“Vuoi venire?”. Guido Meda è a petto nudo, la tuta aperta lascia intravedere una lunga cicatrice sotto la clavicola sinistra, si sta togliendo gli stivali da moto dopo aver girato in pista con una Ducati Panigale V4. Scopriamo che dei bambini hanno rubato un paio dei monopattini elettrici che la troupe di Sky usa per spostarsi nel paddock, un romano incaricato di gestire lo studio mobile mi dice che lo hanno fatto anche con lo scooter di Fabio Quartararo: “Oh, ma questi prendono e via, capito? Nun je pare vero, se fanno ‘sti giretti co’ i motorini dei piloti”.
Siamo a Barcellona nel circuito del Montmelò, è venerdì. Ho appena fatto, per la seconda volta quest’anno, mezz’ora di studio per Paddock Live Show, sono coccolato dalle endorfine e quel vuoi venire pronunciato così, in maniera totalmente disinteressata, è un invito nella base di Luna Rossa, che ha da poco lasciato Cagliari per partecipare alla 37° edizione della America's Cup. La campagna è partita dalle regate preliminari del 22 agosto, poi la Louis Vuitton Cup (dai 29 agosto fino al 7 ottobre) e a seguire, finalmente, la America’s Cup (12 - 27 ottobre).
Ovviamente accetto subito. Ci ritroviamo in cinque nella stessa auto: Meda al volante, Sandro Donato Grosso sul sedile del passeggero. Io siedo dietro con Vera Spadini ("oggi ti abbiamo adotatto") e Alessandro ‘Pillola’ Vermini, grande appassionato di barche a vela. Sandro durante il weekend è già stato al porto un paio di volte per girare delle macchie sia per Alinghi che per Luna Rossa, così di fatto è alla sua terza incursione a Marina Bay. Le macchie: spezzoni, immagini che vengono mandate in sovrimpressione con un commento in diretta tra un turno di prova e l’altro per raccontare l'atmosfera del Gran Premio. Mentre arriviamo al porticciolo Guido racconta di quando, a Le Mans, i monopattini li è andati a recuperare in un campeggio animato da francesi completamente ubriachi che avevano tentato di rubarli.
Ad accoglierci al porto c’è Max Sirena, skipper di Luna Rossa: lui e Guido sono amici da anni e tra le altre cose condividono buone doti attoriali, così a sentirli parlare al telefono sembra di essere in un film di Verdone. Max parla svelto, spalanca un grosso cancello e ci guida all’interno di un'enorme banchina su cui si ergono i grossi capannoni. L’ultima volta che ci siamo visti, l’anno scorso, l’ho intervistato per MOW: “No, non mi ricordo un cazzo”, dice mentre ci accompagna verso la struttura che ospita la mensa del team. Seduti al tavolo ci sono gli uomini dell’equipaggio di terra, saranno una quarantina di persone. Provo grande invidia per i loro completi composti da cappello, maglia, pantaloni, smanicato, giacca, scarpe e pure calzini marchiati Luna Rossa Prada Pirelli. È di gran lunga la divisa sportiva meglio riuscita di sempre: meglio della Nazionale di calcio, dei piloti di MotoGP, della Formula 1 e pure delle Olimpiadi, infatti nessuno si pensa di stare senza. L’attaccamento alla maglia è anche letterale ed è parte dello spirito di appartenenza che si forma una squadra.
La mensa: ben fornita e con una buona scelta ma assolutamente spartana sia nell’arredamento - sedie e tavolini di metallo, pareti sgombre, arredamento funzionale - che nel livello di interazione, perché i ragazzi si scambiano qualche parola ma nessuno si permette di alzare troppo la voce. Sono tutti atleti e professionisti, eppure (vale la pena di ripetersi) niente di simile a calciatori o piloti: nella loro organizzazione c’è un senso quasi militare. D’altronde la vela è stata per secoli indispensabile alla sopravvivenza dell'esssere umano, nonché causa di leggende e tragedie.
Mangiamo con Max parlando principalmente di moto. Della Yamaha XT 500 che hanno avuto sia lui che Guido - con lo stesso difetto che la faceva spegnere - e poi di una vecchia BMW, dell’Aprilia Tuareg e di tutta una serie di trappole su ruote che ti portano via il cuore. È una bella mezz’ora, Max Sirena è un motociclista di quelli sanguigni, molto concreti. Finito di mangiare usciamo per vedere il catafalco, che poi sarebbe l’imbarcazione di supporto necessario a ogni team che prende parte alla competizione. Luna Rossa, al contrario di altri, non l’ha comprata, l’ha progettata e poi costruita da zero: si trattta di un catamarano volante a idrogeno che può raggiungere i 60 nodi in carbonio, anche se a vederlo sembra l’alluminio di un airstream. Max racconta che hanno rischiato più volte dei casini e forse addirittura di scuffiare, perché il mezzo è velocissimo e portarlo è meno intuitivo di quanto potrebbe sembrare. Parliamo un po’, alla fine ci spostiamo nell’hangar vero e proprio.
