Dicono che cambierà tutto e le proposte per provare a renderla qualcosa di veramente unico e accattivante sono tante. Per adesso, però, la Superbike è ancora qualcosa di non meglio definito se non una Serie B della MotoGP. Perché le derivate di serie con cui si dovrebbe correre hanno tanto di derivato e quasi niente di serie e perché le dinamiche e gli scenari sono più o meno gli stessi del Motomondiale. Fin qui siamo al pensiero comune. Solo che poi basta frequentare un minimo la Superbike per accorgersi che chiamarla Serie B è ingiusto e pure che a volte lo spettacolo offerto ha niente da invidiare a quello proposto dai piloti che corrono con i prototipi e che, avendo più attenzioni addosso, risultano anche meno liberi e più ingessati su tutto ciò che sta intorno alla mera performance. E non sono pochi quelli che sostengono che il vero spirito delle corse, ammesso che esista ancora, sta più nella così detta Serie B che nel motomondiale.
Punti di vista, riflessioni, divagazioni sul tema. Ma quale tema? Quello che viene da affrontare pensando alla stagione 2024 del World Superbike, ancora aperto nonostante manchi una sola gara in calendario, ma già con una sentenza: non è un campionato per giovani. Viene da dire, però, che la colpa non è dei giovani e forse nemmeno di chi non ha saputo crescerne di veloci, ma di quegli “anziani” a cui è venuta una sorta di callo osseo alla massima rotazione del polso destro. Alvaro Bautista s’è potuto permettere di fare la voce grossa per un rinnovo di contratto a 39 anni, Danilo Petrucci è campione del mondo tra i piloti non ufficiali e Andrea Iannone dopo quattro anni passati a fare altro riesce ogni fine settimana o quasi a giocarsi il podio.
Roba, insomma, che magari non basta a far togliere dalla testa l’idea che la SBK sia la Serie B della MotoGP, ma che di sicuro basta a spiegare che ca*zo di livello ha raggiunto proprio la MotoGP se piloti che lì si difendevano con onore qui, nonostante un bel po’ di anni in più sulla groppa, riescono ancora a dettare legge. Aver combattuto, insomma, con gente come Marc Marquez, Valentino Rossi, Jorge Lorenzo e essere riusciti magari a mettergli pure qualche volta le ruote davanti vale più di qualche acciacco e qualche capello bianco che comincia a farsi vedere.
Se a questo aggiungiamo che il Motomondiale ha in qualche modo “scartato”, proprio in quegli anni, gente come Nicolò Bulega (nel suo caso non senza colpe) o Iker Lecuona (finalmente a podio in SBK nonostante una moto che non vuole saperne di andare forte) o anche Remy Gardner (spesso il più veloce tra quelli che guidano una Yamaha), allora diventa tutto ancora più chiaro: quelli che oggi alzano il livello della Superbike hanno vissuto qualcosa che è stato su un livello neanche immaginabile per semplici appassionati. E questo vale lo spettacolo stesso della Superbike, prima ancora di ogni altra valutazione sui giovani che mancano. E pure su come cambiare un campionato che forse non ha affatto bisogno di troppe rivoluzioni. Basterebbe, davvero, che le derivate di serie fossero di serie e al resto ci penserebbero quelli che sanno ancora essere protagonisti e che, una volta saliti in sella, lavorano per ciò che sono piuttosto che bearsi per ciò che sono stati.