È un altro di quei giorni in cui Marc Marquez non racconta tutta la verità. Dopo la pole position sorprendentemente risicata su Johann Zarco, nel parco chiuso delle qualifiche, dichiarava: "Firmerei per un secondo posto nella Sprint, stamattina mi sono preso troppi rischi che non servivano". Risultato? Ha vinto la gara breve del sabato pomeriggio con un sorpasso all'ultimo giro su Marco Bezzecchi, rimontando tre secondi abbondanti sulla testa della corsa in undici giri, in cui è passato dal remare in quinta posizione al celebrare il dodicesimo trionfo nel giardino di casa, il Sachsenring. Erba del Re che oggi era oltretutto annaffiata da una pioggerellina infida che in almeno due occasioni ha fatto sobbalzare il posteriore della GP25 numero 93. Lui è rimasto in sella, poi ha spinto ancora più forte. Come se nulla fosse. Come se quello che aveva dichiarato tre ore prima fosse già dimenticato.

Questo sabato 12 luglio è un altro di quei giorni in cui Marc Marquez è stato così diabolico da complicarsi la vita per regalarci un po' di spettacolo, amplificando l'eco di un'impresa che altrimenti sarebbe passata sottotraccia perché noiosa, ripetitiva. Al Mugello aveva vinto la Sprint dopo essersi bevuto un caffé in partenza (non aveva innescato il launch control, ndr), qui si è esibito in un lungo in curva uno che gli ha fatto perdere cinque posizioni e una buona dose di confidenza. Fino al quarto giro, fino a quando non ha scavalcato Di Giannantonio con il suo classico block pass attraverso cui si infila a capofitto all'interno della traiettoria degli avversari nel rampino in salita dell'ultima curva, Marc era sembrato davvero l'ombra di se stesso sull'asfalto in cui si specchiano le sue brame. Da quel momento in poi, la pista bagnata e riflettente del Sachsenring, ci ha restituito il fedele riflesso del tiranno: Marquez ha cominciato a guidare con la bavetta alla bocca, buttando via la calcolatrice e concentrandosi solo sulla sete di vittoria. Si è preso rischi, poteva rotolare nella ghiaia almeno tre volte, farsi male. Se così fosse accaduto - adoperando il fatidico senno del poi - Marquez si sarebbe amaramente pentito. Invece ha indorato di epica la pillola, ha aggiunto un'altra chicca alla collezione di quei tofei made in Sassonia con cui deve aver riempito una parete di casa. È ancora lui il più bello del reame.
Nel post gara è talmente in forma da non smentire quello che aveva detto al mattino e, al tempo stesso, da condire il tutto con una frase da aziendalista consumato. "Nei primi due o tre giri - racconta ai microfoni di Sky - facevo fatica a mettere le gomme in temperatura. Alla prima curva avevo l'idea di staccare tardi, entrare forte e girare all'ultimo, perché lì il rischio che arrivi uno lungo all'interno, gli si chiuda davanti e ti travolga è un attimo. Questa strategia mi è uscita male, perché forse non ho preso bene il riferimento e la moto, con le gomme ancora fredde, mi si è mossa, così ho scelto di andare sul sicuro andando lungo. Nei primi due giri avevo il rischiometro in testa, ma poi la mente andava di continuo sui cordoli e sulle righe bianche, facendomi guidare in maniera rigida. Così ho detto 'devo andare alla mia maniera, e se cado pazienza'. Alla fine mi sentivo sicuro, anche grazie ad uno step tecnico che abbiamo fatto sul bagnato rispetto a Le Mans e a Silverstone, dove non mi ero trovato perfettamente. Poi mi sono trovato sempre meglio, ho preso un davvero troppi rischi per prendere Bezzecchi anche se oggi ci stava, perché è il compleanno del capo (ride pensando a Gigi Dall'Igna, ndr)".
È senza fondo, Marc Marquez. Insaziabile nella voglia di vincere sulla stessa pista per la dodicesima volta e inventarsi un modo per farsi amare come se fosse la prima.