Welcome to Star Wars
Luna Rossa è al centro, sollevata a mezz’aria con i foil a riposo. Enorme, maestosa, bella da commuovere. Sembra una cosa viva, un elegante proiettile d’argento disegnato da Dio per danzare sopra le onde. Mai, in vita mia, un oggetto è riuscito a trasmettermi una sensazione simile. Potrei sedermi davanti a lei a gambe incrociate e stare a guardarla per qualche ora pensando alle cose della vita, a godere del momento. “Una barca bella solitamente è anche una barca veloce”, dice Max mentre ci facciamo delle foto con l’unica regola di non inquadrare le estremità delle ali, la parte su cui si concentrano buona parte delle scommesse fatte dagli ingegneri.
Max è un duro, un capitano con le palle ed esattamente quello che vorresti avere a dettarti ordini in guerra, eppure si percepisce la tensione, la fatica che lo mette alla prova prima di addormentarsi, il dubbo che gli rode l’anima al mattino. Probabilmente darebbe un braccio per sapere di aver costruito una barca migliore della concorrenza. Non può saperlo perché la Coppa America è spietata e il tuo livello lo scopri soltanto quando sei già in acqua e hai già fatto le tue scelte. Non solo: se hai una barca più lenta, anche con un equipaggio nettamente più preparato, non puoi vincere. E di barche ne puoi costruire soltanto una.
Mentre entriamo sull’AC75 di Luna Rossa stanno lavorando in cinque persone, portano avanti piccole riparazioni e tirano a lucido quella vernice particolarissima e quindi molto delicata e difficile da stendere. La forma sensuale dello scafo, i foil (e le enormi porte dell'hangar) fanno sembrare la barca un mezzo venuto dal futuro, roba che sarebbe piaciuta a George Lucas per mostrare com'è fatta un’astronave Jedi.
L’enorme capannone si divide in più piani e diverse zone. Saliamo una scaletta, in cima c’è un membro dell’equipaggio che quando incrocia lo sguardo di Max Sirena prende due borse che aveva lì vicino e comincia con il sollevamento pesi: nessuno, evidentemente, può permettersi di riposare troppo. Max ride, però il messaggio è chiaro: "Non so se dare loro la giornata libera per vedere il Gran Premio", ci dice. "Siamo messi bene con il lavoro ma non possiamo fermarci". Nella mezz’ora che segue vediamo tutto: la sala in cui vengono cucite le (enormi) vele, le stecche di diverse dimensioni e peso a seconda delle condizioni del vento, il sartiame, le cime, la sala in cui vengono costruiti a mano e i diversi componenti della barca. Il cantiere durante le regate è operativo 24 ore al giorno, i membri del team si alternano coi turni ma c’è sempre qualcosa da fare. La cosa sorprendente è che non è un macchinario a costruire una AC75, viene fatto tutto a mano in maniera assolutamente artigianale, un pezzo per volta, con la stessa precisione richiesta da un’operazione chirurgica. in sintesi, lo stato dell’arte per quanto riguarda la velocità sull’acqua è tutto in mano agli esseri umani.
È a fine giro, quando penso che le cose non possano andare meglio, che Max ci invita a salire sulla barca. Senza scarpe, s’intende.
Nella carlinga di un aereo
Se da fuori è bellissima, dentro diventa spaventosa. I due bordi della barca hanno quattro postazioni, dei cubicoli simili alla carlinga di un caccia per timoniere, trimmer e due ciclisti. È un ginepraio di pulsanti, cloches, volanti, leve in uno spazio ridotto ai minimi termini: non è difficile credere che entrati lì dentro gli otto uomini di Luna Rossa Prada Pirelli si sentano in guerra. I cyclor, i ciclisti, il mare non lo vedono mai, passano la regata a pedalare incessantemente per mantenere in funzione i circuiti idraulici che permettono il movimento dei foil e la regolazione delle vele. Per massimizzaare l'aerodinamica Luna Rossa ha coinvolto anche WRS, che produce (tra le altre cose) i cupolini della MotoGP.
