“Sottopagati” non è proprio l’aggettivo che viene in mente pensando a chi porta a casa assegni milionari a ogni torneo. Eppure Jannik Sinner, Carlos Alcaraz, Lorenzo Musetti e quasi tutti i top 10 Atp e Wta hanno messo la firma su una seconda lettera inviata ai quattro tornei dello Slam. Il documento, risalente al 30 luglio ma rivelato solo ora, chiede con forza riforme che vanno oltre la semplice spartizione della torta (che comunque rimane la parte probabilmente più ghiotta).
Gli atleti pretendono tre cose: un contributo degli Slam a un fondo per pensioni, assistenza sanitaria e maternità; un aumento della quota di ricavi destinata ai montepremi, dall’attuale 16% al 22% entro il 2030; e la creazione di un Consiglio dei Giocatori del Grande Slam, capace di incidere sulle decisioni strategiche. In altre parole: più soldi, ma anche più voce.
A guidare il fronte è un gruppo trasversale che spazia da Sabalenka a Gauff, da Świątek a Tiafoe, compresi come detto anche Sinner e Musetti (e Alcaraz). Fuori invece Novak Djokovic, che nella prima lettera del marzo scorso c’era, ma stavolta non ha voluto comparire. Il serbo resta attivo con la Ptpa, l’associazione da lui co-fondata, che proprio nei giorni scorsi ha esteso una causa antitrust includendo anche i quattro Slam come presunti “cartelli” (lo riferisce The Athletic).

Gli organizzatori non hanno preso bene l’ennesima pressione. La Usta, che gestisce lo Us Open, ha replicato: “Siamo sempre stati disposti ad aumentare i compensi per i giocatori, come dimostra la crescita del 57% del montepremi negli ultimi cinque anni” (lettera firmata dal ceo Brian Vahaly e dalla direttrice Stacey Allaster). L’edizione 2025, con 90 milioni di dollari complessivi, ha infatti segnato un +21% rispetto al 2024, con assegni record da 5 milioni per i campioni Alcaraz e Sabalenka. Ma per i big non basta: il paragone con sport come Nba o Nfl, dove gli atleti ricevono circa il 50% degli introiti, brucia.
Dietro i numeri c’è una questione di potere. I giocatori vogliono contare su scelte che oggi ricadono quasi solo sugli organizzatori, come l’allungamento dei tornei a 15 giorni. “Non so perché l’abbiano fatto… beh, so perché: possono vendere un giorno in più di biglietti” ha detto con sarcasmo Jessica Pegula allo Us Open (The Athletic).

In Italia, intanto, l’attenzione non è solo sulle battaglie sindacali. Sinner ha lasciato in sospeso la sua presenza alle finali di Coppa Davis a Bologna: “Devo ancora decidere onestamente… vedremo più avanti” ha dichiarato a Pechino dopo aver battuto Cilic. L’Italia insegue uno storico tris, ma senza il suo numero uno sarebbe tutto più complicato, soprattutto se in finale dovesse esserci la Spagna di Alcaraz.
E proprio Alcaraz è il rivale diretto nella corsa al numero 1 Atp. Lo spagnolo guida la classifica con 760 punti di vantaggio, dopo aver piegato Sinner nella finale dello Us Open. Jannik, dal canto suo, ricorda che “la stagione non è ancora finita… abbiamo Shanghai, Parigi, Torino, la Davis”. Per il momento ha scelto la prudenza: “Il ranking viene e va, vediamo cosa succede”.
Il duello, già acceso sul cemento di New York, prosegue a distanza con colpi di calendario e di condizione fisica. Alcaraz ha avuto per un problema alla caviglia a Tokyo, mentre Sinner difende una mole pesante di punti guadagnati lo scorso autunno. Ecco perché ogni scelta extra, come la Davis, diventa strategica.