Niente urla da spogliatoio, nessuno scontro da highlights o gol all’ultimo minuto. Solo schiacciate, muri e palazzetti pieni. Un miracolo italiano senza effetti speciali. Il campionato di Serie A1 femminile è, senza troppe esitazioni, il prodotto sportivo più in salute d’Italia. Eppure, non se ne parla abbastanza. O, peggio ancora, se ne parla con sufficienza. Il movimento è talmente solido da trascinare verso l’alto anche la Nazionale. Campionesse olimpiche in carica, regine del volley globale, e con un presente che parla italiano anche in Europa: tre squadre della Serie A1 sono nella Final Four di Champions League. Un dominio, anche tecnico, che nessun altro sport di squadra in Italia può vantare in questo momento.

Le giocatrici riempiono i palazzetti, le società hanno milioni di follower sui social, generano entusiasmo ovunque. E non parliamo solo di un trend passeggero: la pallavolo femminile è diventata un asset culturale, sociale ed economico. Come riportato da Giorgio Burreddu su “Domani”, nella stagione 2023/24 il campionato di Serie A1 femminile ha sfiorato i 440.000 spettatori, un incremento costante negli ultimi cinque anni. Gli ascolti televisivi hanno superato i 10 milioni stagionali, con un balzo netto rispetto all’anno precedente. E sui social, la Lega femminile sfiora il milione di follower, più del volley maschile, più del basket. È la seconda lega sportiva italiana per seguito, dopo la Serie A calcistica.
A trainare il tutto è un giro d'affari da oltre 45 milioni di euro, secondo Il Sole 24 Ore, con sponsor come Frecciarossa, Tigotà e Beretta. La gran parte arriva da sponsorizzazioni e investimenti privati, mentre i diritti tv — appena 2 milioni l’anno — restano il vero potenziale inespresso. È un’industria che funziona, ma su fondamenta fragili. Le squadre sopravvivono grazie a un tessuto imprenditoriale locale che funziona (Conegliano l’esempio per eccellenza di una realtà virtuosa e affermata), ma resta esposto: basta che un presidente si stanchi e tutto può crollare. Nessun equilibrio, nello sport, è eterno. Come ha spiegato Mauro Fabris, presidente della Lega: “La realtà è gestita interamente da privati: il 90% del bilancio è coperto da sponsor e proprietà, il restante 10% arriva dai biglietti. Ma gli impianti sono un limite: non sono adeguati al campionato più bello del mondo”. I numeri in crescita e i bilanci positivi frenano, infatti, di fronte alle infrastrutture. “Abbiamo bisogno di impianti grandi, adatti al pubblico crescente. Senza parcheggi, sale hospitality, una accoglienza adeguata, è impossibile crescere di più”.
Fuori dal campo, la visibilità resta quella dei comprimari. Vanno a Sanremo, sfilano, sono sulle copertine dei giornali, ma non le trovi di frequente negli spot tv, dove a farla da padrone sono i soliti volti dello sport nostrano. E mentre il calcio femminile fatica, il basket rosa arranca e il tennis vive di alti e bassi, il volley femminile vince e si impone in un mondo dello sport declinato quasi sempre al maschile.
Il paradosso è tutto lì: stelle globali, trattate da dilettanti. Paola Egonu, la miglior giocatrice del mondo per VolleyBall World, è molto più di un’atleta: è un'azienda con un potenziale comunicativo sui livelli dell’NBA e della F1, ma fa notizia solo se nominata in discorsi antiquati fomentati da politici inadatti. Il talento di Alessia Orro, palleggiatrice della Nazionale, riesce a muovere cifre da capogiro: il Fenerbahçe ha pronto per lei un triennale da 600.000 euro l’anno, rendendola l’alzatrice più pagata di sempre. Il pubblico non le sminuisce e risponde con un +40% di abbonamenti a inizio stagione: palazzetti pieni, entusiasmo dilagante.
La domanda, a questo punto, è inevitabile: quanto può durare un’eccellenza sistematicamente ignorata dal proprio Paese? Non stiamo parlando di un sogno o di una promessa da coltivare, ma di una realtà concreta che funziona, produce, incassa e trascina. Una Lega che vince sul campo, conquista il pubblico, cresce economicamente — eppure resta fuori dai radar della politica e dei media che contano. Il volley femminile italiano ha già dimostrato tutto: ha i numeri, le storie, le protagoniste, l’identità. E forse proprio per questo continua a far fatica a ricevere il riconoscimento che merita. Perché in un sistema che ancora fatica a dare spazio alle donne, il fatto che siano loro a vincere davvero è un paradosso che in molti non riescono — o non vogliono — accettare.