Sottocoperta è il trionfo della tecnica. Materiali aerospaziali, tecnologia militare: è come sbirciare sotto l’epidermide del corpo umano per rendersi conto che quello che sembrava naturale e semplice come uno strato di pelle in realtà è solo l’involucro di un sistema estremamente complesso. Scopriamo che il Direttore Generale di Ducati Corse Gigi Dall’Igna - velista appassionato - ha passato quasi un’ora a guardare, domandare, capire e rielaborare i concetti di Luna Rossa, al punto che non ci stupiremmo di vedere un nuovo aggiornamento sulla Desmosedici ispirato proprio da questa imbarcazione. Inutile dire che scattare foto dell'interno della barca ci è stato caldamente sconsigliato. Finito il giro torniamo al primo hangar per salutarci e bere un caffé, solo che il bar è deserto e dietro al bancone ci si mettono Max Sirena e Guido Meda. Max ha cambiato faccia: ora è rilassato, tranquillo, mentre vicino alla barca vive una tensione importante, un'emozione elettrica. Guido se la ride, in due fanno una gran fatica a preparare il caffé mentre raccontano barzellette irripetibili. Il primo (terribile) mi offro di berlo io. Quando, alla fine, Max ci saluta, decidiamo di concederci una passeggiata a Marina Bay per cercare l’Ulisse di Patrizio Bertelli, Presidente di Luna Rossa. E, in ogni caso, con la voglia di sognare un po' osservando quel mondo di storie piccole o grandi che si trovano ormeggiate tra le banchine del porto.
Sul molo di Marina Bay tra yacht da signori delle armi e splendidi Swan
Vera Spadini punta i prendisole degli yacht a motore, con una risata dice che le vanno bene anche i modelli col fuoribordo che invece Sandro Donato Grosso guarda con una certa diffidenza. Sandro è un grande ppassionato di motoscafi d’autore, Riva su tutti. Ne conosce annate, quotazioni, particolarità. “Quando sono arrivato a Milano, perché prima ero in Rai a Chi l’ha visto?, non mi ha assunto subito Tele+, ho cominciato facendo delle consulenze e mi si è aperto il mondo della nautica”, racconta passeggiando. “Ho cominciato facendo da ufficio stampa per il mio carissimo amico Guido Cappellini, 10 volte campione del mondo di Formula 1 motonautica, poi ho seguito dei cantieri del Lago di Como, come ad esempio Primatist di Bruno Abbate. A quel punto, visto che Sky aveva una vocazione per la vela, ho fatto tante cose. Nell’ordine: due Vendeé Globe, tre America’s Cup comprese quelle di 2003 e 2007 da inviato, due Volvo Ocean Race, ho commentato le olimpiadi della vela e presento tanti eventi della vela. Ora con la mia collega Francesca Zambon e col commento di Guido Meda seguirò l’America’s Cup da Barcellona”.
Alessandro ‘Pillola’ Vermini invece, che è genovese, è appassionato nel senso più puro del termine: guarda tutte le barche a vela e controlla lo stato della coperta, come è messo il teak, il sartiame, i rinvii. Ha uno zio carpentiere e dice che una serata così piacevole non gli capitava da un sacco di tempo. In effetti è un momento molto rilassante, le grandi aziende in banchina ci potrebbero fare del gran team building. Guido Meda, che in Italia ha ormeggiato un Alpa 12.70 del ’69 con cui passa il poco tempo libero che gli rimane, è completamente rapito dalla varietà di mezzi. Si assapora l’aria della sera, immagina le situazioni che potrebbero crearsi in una o in un’altra barca. Sogna, pensa. Alla fine, ma alla fine davvero, arriviamo all’Ulisse di Patrizio Bertelli, uno Swan 100 disegnato da Germán Frers. È una barca da svariati milioni di euro che, per qualche motivo, riesce a non apparire opulenta. È così elegante che Vera Spadini si dice disposta a rinunciare anche al palazzo di otto piani confiscato a un oligarca russo dall’altro lato del porticciolo per una traversata con l'Ulisse.
Torniamo a Barcellona cantando in macchina, il gran finale è una canzone scritta da Guido (sì, Meda) che a un certo punto parla di "un bompresso ingessato ai maledetti del fosso", roba che potrebbe tranquillamente finire in un disco di Elio e Le Storie Tese. Luna Rossa ha un'anima. E, a giudicare da come ci ha congedati è un'anima piena, un'anima fortunata.