È il giovedì del Sachsenring, sono a cena con Vera Spadini e le racconto di questa intervista: è venuta densa, oltre le aspettative. Le dico che da Pecco Bagnaia non me lo sarei aspettato. Vera risponde come se le avessi parlato della differenza tra un cane e una gallina: “Ma per forza, Pecco è l’emblema del Rock ’n Roll”. Non dire cose da televisione Vera, parla chiaro, spiegami cosa intendi. Lei, con grande risolutezza e un po' di pazienza: “Beh, se ci pensi il Rock ’n Roll è la purezza, l’assenza di sovrastrutture, mostrarsi per quello che si è davvero”. Vera ha ragione e io ho l’attacco del pezzo, forse anche il titolo: Francesco Bagnaia se ne fotte di farci tutti contenti, Francesco Bagnaia è il principe del Rock ’n Roll. Fedele a sé stesso, un suono raffinato alla Deep Purple, per cultuori del genere, zero poser. Non Valentino che è immenso e universale come gli Stones o Marquez sregolato alla Led Zeppelin: roba più studiata ed elitaria ma altrettanto potente. È uno che scrive la storia sul diario e non sui muri, uno che per capirlo lo devi ascoltare. Francesco Bagnaia è più forte dal vivo che sui social e, in estrema sintesi, è incredibilmente vero.
Nell' ufficio di Bagnaia c’è il basso che è servito per regalare un tributo a Gene Simmons, leader dei Kiss, dopo la vittoria di quest'anno al Mugello. Appese sui muri ci sono bandiere, piccole cose, disegni: “Questo è un po’ quello che abbiamo raccolto negli anni dai vari ragazzini, bambini”, mi dice. C’è la lettera di un fan mandatagli al Mugello. Questo è di una bimba, Cecilia. Questo ce l’ho dalla Moto2. E poi le bandiere. “Questa è quella che il mio fan club mi porta sempre”. Gli chiedo se è fisicamente sempre la stessa, dice di sì.
A questo punto mi invita a sedere su di un lungo divano. Su di una sedia lì vicino c’è Artur Vilalta, il suo addetto stampa. Di fronte, in silenzio e seduta per terra, la sorella Carola Bagnaia, una sfinge. Una grossa TV è puntata, in muto, sul canale 208 di Sky, che sta mandando una gara in replica. Pecco sta per vincere il Gran Premio di Germania, il quarto di fila, per sposarsi in testa al mondiale durante la breve pausa estiva.
Cazzo... Eccomi finalmente davanti all’uomo più veloce del mondo su di una moto.
«Ma dai…».
Cos’è per te la moto? Mi immagino il momento in cui ci sali dopo un inverno, quando torni a sentirne l’odore e ritrovi tutte le cose al loro posto: pedane, pulsanti, comandi, adesivi.
«Io sono estremamente innamorato di tutto quello che riguarda il motociclismo sportivo e devo dire che salire sulla moto è il momento più bello, anche se purtroppo è anche quello che dura meno. In ogni caso per me è un godimento e quando riparte il campionato è un periodo fantastico, il migliore di ogni anno».
È l’ultima intervista da celibe che rilasci, almeno su MOW, quindi ne voglio approfittare: ti è mai capitato di avere a che fare con ragazze completamente pazze di te, che ti inseguono con l’unico obiettivo di strapparti i vestiti?
Pecco ride, si gratta la testa.
«Fortunatamente non sono abbastanza bello per avere questo tipo di seguito».
A volte mi fai un po’ arrabbiare perché non sei esattamente uno dei piloti con cui è più facile passare un quarto d’ora come questo. Poi penso a Fabrizio De André, che in un’intervista disse ‘Non ho niente da raccontarvi, ascoltate le mie canzoni che lì c’è tutto’.
«Mi piace».
Tu hai un po’ questo approccio? Del tipo ‘guardate la pista, faccio parlare lei’?
«Sicuramente non sono il più loquace o il più sim… beh, no, io mi sento molto simpatico (ride, ndr). Come si dice? Non sono il più estroverso, ecco. Ma penso che ognuno sia fatto a modo proprio, non vale la pena diventare quello che vuole la gente. Ognuno dovrebbe tentare di essere sé stesso».
Ci vuole coraggio.
«Ma sai, nel mondo di oggi ormai devi essere uno showman per piacere e ogni tanto mi sembra che i risultati vengano anche messi un po’ in secondo piano sotto alcuni punti di vista: per me non dovrebbe essere così, soprattutto quando fai lo sportivo».
Il successo è più un peso o un’opportunità?
«Il successo per me è una conseguenza. Non è mai stato un peso, diciamo che ci sono delle situazioni fuori dal circuito in cui magari vorrei stare un po’ più tranquillo. Però non mi è mai capitato di pensare che è troppo, che non ce la faccio più. Quando vedi l’amore, l’ammirazione da parte della gente, è sempre molto bello».
