Proviamo a immaginare: un’atleta (l’apostrofo non è un errore) esclusa o penalizzata per come è fatto il suo corpo. Signori, diciamolo chiaramente, si scatenerebbe l’inferno. Ok, esistono sport che richiedono determinate fisicità e discipline che inevitabilmente sono più congeniali a corpi di un certo tipo. Però nel motorsport c’è di mezzo “un mezzo”. E se Alvaro Bautista fosse stata Alvara Bautista, oggi mezzo mondo avrebbe parlato di SBK. Sì, perché il tema che l’ex campione del mondo ha sollevato, affidando una riflessione al suo profilo Instagram, è di quelli che meritano davvero di farsi venire due dubbi. E magari, in questi tempi di grandi cambiamenti e di Liberty Media che diventerà a tutti gli effetti padrona del motorsport, anche di chiedersi a tavolino se la direzione presa è giusta. Perché quello di Bautista non è stato solo lo sfogo di un pilota che non vince più e non accetta che ormai il suo tempo è praticamente consumato, ma è qualcosa che ha una radice più profonda. E umana.

“Non parlo solo come pilota, ma come persona – scrive - Parlo come uno che ha dedicato la sua vita a questo sport, che si è allenato ogni giorno con impegno, disciplina e amore per la moto. Ma anche come qualcuno che ha sentito sulla sua pelle cosa vuol dire essere giudicato e, in un certo senso, penalizzato... per il suo corpo. Per il suo peso”. E’ piccolo, pesa pochissimo e queste caratteristiche sono state, spesso, la ragione messa davanti al talento per giustificare le sue vittorie e la sua carriera. Essere così è stato un vantaggio per Bautista? Scuramente sì, come in altre circostanze, però, è stato senza dubbio uno svantaggio. Ma non un vantaggio o uno svantaggio cercati, bensì qualcosa che ha stabilito la natura. Ha quel corpo lì, è fatto così. Eppure s’è ritrovato in moto con la zavorra da regolamento e, poi, ultimamente, s’è ritrovato pure in qualche modo scartato proprio per come è fatto il suo corpo.

“Per molto tempo sono rimasto in silenzio – scrive ancora Bautista - Ho cercato di adattarmi, di non lasciarmi disturbare, di convincermi che questo faceva parte del gioco. Ma la verità è che quando le tue dimensioni fisiche diventano uno svantaggio strutturale, qualcosa che non riflette la tua capacità di pilota, questo cessa di essere un tema tecnico e diventa una forma di discriminazione. Mi si mette più in discussione e mi viene richiesto di giustificare il mio posto più e più volte. Non perché non possa essere avanti o dare il massimo, ma perché il mio corpo non rispetta uno standard fisico che, anche se non è scritto, tutti conosciamo. Capisco che il peso è un fattore tecnico nelle prestazioni di una moto. Lo accetto. Ma quando il sistema non contempla le differenze naturali tra i corpi, smette di essere giusto e inizia ad escludere”.
Qualcuno potrà obiettare che anche nel calcio, ormai da tempo, c’è da essere fisicamente grossi e che, nonostante questo, calciatori come Diego Armando Maradona o Roberto Baggio, piccoletti per natura, hanno saputo non solo distinguersi, ma anche diventare leggende. Però il rischio di cui Bautista sembra parlare è quello di giocare all’esclusione anche quando si è ancora ragazzini. Soprattutto nel motorsport, dove ci sono un sacco di soldi da investire. “Il mio non è vittimismo. Non voglio generare divisione. Parlo perché non voglio che altri piloti debbano attraversare quello che passo io: sentire che il loro corpo è una barriera più difficile di qualsiasi curva. La mia intenzione è aprire una conversazione necessaria. Chiedere di rivedere i criteri tecnici, i regolamenti e soprattutto la cultura del motociclismo. Un pilota non si definisce solo dai chili che segna la bilancia, ma si definisce dalla sua intelligenza in pista, dal suo istinto, dal suo coraggio e dal legameche crea con la moto. Non cerco applausi. Solo coscienza. E, si spera, un cambiamento che renda questo sport più giusto per tutti”.