Vedi Ignacio Sagnier in televisione e all’inizio pensi a una guardia del corpo, a un informatore dei servizi. È l’uomo costantemente presente al parc fermé con cuffie in testa, un paio di Aviator a coprire gli occhi e movimenti precisi come una sentenza: i piloti chiedono a lui, obbediscono a lui. Ignacio ha colto da vicino i momenti più tesi di questo sport, registrando quello che è successo davvero in quegli istanti lì, quando i piloti scendono dalla moto e levano il casco. Ignacio è discreto ma presente, spesso in secondo piano nelle dirette e riflesso negli occhiali dei piloti in un gran numero di foto.
Soprattutto però, Ignacio Sagnier è Direttore della Comunicazione e Promozione per Dorna. “Tu mi hai trattato malissimo”, mi dice la prima volta che ci incontriamo a cena. Penso a uno scherzo, invece lui - cinquant’anni, alto, fisico atletico, tratti scolpiti - non ride. Mi comincia a parlare di una capra nel paddock e delle sue idee, ha un che di William Dafoe. Ci metto un attimo a realizzare che è stato lui, assieme a Cristian Massa (Comunication Director di Gresini Racing), ad accompagnare in pista la grossa capra che è stata messa nel box di Marc Marquez a inizio stagione, cosa che mi sono ben guardato dal dire. Dopo due bicchieri di vino ne stiamo ridendo.
Scopro che quest’uomo è appassionato, divertente e del tutto sovrastato dal suo lavoro: “Il mio compito al parco chiuso sarà il cinque percento di quello che faccio”, dice. Il resto: gestire gli ospiti importanti ad ogni weekend di gara, organizzare gli eventi che lanciano un GP, promuovere il campionato e tutta una serie di altre cose, tra cui gli show del dopo gara che stiamo vedendo sempre più spesso con i DJ sul podio. E poi i momenti con Valentino Rossi, quelli con Casey Stoner e con Andrea Dovizioso, con Marc Marquez. Ma anche i raccomandati che lavorano in Dorna e Cesare Cremonini che entra al ristorante vestito da spacciatore. Quando esco dall’hospitality Gresini, che ci ha ospitato per l’intervista, ho una risposta importante: cosa manca a chi ha avuto tutto? Niente, solo qualche sogno rimasto a metà.
Allora, partiamo dall’inizio: chi cazzo è Ignacio Sagnier?
“Ah, partiamo così? Va bene (ride, ndr). Una volta a Budapest, facendo tardi con degli amici, me ne sono uscito dicendo che il mio problema è che sono too sparkling for the society, troppo spumeggiante per questa società. E questa è diventata un po’ una frase per definire il mio carattere, la mia maniera di lavorare e di vivere. A volte mi sento un po’ incompreso perché forse sono troppo intenso, la mia testa lavora come una lavatrice e capita che mi trovi a ragionare con due settimane d’anticipo, devo imparare a fermarmi e godere del momento. Sì, a volte sono troppo intenso, troppo agitato”.
Quindi come sopporti la pausa estiva, quando magari ti trovi da solo a casa senza qualche problema a cui pensare?
“A me non frega un cazzo, vado a un concerto da solo. Perché se c’è un buon concerto la sera, la mattina già mi sveglio meglio. A volte preferisco addirittura andare da solo piuttosto che farlo con qualcuno a cui magari non piace quella musica, non è un problema. Per me la musica è vita, per favore scrivilo”.
Questo sei tu. E il tuo lavoro in Dorna? Nessuno sa troppo bene di cosa ti occupi nella MotoGP.
Ignacio ridacchia.
“Sono entrato qui nel 2011, dopo dieci anni passati a fare il giornalista per Sport, un quotidiano nazionale spagnolo. Seguivo soprattutto il calcio, ho scritto del Barcellona per sette anni”.
Ti sei trovato a scrivere del Barcellona di Leo Messi.
