Ai numeri che fanno spavento di Jorge Martin, adesso, se ne aggiunge un altro: il sette. Sono esattamente sette, infatti, i giorni trascorsi in ospedale a Doha, dopo l’incidente avuto nel GP del Qatar e il botto con la Ducati Desmosedici di Fabio Di Giannantonio. Poteva andare peggio. Tre parole che lo stesso Jorge Martin ha utilizzato subito. Tre parole a cui poi hanno fatto ricorso tutti. Ma pure tre parole che, lasciando da parte tutto ciò che non attiene alla concretezza, generano contestualmente consolazione e rabbia. Perché ok che poteva andare molto peggio, ma poteva, e doveva, andare molto meglio. In due parole invece di tre: poteva bastare. Il conto con la sfiga Jorge Martin l’aveva già pagato a prezzo pieno, anzi pienissimo, e l’ulteriore “passaggio obbligato alla cassa” suona tanto di destino usuraio. Perché non basta mai, perché è come se non finisse mai.

Il pilota madrileno di Aprilia, inutile negarlo, è a un bivio proprio mentre sta scrivendo una delle pagine più drammatiche e al tempo stesso emblematiche della sua carriera nel MotoGP. Quel naso messo fuori dalla stanza d’ospedale in cui è stato costretto negli ultimi sette giorni vale più come simbolo che come “buona notizia”. Perché la strada da fare è tanta, ma almeno è cominciata e lo scenario è già cambiato. Aggrapparsi a piccole conquiste, ora, è tutto quello che si può fare.
Ecco perché la notizia delle dimissioni dall’ospedale e della permanenza in Qatar in attesa di organizzare “un volo medicalizzato” per rientrare in Spagna diventa significativa. Non per sperare di vedere Martin in sella a una moto nel giro di pochi giorni e nemmeno per giustificare la curiosità (legittima) di chi si chiede quando Jorge potrà tornare alla sua vita di pilota, ma per prendere coscienza che chi non sta fermo da qualche parte arriva. E fa un pezzo della strada che serve. Anche e soprattutto sul piano mentale. Aleix Espargaró, amico fraterno e ex collega, ha voluto svelato proprio il retroterra meno visibile: “Parlo con lui ogni giorno. Questo infortunio è un colpo tremendo, soprattutto mentalmente”. Perché per chi vive di competizione, a fare male non sono le fratture, ma quella stima di sei o otto settimane di stop che suona di condanna a stare a guardare quando, invece, s’era ritrovato appena il gusto di esserci.
Eppure, in questa storia, la solitudine non ha spazio. Aprilia Racing ha confermato il proprio sostegno incondizionato, lavorando per preparare la migliore moto possibile in vista del suo ritorno, mentre Lorenzo Savadori ne prende temporaneamente il posto in pista. Ma è nell’intreccio dei legami personali che si accende la luce più potente. Aleix, reduce da una partecipazione alla Vuelta Ibiza in mountain bike con la famiglia, ha trasformato la propria passione sportiva in un atto di vicinanza: “Staremo con lui quest’estate, perché si riprenda lontano dalle moto”. La compagna di vita di Jorge, Maria, è presenza silenziosa e costante. È lei, insieme alla famiglia, a rappresentare il porto sicuro in cui il pilota può abbandonare l’armatura del guerriero, mostrando la vulnerabilità di un uomo che lotta per tornare a correre. E che, legittimamente, non ne può più. Ma attenzione, c’è pure la parte interessante e che quella parte esiste l’ha dimostrato un certo Marc Marquez: accettarsi vulnerabili. Sì, perché “calvari” così portano inevitabilmente quella consapevolezza che spesso chi fa il pilota e è pure campione non ha. Gli antichi greci immaginavano gli eroi come figure sospese tra umano e divino, forgiati dalle prove. E gli eroi stessi muovevano dalla consapevolezza di non essere uomini normali, ma neanche dei. Jorge Martín, in queste settimane, incarna questa dualità e forse si trova a scoprirla e “scarnicciarla” ancora: da un lato l’atleta che sfida i limiti del corpo, dall’altro l’uomo che scopre la propria umanità attraverso il sostegno degli affetti. Aprilia, con la sua attesa operosa, Aleix con la sua amicizia concreta, Maria per il fatto stesso di esistere, la famiglia con il suo amore incondizionato. No, la notizia buona non è solo che Martin è stato dimesso dall’ospedale di Doha.