Un’altra cosa molto tua mi sembra la celebre frase di Steve McQueen: Life is racing, everything else is just waiting. Se potessi arrivare qui, correre ed andartene lo faresti?
«Ah, per me sarebbe il massimo (ride, ndr). Però è anche bello avere un rapporto con i fan, così come l’idea che voi giornalisti facciate un po’ da tramite tra noi e le persone… Anche se ogni tanto ci mettete i bastoni tra le ruote».
Con il passaggio di Marco Bezzecchi in Aprilia, la VR46 Riders Academy dimostra ancora una volta di aver fatto un lavoro eccezionale: Franco Morbidelli è stato nel team ufficiale con Yamaha, Luca Marini è in Honda, tu in Ducati e adesso, appunto, Marco in Aprilia. In breve, siete arrivati tutti all’apice. Perché?
«Quello che ogni tanto forse qualcuno sottovaluta è che noi facciamo un lavoro pazzesco. Fisicamente siamo estremamente preparati, mentalmente davvero forti. È difficile che qualcuno riesca a metterci i piedi in testa ed è un grandissimo valore aggiunto che i Team Manager conoscono bene. Così, quando devono scegliere un pilota, sanno che chi viene dall’Academy ha una formazione eccezionale, una cosa che può incidere molto nella scelta».
Con la GP22 e la GP23 hai vinto due titoli mondiali: perché, secondo te, Marco Bezzecchi fa così fatica con la moto dello scorso anno rispetto a quella di due anni fa?
«Non lo so bene, ogni pilota richiede un po’ le proprie cose. Io con la GP23 mi sono trovato bene, anche se la moto migliore da quando corro con Ducati per me è la GP22: è la più riuscita in assoluto, non aveva punti deboli, fantastica. Penso che se corresse la 22 ancora oggi sarebbe al top del top. La 23 aveva i suoi punti forti, più grip della 22 ma difficile in frenata, mentre la 24 ha meno grip e gira di più, oltre ad essere un pelino meglio in frenata. Ci sono pro e contro, la capacità di adattamento deve essere molto alta e anche con questa moto qui (la GP24, ndr) non sono partito subito molto bene. Nei test abbiamo lavorato tanto, lasciando però in sospeso alcune cose che ad un certo punto abbiamo dovuto affrontare. Il venerdì di Jerez è stato il test più importante di questa stagione».
Intendi dire il lunedì di Jerez?
«No, il venerdì. Lì abbiamo cambiato molto la moto: avevamo l’idea di adattarci alla moto senza cambiare niente, eppure la configurazione che avevamo lì non era troppo nelle mie corde e facevo delle gare in difesa, come a Portimão e Austin. Invece dal venerdì di Jerez abbiamo fatto uno step enorme riuscendo a inquadrare di più questa moto e da lì in avanti siamo sempre andati in progressione».
Tornando all’Academy e a Valentino Rossi. C’è mai stata qualche volta in cui l’allievo ha fatto incazzare il maestro?
«L’ultima volta secondo me è stata - più che incazzato non ci poteva credere - a Barcellona per la Sprint, quando mi sono steso all’ultimo giro. Ero primo con nove decimi di vantaggio, mancavano nove curve. Però capisce anche la dinamica, sa perfettamente come sono le corse, sa anche che siamo arrivati a un punto in cui basta un niente a finire per terra mentre una volta era diverso. Un’altra occasione in cui gli giravano un po’ è stato a Valencia l’anno scorso, quando abbiamo deciso di correre con la media nella Sprint invece di scegliere la soft come Martín: quando sei in quella situazione devi marcare il tuo avversario».
Ora Valentino ha annunciato il secondo figlio, Luca Marini aspetta il primo. Tu come sei messo?
«Ah, io adesso mi sposo. Poi quando sarà il momento si vedrà».
Marco Bezzecchi, scherzando, ha detto che essere il figlio maschio di Valentino Rossi sarebbe dura.
«Allora, secondo me per forza di cose sarebbe improntato ad andare in moto, però Vale è un papà tranquillo. Non è uno di quelli che ti dice che devi fare questo e quell’altro».
Che è stata anche la tua fortuna.
«Assolutamente sì. Mio padre è sempre stato dell’idea che se vuoi fare una cosa devi farla al massimo, però non è mai stato ossessionato dall’idea che io dovessi andare in moto».
Parlavo l’altra sera con Guido Meda. Si chiedeva se farà in tempo a commentare il tuo nono titolo mondiale o se lo vedrà in pensione, dalla sua barca a vela.
«Il nono mondiale… minchia, ne mancano ancora altri sei».
Cinque e mezzo?
«No, sei. Penso di correre almeno fino ai trentacinque anni, a quel punto si vedrà».
Da Aragon 2021 hai battuto quasi sempre Marc Marquez. Quando non è successo vi siete stesi tutti e due. È un po’ l’approccio alla Ayrton Senna, o passo io o nessuno?