“Sì, esatto! Pensa che ho fatto la sua prima intervista dopo il suo debutto ufficiale con la prima squadra. L’abbiamo fatta io e Jorge Lopéz, un giornalista argentino che avevo ospitato da me. Quando sono arrivato a Sport nel 2002 mi hanno chiesto cosa mi piacesse, io risposi che volevo i motori e il Barcellona. E mi hanno mandato a fare il calcio, dove ogni giorno ci sono 20 pagine da scrivere. Era un momento in cui i calciatori cominciavano ad essere meno accessibili, dovevi essere un po’ creativo, trovare l’esclusiva. Nel 2011 mi chiamarono da Dorna proponendomi di seguire il motomondiale. Sai, dopo quasi dieci anni a Sport ero riuscito ad avere un contratto a tempo indeterminato, avevo spinto moltissimo per arrivarci. Chiamai un amico che mi disse ha di non pensarci due volte e a febbraio del 2011 entrai come Content Manager. Devi pensare che al tempo non c’era Instagram o tutta questa roba dei social, era tutto più piccolo e facile. Alla fine sono diventato Direttore della Comunicazione e da quest’anno sono Direttore delle PR, Promozione e Attivazione del Campionato. Questo vuol dire che cerco di promuovere la MotoGP anche nei luoghi in cui non andiamo, per arrivare a un pubblico che non segue il campionato o che non la conosce bene. Allo stesso modo, è il nostro lavoro cercare di portare alle gare gente famosa".
Quindi quando Keanu Reeves vuole venire a vedere una gara della MotoGP è con te che deve parlare.
“Parla con il mio dipartimento, sì. E noi proviamo a organizzare le cose in modo che lui si senta bene. Quando un personaggio come lui o Jason Statham vuole venire a una gara cerchiamo di fare un passo verso di loro”.
Tutti però ti conoscono come l’uomo del parc fermé, con gli occhiali e la radio alle orecchie.
“Mi trovano lì dal febbraio del 2011! Da quella volta ho perso solo un parco chiuso a causa del Covid, Mugello 2021. Era il giorno in cui dovevamo ritirare il 46 di Valentino Rossi e la povera Carla (Carla Campo Casajus, sua assistente, ndr) ha dovuto fare tutto da sola. La gente mi vede l’ e pensa che io faccia solo questo, invece sarà il cinque, dieci percento del mio lavoro. Nel mio dipartimento siamo piccoli, ma forti: gestiamo i rapporti con i team, con la FIM, con IRTA”.
Un parco chiuso che ti ricordi meglio degli altri?
“Ah, i piloti scherzando mi dicono che sono sempre in pole, ed è vero che ho vissuto i campionati stando molto vicino a quello che accadeva. Ricordo la vittoria di Valentino Rossi in Argentina nel 2015, con la maglietta di Maradona… incredibile. E il mondiale a Valencia di Joan Mir, un mondiale strano e senza pubblico, contro il pronostico. E poi momenti di allegria, di tristezza, piloti vicini alla vittoria che poi hanno perso nei metri finali. Sono cose che alla fine non hanno prezzo. E poi magari mi è capitato di fare qualche foto per i social che, in alcuni casi, sono diventate notizie”.
Che cosa ti lasciano i piloti?
“Io li rispetto, perché loro si giocano la vita. Un calciatore può correre dieci chilometri in una partita e otto chilometri in quella dopo ma nessuno se ne rende conto, loro invece ci giocano la vita dall’ultimo della Moto3 al primo in MotoGP. E non è normale, ho visto morire Marco Simoncelli, Jason Dupasquier, Luis Salom. Se ci ripenso sto ancora male, poi con Luis avevo un rapporto diverso: ogni giovedì veniva nel nostro ufficio a salutare, era una tradizione. Facevamo una chiacchierata prima di iniziare tutta l’attività coi media. Quando ho visto la sua caduta ho pensato che fosse una scivolata come tante, ma poi… mi ha fatto soffrire molto. Queste cose ti ricordano di quanto si giochino questi ragazzi. Siamo fortunati, col rischio che c’è succedono anche poche cose, questo è uno sport molto duro”.
Secondo te invece cosa sbagliano i piloti nella loro comunicazione?
“A volte - ma succede in tutti gli sport - non dicono quello che pensano. Poi ci sono piloti come Jorge Lorenzo e Pedro Acosta, che invece dicono sempre quello che pensano. Lorenzo era sincero e ha sempre pagato per questo, però non voleva dire delle bugie perché si sentiva male a farlo. Anche Pedro Acosta è così, vede questo sport come un gioco e lo vede facile, evidentemente ha un talento alla Casey Stoner, alla Valentino Rossi, alla Marc Marquez. Detto questo credo che gli altri piloti sbaglino a trattenersi, anche se la colpa è della gente, della stampa e delle TV, perché in questo mondo se dici quello che pensi finisci per pagarla il giorno dopo. Per riassumere: i piloti adesso parlano con troppa cautela, però non è giusto che dire la verità sia così caro”.
