...
Condottiero, quindi, autore provocatorio ma senza chiasso e poi? E poi, manco a dirlo, eroe romantico. Di un romanticismo senza piagnucolamenti e stomachevoli dolcezze. Solo tanta - tantissima oltre l’umano possibile - passione. Come Victor Hugo. Con la forza, però, di dare da mangiare a quella passione ogni giorno, anche quando il mangime per la passione costava l’assurdo e neanche si trovava senza una gran fatica. Zarco – il pilota che suona Chopin negli hotel del mondiale – a Le Mans ha fatto un assolo di rock and roll esistenziale trasformando in strumento tutti i rottami del destino, prendendo la parte buona di ogni pezzo rimasto. “Guidando quella moto (la sua Honda) – ha raccontato - ho ritrovato la connessione totale, l’essere uno col metallo. Ecco perché, pur vedendo i messaggi di Lucio che mi chiedeva di rallentare, ho preferito continuare a guidare come mi sentivo”.
La moto come mezzo, l’ostinazione come punto di appoggio. Dentro il cielo matto di Le Mans ha, senza saperlo, anche innalzato un monumento alla consapevolezza (Liberté) all’accettazione (Égalité) e alla riconciliazione (Fraternité). “La felicità di mia madre vale più di qualsiasi trofeo – ha detto dopo un abbraccio visibilmente irrigidito, ma voluto – lei non era mai venuta in diciassette anni. Ora non le chiederò, però, di venire ancora perchè capisco che è uno stress. Io proverò a vincere ancora anche senza averla nel box”. Una chiusa, questa, che sarebbe stata identica anche sulla penna di Victor Hugo, che a Zarco sembra aver dedicato uno scritto circa duecento anni prima che Zarco nascesse. Eccolo: “chi è soltanto audace non ha che un temperamento; chi è soltanto coraggioso non ha che una virtù; l'ostinato, invece, ha la grandezza. Quasi tutto il segreto delle anime grandi si racchiude in una parola: perseveranza. E’, rispetto al coraggio, ciò che è la ruota rispetto alla leva: il perpetuo rinnovarsi del punto d'appoggio. Tutto sta nell'andare alla meta, sia essa sulla terra, sia essa nel cielo; nel primo caso si è Colombo, nel secondo Gesù”. Oppure si è Johann Zarco, se è tra l’asfalto e la pioggia, sopra a 270 cavalli, a Le Mans.