Ai BAFTA 2021, la versione britannica degli Oscar, sarà presente anche un po' di Formula 1, grazia alla nomination - nella categoria sport - del Gran Premio del Bahrain 2020. Facile immaginare il motivo della prestigiosa nomina che, il prossimo 24 maggio, si giocherà la vittoria contro altri tre importanti momenti sportivi dello scorso anno.
L'incidente in cui ha rischiato di perdere la vita il pilota della Haas Romain Grosjean, circondato dalle fiamme e intrappolato per alcuni interminabili secondi all'interno della sua monoposto, ha fatto il giro del mondo, arrivando ovunque, nella potenza delle immagini di quel rogo. Al solo ricordo brilla ancora, negli occhi di molti, la paura di quei momenti e allo stesso tempo la sorpresa - e il sollievo - di un miracolo di ingegneristica e fortuna insieme, difficile da spiegare.
Una scena che resterà simbolo della Formula 1 moderna e che sì, meriterebbe un premio televisivo, un'incoronazione mediatica, una coccarda che spieghi la forza di quel singolo momento. Quando si premia il cinema, e la televisione, in fin dei conti si premia soprattutto l'emozione della sorpresa, no? Di un bello, o di un brutto, a modo suo irripetibile. E l'incidente di Grosjean è questo: il bello e il brutto irripetibile di un sport che è pericolo e adrenalina.
Però, c'è un però. La Formula 1 non è solo dramma, incidenti, morte. Chi la percepisce così riesce a intravedere solo uno spicchio, superficiale, del grande universo del motorsport. La spettacolarizzazione del pericolo ne fa parte sia chiaro, da sempre è così e sempre lo sarà, ma cercare di racchiudere Niki Lauda nell'incidente del Nurburgring sarebbe uno scempio, così come stipare Ayrton Senna, il suo mito e il suo talento irraggiungibile, dentro la sua tragica morte a Imola.
E' triste, e profondamente sbagliato. Questa da tempo è la crociata di Daniel Ricciardo, che nella spettacolarizzazione del dramma nel motorsport legge tutta l'immaturità dei tifosi e, allo stesso tempo, il guadagno di chi delle corse fa un business televisivo.
Il pilota della McLaren ne aveva parlato per la prima volta subito dopo l'incidente di Grosjean, prendendo le distanze da Liberty Media che aveva scelto di trasmettere ripetutamente le immagini del rogo scatenato dall'incidente prima della ripartenza del GP: "La Formula 1 non è uno show - aveva detto l'australiano - noi dobbiamo tornare in pista e le nostre famiglie stanno guardando la televisione. Sono disgustato".
Nel corso di un’intervista rilasciata recentemente a Square Mile, Daniel è tornato sull'argomento ribadendo un discorso a cui sembra tenere particolarmente: “Credo che l’anno scorso la Formula 1 abbia pubblicato un video sui dieci momenti dell’anno, e otto di questi erano incidenti. Ho pensato: ragazzi, siete degli idioti. Magari un 12enne vuole vedere questo tipo di contenuti, e va bene perché magari non capiscono altro. Ma noi non siamo ragazzini. Bisogna fare meglio di così".
Funziona, da sempre. Le compilation degli incidenti, il dramma, la tragedia sfiorata, la morte vera, quella in pista, quella che riempie le prime pagine dei giornali per giorni. Funziona, nel motorsport, perché la vera colla di questa passione è proprio la paura.
Lo sanno tutti, Ricciardo compreso. Sa che "un 12enne vuole vedere questo" ma si chiede se l'obbiettivo della Formula 1 sia arrivare a quel risultato lì. Scalare le classifiche delle visualizzazioni su YouTube, vincere un prestigioso premio televisivo grazie all'intrattenimento della morte scampata.
Che sia giusto o sbagliato è questo ciò che fa notizia, e la Formula 1 sembra averne oggi più bisogno che mai. Se l'incidente di Grosjean, il prossimo 24 maggio, porterà a casa un BAFTA, la grande macchina del circus avrà ottenuto il suo risultato, e Ricciardo avrà definitivamente perso la sua crociata contro la banalizzazione del dramma in Formula 1. C'est la vie.