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Superbike: Ducati impera
e Melandri impressiona,
mentre Bautista la spara grossa

  • di Emanuele Pieroni Emanuele Pieroni

3 agosto 2020

Superbike: Ducati impera e Melandri impressiona, mentre Bautista la spara grossa
Un fine settimana da incorniciare per Ducati, non solo per la prestazione di Scott Redding, ma anche per quanto fatto vedere da Davies, Melandri e Rinaldi. Rea e Kawasaki stavolta hanno dovuto accontentarsi, ma niente drammi e un gran progetto per il futuro. Alvaro Bautista invece...

di Emanuele Pieroni Emanuele Pieroni

Oltre a fugare il dubbio dell’estate sul confronto tra MotoGP e Superbike, mostrando che le differenze sono ancora abissali, che cosa ci ha detto la tappa di Jerez del Mondiale delle derivate di serie? Ci ha detto che è assolutamente ingiusto considerare questo campionato una sorta di brutto anatroccolo, perché lo spettacolo è veramente tanto e i personaggi sul palco sono piloti dal sapore di una volta: più liberi, più umani, più svincolati da tutte quelle regole, anche di mero modo di porsi, che invece imbriglia i più blasonati colleghi della MotoGP. Ci ha detto che l’idea di una dimensione più sanguigna del motorsport ha ancora il suo gran perché. E, soprattutto, ci ha detto che...

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La Ducati c'é!

Ora possiamo dirlo senza mezzi termini: la Ducati Panigale V4 è davvero tanta roba. Possiamo, dunque, mutuare il vecchio tormentone di Guido Meda e affermare senza possibilità di smentita che Ducati c’è! C’è e c’è con un pilota che è anche un gran personaggio, guascone ma concreto, convinto ma non spaccone. Insomma, uno che piace e che sembra destinato a entrare nel cuore (sempre prontissimo ad accogliere piloti da consacrare come simboli) dei tifosi della rossa. I dubbi che molti avevano sollevato dopo la seconda parte del Mondiale dello scorso anno appaiono fugati, non solo dalla prestazione di Scott Redding, ma anche dai piazzamenti di Chaz Davies e degli altri piloti in sella alla V4 di Borgo Panigale. Vittoria in gara 1 e Gara 2, pole position e secondo posto nella Super Pole Race, oltre alle prestazioni del già citato Davies e di Rinaldi e Melandri rendono decisamente concrete le possibilità di rivedere la Ducati regina incontrastata delle derivate di serie. Certo, la strada da fare è tantissima e la recentissima esperienza del 2019 dimostra che chi si siede pensando di poter tirare il fiato rischia di finire steso definitivamente. Soprattutto quando l’avversario si chiama Jonathan Rea e guida una sempreverde (di nome e di fatto) Kawasaki..

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Kawasaki non c'è, ma ci sarà!

Nel titolo non l’abbiamo messo, perché ci sembrava fin troppo scontato. Il dominio assoluto della Ducati non può lasciar pensare che Jonathan Rea abbia deciso di prendersi un anno sabbatico e di non vendere cara la pelle. Stesso discorso per quelli di Akashi, con la ZX10R che è solo incappata in un brutto fine settimana. In Kawasaki lo sanno e nessuno fa drammi per quanto accaduto a Jerez, anche perché a conti fatti non è andata poi così male. Certo, chi è abituato a vincere non sorride per un risultato diverso dalla vittoria, ma certamente non si mette a strapparsi i capelli, con lo stesso Rea che lo spiega in un commento: “È stato più pesante da sopportare quando Bautista vinceva senza che neanche lo vedessi”. Per il prossimo futuro in Kawasaki sono già al lavoro, mentre - per quello più lontano (ma non troppo) - la recente blindatura del campione del mondo in carica ha anticipato anche un progetto: quello di una ZX10R totalmente rinnovata, con soluzioni tecniche d’avanguardia prese in prestito dalla MotoGP, cambio seamless e potenza rivista per eccesso.

Visualizza questo post su Instagram

@barniracingteam @visittrentino @thok_ebikes

Un post condiviso da Marco Melandri (@marcomelandri33) in data: 1 Ago 2020 alle ore 11:52 PDT

Marco Melandri non ha perso lo smalto

Aveva appeso il casco al chiodo, deciso a smettere dopo i risultati del 2019 e dopo una carriera in cui, comunque, si era tolto un bel po’ di soddisfazioni (compresa quella di vincere un Mondiale in 250 nel 2002). Sembrava destinato ad una carriera da cronista, dopo aver dimostrato anche spiccate doti in quel senso come commentatore per Dazn della MotoGP. Poi, come ha raccontato lui stesso, un giorno è andato a girare in pista con gli amici e gli si è riaccesa la fiammella. Quando sopra a quella fiammella il team Barni ci ha buttato la benzina, cercandolo, l’incendio è stato inevitabile. Pronti e via, Melandri è risalito in sella, senza test, con un allenamento non specifico, con tanti interrogativi e armato di un’unica certezza: la voglia di far bene. E lo ha fatto. Nonostante tuta e casco metaforicamente spolverati all’ultimo minuto prima di partire per Jerez e nonostante il caldo infernale: ottava e nona piazza in Gara1 e Gara2. Niente male per uno che fino a quindici giorni fa faceva “il pensionato” tutto famiglia e biciletta. “La Ducati V4 è fantastica, il team Barni è meraviglioso e ci mette una gran passione, io ho una voglia matta e sono sicuro di arrivare a giocarmela con i migliori” – ha detto il rinato pilota di Ravenna con l’entusiasmo di un ragazzino.

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Bau Bau Bau-tista

Ha abbaiato e non ha morso. O, meglio, probabilmente ha morso chi non doveva mordere, rischiando ancora una volta di farla fuori dal vaso. Perché se spari sulla moto e, soprattutto, sul telaio della moto nello stesso momento in cui quel telaio è stato lanciato sul mercato da una azienda che si chiama Honda, qualche conseguenza rischi di pagarla. In particolare se hai candidamente detto che tu quel telaio vorresti proprio cambiarlo (cosa che in Superbike non è consentita). Insomma, secondo Bautista la moto a Jerez è andata talmente male da averlo costretto a “salvataggi alla Marquez”. Marc Marquez? Paragone improponibile. È lo stesso pilota che l’anno scorso sembrava destinato a sbranare chiunque gli si parasse davanti, ma poi oltre all’osso non ha ritrovato nemmeno la cuccia. Accordandosi con Honda e arrivando quasi a sostenere che Ducati non fosse alla sua altezza. Insomma, qualcosa si era rotto, come spesso succede nei rapporti professionali, soprattutto se si mette nel sacco del raccolto molto meno di quanto si era seminato. Poteva finire lì, senza troppe storie e invece la faccenda è stata tirata per le lunghe. Giunto in Honda, però, la musica non è cambiata. Fa pensare al paradosso di quel paziente che davanti al medico, toccandosi in vari punti del corpo con un dito, lamentava dolori diffusi: era rotto il dito. Speriamo non sia così, ma il dubbio Bautista ce lo fa venire.

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