Tra i media, i tifosi e i piloti ci sono gli addetti stampa, i press officer. Dei grandissimi rompiscatole?
“Allora, in tutti questi anni abbiamo fatto eventi a Venezia, a Londra, a Melbourne… abbiamo chiuso le strade e portato la MotoGP ovunque, siamo addirittura arrivati a simulare un Palio di Siena. In MotoGP c’è un’enorme varietà di press officer, quelli che ci aiutano e quelli che difendono, a volte troppo, i propri piloti. La verità è che in questo lavoro bisogna che tutti remino nella stessa direzione. Penso all’evento del 75° anniversario: alcuni team che sono stati creativi e hanno collaborato alla grande all’inizio si erano rifiutati, dicevano che sarebbe stata una follia. Alla fine, dopo mesi di lavoro, siamo riusciti a mettere in piedi una bella festa. E i piloti guardavano le moto degli altri, postavano foto… è stata una celebrazione di team e piloti, ma anche del paddock”.
Penso agli eventi che organizzate ogni mercoledì di gara, i pre event della MotoGP. Come decidete quali piloti coinvolgere e che attività sviluppare?
“Beh, facciamo sempre una chiacchierata preliminare con il Press Officer o il Team Coordinator per fare in modo che il primo no (i press officer non sono quasi mai entusiasti, ndr) possa diventare un si, anche se a volte ho la sensazione che questi eventi li faccia per me. Per l’evento in sé a volte collaboriamo con il promoter, altre è il pilota a darci l’idea. Fabio Quartararo per esempio mi aveva chiesto di entrare al Parc des Princes del PSG e lo abbiamo fatto, è entrato nello stadio del Paris Saint-Germain con la sua moto dopo l’allenamento della prima squadra. Per Marc Maruqez abbiamo chiuso il Millennium Bridge e lui ha girato con la MotoGP, per Jorge Lorenzo abbiamo messo la Ducati su di una gondola che ha attraversato il Canal Grande e si sono trovati in piazza San Marco. Abbiamo fatto il Palio di Siena, un evento nello stadio del Chelsea, un flash mob nel 2011 davanti alla Sagrada Familia. Il più importante è stato in Indonesia a Jakarta, nel 2022. È stato veramente emozionante, abbiamo fatto una griglia con una ventina di piloti e sfilato con il presidente, che è venuto con una giacca di pelle a salutare tutti i piloti, con le strade bloccate in pieno centro”.
Non voglio una risposta politica, quindi se non puoi dire quello che pensi andiamo oltre. Come vedi la MotoGP con Liberty Media?
“Penso che Liberty Media sarà il trampolino di lancio per questo campionato. E credo che la MotoGP meriti e debba avere una spinta, c’è bisogno posizionarsi più in alto”.
Perché, cosa manca a questa MotoGP?
“Penso che manchi carattere, facce, piloti diversi. Tra gli anni Ottanta e Novanta tutto il mondo conosceva i piloti americani come Kevin Schwantz, Eddie Lawson, Wayne Rainey. Mi dispiace, ma penso che dovremmo fare come la Formula 1: lì non ci sono solo Hamilton o Verstappen, la gente conosce anche Stroll, Piastri… dobbiamo portare tutta la griglia alla gente e fare un po’ più di show, ma questo paddock non è ancora preparato per la spinta di Liberty”.
Sei o sette anni fa sono venuto nel paddock ospite di uno v e mi hanno affidato a un vostro collega di Dorna. Quando gli ho chiesto cosa serviva per fare il suo lavoro, lui è stato chiarissimo: “Devi essere raccomandato”. È vero?
Ignacio ride, al tavolo con noi sono sedute altre quattro persone e tutti capiscono in un attimo di chi sto parlando.
“Questa è una bugia, perché io non sono stato raccomandato da nessuno! Mi hanno chiamato perché facevo i motori a Sport. Anche Carla non la conosceva nessuno, mi avrà inviato duemila mail… però è vero, noi siamo delle eccezioni. Io stesso ho raccomandato gente per lavorare in Dorna, gente a cui ho detto ‘se sbagli a fare il tuo lavoro ti ammazzo’”.
Chi è Carmelo Ezpeleta?
“Uno da cui puoi imparare qualcosa ogni volta che apre la bocca”.
D’accordo. Quindi qual è la cosa più importante che hai imparato tu da Carmelo Ezpeleta?
