Mario Balotelli è stato un’icona di stile, anche se nessuno aveva il coraggio di ammetterlo. Per anni l’hanno definito coatto, eccessivo e fuori luogo, ma oggi, mentre i calciatori si fanno vestire da stylist strapagati e sfilano a bordo campo come manichini in serie, quel mix sfacciato e ruggente del calciatore più chiacchierato dei late 00’s ci manca maledettamente. Perché ora lo abbiamo finalmente capito: Balotelli è stato una fashion icon - tamarrissima, ma autentica.

Negli anni in cui il calcio si sforzava ancora di essere un club impomatato, lui scendeva in campo con creste scolpite come un action figure della Mattel, presentandosi agli allenamenti con le maxi borse di Louis Vuitton in motivo Damier e gli occhiali da sole Carrera con la montatura bianca. Fuori dal campo, invece, sfoggiava con fierezza i suoi ensemble composti da orecchini di brillanti, cargo pants e giacche Dolce&Gabbana con collo in eco-pelliccia, che oggi si inseriscono in quel moodboard Y2ten che ci fa smaniare di nostalgia. E ancora, felpe con cappuccio mohawk, cappellini monogram Gucci e catene con croci gigantesche. Ma, a dirla tutta, nel nostro fashion archive, l’item più iconico resta quella t-shirt con la scritta “WHY ALWAYS ME?” - una frecciatina ai tabloid inglesi dopo il gol al derby di Manchester - seguita dalla sua leggendaria esultanza a torso nudo a Euro 2012, con i muscoli tesi come una statua greca sotto gli steroidi della cultura pop. Fotogrammi incisi nella memoria collettiva, molto prima che l’estetica virale diventasse parte del gioco. Mario Balotelli era tutto e troppo, come ogni icona che si rispetti.

A dimostrazione di quanto fosse già nel radar dello streetwear internazionale, nel 2015 arriva persino la collab con Puma e BAPE, una capsule tecnica, militare e aggressiva, perfetta sintesi del suo immaginario. Ma la verità è che non ne aveva bisogno: Balotelli era già icona prima che la moda lo incoronasse. L’industria si è accodata dopo, quando era ormai chiaro che quel ragazzo eccentrico aveva lasciato un’impronta profonda. Ed ecco che, come per magia, oggi utto il suo immaginario è tornato ad essere rilevante. L’estetica dei suoi anni d’oro - tra il 2008 e il 2013 - è stata risucchiata nel vortice della nostalgia, quella zona grigia dello street style al centro dei feticci fashion del presente. Proprio in quegli eccessi, un tempo scomodi, risiede il motivo per cui oggi Balotelli, con le sue “balotellate”, sia diventato una miniera d’oro estetica per la Gen Z e per la community di TikTok, sempre affamata di personaggi larger than life.
Il suo segreto per diventare un mito, ancora prima della digital culture, è stato trasformare ogni apparizione pubblica in uno show, tra gol assurdi, episodi borderline (dal lancio dei petardi al “furto” della reflex a bordo campo) e outfit trash riabilitati dalle generazioni più giovani. Balotelli ha capito prima di molti altri che bastava essere sé stesso per creare una narrazione polarizzante, che oggi è diventata parte di un’irresistibile compilation nostalgica. Quello che oggi chiamiamo “quiet luxury” al tempo era “loud identity”: esistere, occupare uno spazio con prepotenza, imporsi. Dopo l’intervista a “Belve”, l’abbiamo rivisto più maturo, centrato, con un look sobrio che paradossalmente lo fa sembrare quasi elegante. Ma dietro l’apparente stabilità da uomo cresciuto, rimane il Mario che ha reso il calcio una faccenda pop come nessun altro, mescolando il linguaggio dello streetwear al mainstream prima che fosse cool, portando l’estetica delle periferie nei salotti buoni del pallone. E quando vuoi solo esprimerti ma finisci per lanciare una tendenza, sei già inconsciamente una leggenda. A volte, perfino il tamarro non è altro che un pioniere incompreso.