«Secondo me frenando molto forte divento molto difficile da superare. Quindi se uno vuole passarmi tende ad andare largo e io incrocio, la dinamica più o meno è quella. Arriverà il momento in cui faremo una lotta alla Aragon ’21 o alla Jerez ’24. C’è da dire però che io a Jerez ne avevo di più, quando è arrivato sapevo che avrei potuto spingere per andare via di nuovo. Invece ad Aragon ne aveva un po’ di più lui. L’approccio alla Ayrton Senna… io voglio vincere. Non me ne frega niente del resto. Non esiste che io mi accontenti di fare secondo senza prima averci provato. E farò sempre il massimo per arrivare il più avanti possibile, sia lottando per una decima posizione che per una vittoria».
Ci piace così.
«Dev’essere così. Altrimenti non avrebbe senso fare quello che faccio».
Una risposta secca: ne hai di più o di meno di Marc Marquez?
«Io adesso vado più forte di Marc. Poi si vedrà, sicuramente le aspettative della gente su di lui erano ben diverse. Noi lavoriamo in silenzio, stiamo zitti e appunto… parla la pista. Perché io non ho mai sopportato questa abitudine di dare sentenze prima di vedere il lavoro. Si diceva che Marc con la Ducati avrebbe stravinto, ora si dice che non ha la moto uguale. Il prossimo anno vedremo».
Ti diranno che vinci perché l’hai sviluppata tu.
«Eh, a quel punto è per rompere i coglioni. Quello che sarà lo vedremo, io devo divertirmi e fare il massimo, sappiamo qual è il nostro potenziale e che facendo tutto bene… so perfettamente che la mia forza è quella di riuscire a individuare la situazione. Secondo me al momento abbiamo davvero pochi avversari. Poi si vedrà».
Sei molto critico con te stesso. Come prendi le critiche degli altri?
«Se fatte da persone che hanno il mio rispetto provo ad accettarle, ad analizzarle. Se invece penso che uno mi faccia una critica tanto per farla mi fa solo ridere. Ce ne sono tanti».
Sui social?
«In generale».
E la pressione del tifoso, la senti?
«Non me ne frega niente».
Ti commuovi mai? magari ripensandoti bambino, oppure vedendo dei fan. O magari, ancora, aprendo l’armadio di casa, quando ti rendi conto di tutta la roba che hai da mettere.
«Io mi commuovo, sì. Con canzoni, film, a pensare a certe cose… sono uno abbastanza emotivo, poi ci sono dei periodi in cui mi emoziono di più, in cui sono più sensibile. Questo è un periodo così, non so se per via del matrimonio, non ne ho idea. Ma anche l’anno scorso a fine stagione, o quando corro al Mugello. Sono periodi in cui sono un po’ più sensibile».
E ti prende a tradimento.
«Sì, ti prende a tradimento».
Per un attimo Pecco è altrove, rischia quasi di emozionarsi.
Cos’è la velocità?
«È parte del mio mondo, anche se non ci penso mai. Andiamo velocissimi, ma quello della velocità è un discorso molto ampio: c’è la velocità di pensiero, quella di adattamento, la velocità con cui bisogna agire. Ci sono tante velocità in questo mondo e bisogna essere pronti a gestirle tutte».
Hai paura della morte?
«Chi non ce l’ha? È normale. Lo accetti, anzi eviti di metterti in quella condizione, però comunque è la vita. Sai che tutto può succedere. Ho sempre visto la paura come il limite: quando inizi ad averne è perché lo stai superando, è giusto che ci sia».
Hai mai qualche paura irrazionale, per esempio l'idea di svegliarti un giorno senza talento?
«Ogni inizio anno… la mia paura più grande è quella di non riuscire fisicamente a finire la gara. È una paura che ho da sempre, fortunatamente non mi è mai successo, anzi. Riesco sempre a fare le gare, sono quasi più difficili i test. Però la mia paura più grande è quella: parti per la gara e sei stanco, non ce la fai, ti devi ritirare».
Hai vinto tre titoli mondiali, ti stai giocando il quarto. Il tuo senso di appagamento deve durare pochissimo perché continui a importi obiettivi enormi. Come gestisci questa cosa?
«Cerchi la vittoria, è un circolo virtuoso. Non ti potrai mai stancare di vincere, è una sensazione… una delle cose che a me dà più gusto in assoluto è fare la pole position, lì dai il cento per cento e il giro di Assen per esempio è stata una botta di adrenalina enorme, una figata mostruosa. Poi c’è vincere, quello ti dà un gusto che nient’altro riesce a darti. Nella vita di tutti i giorni ci sono altre cose, ma il gusto della vittoria è difficile provarlo in altri ambiti. E fare secondo è qualcosa che proprio ti… ti rode proprio dentro, sto male quando faccio secondo. Arrivo a casa, mi girano, mi devo allenare di più perché devo scaricare. Non ti potrai mai stancare di vincere».
Tu credi nel destino?
«Sì. Penso che tutto sia delineato dal destino».
Il tuo destino come lo immagini?
«Lo scopriremo».