“La sua fermezza. Se ci sono critiche e lamentele su Dorna per il calendario e per il motomondiale lui non ci bada. Ha la sua strada e fa quella, non farà mail la strada che la gente pensa possa essere buona. Lui sigue la strada di Carmelo ed è sempre uno o due step avanti”.
Ezpeleta è sempre alle corse e segue tutto con attenzione: la MotoGP è dipendente da lui?
“Guarda, ho sempre detto che avrei voluto vedere la MotoGP il giorno dopo del ritiro di Valentino Rossi. C’è stato un buco quando è andato via, c’era una dipendenza nei suoi confronti che per me era troppo pericolosa. Io penso che Dorna non fosse preparata per il suo addio, nemmeno il motomondiale o il paddock. Come sarà dopo Carmelo Ezpeleta? Bueno, dobbiamo aspettare. Penso che da oggi ai prossimi due o tre anni sarà uno scrambled egg, un uovo strapazzato”.
Ti chiedo di raccontarmi qualche aneddoto. Partiamo da un pilota.
“La mia prima gara, nel 2011. Mi mandano al parco chiuso dicendomi che avrei dovuto portare i piloti a fare le interviste. Io ero come un piccione, completamente perso. Quel giugno ’era Casey Stoner, un personaggio. L’ho preso e gli ho dato una spintarella per fare la sua intervista. Casey Stoner si è girato e mi ha detto: ‘You can talk to me but you can’t push me’, guardandomi dritto negli occhi. Mi avevano avvisato che Casey sarebbe stato un po’ difficile. Era la mia prima gara, gli ho detto di non preoccuparsi, che avrei provato ad imparare. Due anni dopo, quando ha deciso di ritirarsi, gli ho ricordato di quel momento. Lui mi ha ridato tutto indietro: ‘Se sei ancora qui è perché hai fatto un buon lavoro, amico’”.
Un GP.
“Dal punto di vista organizzativo ricordo Valencia 2015, per tutto quello che quella gara si portava addosso dalla Malesia. Abbiamo annullato la conferenza stampa, c’erano le TV senza diritti che aspettavano fuori alla rotonda per entrare… un casino della Madonna per tutto quello che sarebbe potuto succedere. È stato veramente una bomba”.
Chi aveva ragione?
“Eeeh, mamma mia. Talmente tanti discorsi diversi… Ma come faccio a rispondere, mi incasini!”.
D’accordo. Le feste migliori dove le hai fatte?
“Austin è sempre un bel posto per fare festa, troviamo sempre quei due o tre concerti nella settimana in cui siamo lì”.
Hai portato tanti ospiti in MotoGP. Quali ti ricordi di più?
“A Silverstone una volta abbiamo portato Brad Pitt, in Portogallo Mourinho… Ma sono veramente tanti. Penso anche a Tom Cruise, Jordan e Maradona, ma all’epoca non c’ero io”.
Quali sono i numeri più fighi che hai in rubrica?
“Calciatori, musicisti… un vip che non ho menzionato e che è molto gentile è Cesare Cremonini. Abbiamo un buon rapporto, lui è sempre educato, quando viene ai GP vuole sempre essere in seconda fila… Te ne racconto una. È il 2021, Valencia. Ritiro di Valentino Rossi. Eravamo a cena con Anna Peleteiro, un’atleta spagnola, e mi scrive sabato sera la Ginevra, la sua manager, anche lei molto carina: mi dice che Cesare ha deciso di venire e io gli chiedo con che aereo pensa di fare, perché è sabato e sono le 20. Lei ridendo mi ha risposto: ‘Il suo!’. Così Cesare arriva a Valencia alle undici della sera, noi eravamo ai ristorante e lui è entrato con una felpa nera, il cappuccio, gli occhiali da sole in testa. Gli abbiamo dato la busta con l’accredito e lui se n’è andato come un ladro. È stato come un film”.
Hai un lavoro che ti piace, hai fatto carriera, viaggi molto, vai ai concerti, immagino tu non abbia grosse preoccupazioni economiche. Qual è il senso della vita per Ignacio Sagnier?
“Essere sempre in giro. Mi piace fare la vita normale nei posti in cui viaggio. Senza fretta, godendomi il momento. In questo lavoro abbiamo la fortuna di stare in tanti bei posti e bisogna sfruttarla”.
Cosa ti manca?
“Niente. Mi pento solo di non aver imparato a suonare la batteria abbastanza bene. Sono un batterista frustrato”.