Fosse americano, sarebbe plurimilionario. Non che in Italia se la passi male o che abbia problemi ad arrivare alla fine del mese (come accade per quasi tutti gli atleti azzurri di interesse nazionale, premi e sponsor a parte è stipendiato da uno dei gruppi sportivi militari o dei Corpi dello Stato, nel caso di specie la Polizia tramite le Fiamme Oro), ma è proprio un altro mondo: altrove, Gianmarco Tamberi avrebbe tutti i crismi per essere considerato una delle celebrity più influenti e, di conseguenza, ricche, e non solo perché vince tanto. Anzi, tutto: solo negli ultimi tre anni, l’altista marchigiano si è portato a casa l’oro olimpico (2021) e la Diamond League (2021 e 2022), il titolo europeo (2022, ma lo aveva già ottenuto nel 2016) e, lunedì, pure quello mondiale. Ecco, appunto: gli States in realtà di lui si sono accorti, al punto che, nel febbraio del 2022, lo avevano pure invitato all’Nba Celebrity All-Star Game, primo italiano chiamato per il grande evento e uno dei pochi grandi atleti (non cestisti, s’intende) convocati, se si considera che, in precedenza, tale privilegio lo avevano avuto gente come Usain Bolt, Floyd Mayweather, LaDainian Tomlinson, Terrell Owens e Andre De Grasse, o Lindsey Vonn, ma come assistant coach. Bene: togliete statunitensi e nordamericani in genere, e capirete cosa ha rappresentato per Tamberi quell’invito. E lì, a Cleveland, ha anche strabiliato chi non ne conosceva le doti di cestista, diventando una sorta di cult hero.
Lo è anche qui in Italia, dove però i contorni di quella che potrebbe essere una celebrità mondiale restano sempre un po’ sfumati, in una logica da strapaese che non è riuscita a farlo assurgere ai fasti, per dire, di un Alberto Tomba. E dire che, nella sua parabola sportiva, da quando è popolare, c’è stato di tutto: un’immagine estetica iconica (la famosa barba a metà, quando Tamberi era Halfshave, soprannome che ancora compare sul suo profilo Instagram e taglio rispolverato proprio agli ultimi Mondiali), un gravissimo infortunio pre-olimpico (quello che lo privò di Rio 2016), il relativo recupero e trionfo a Tokyo, roba da arco narrativo puro. E poi ancora gli atteggiamenti da guascone e quelli da compagnone, alcune sbruffonate che lo hanno bollato in gioventù, le polemiche sul doping – quando definì Schwazer “vergogna d’Italia” venendo seppellito dai social, salvo poi tornare sui suoi passi dopo la successiva assoluzione da parte del Tribunale di Bolzano.
Poi, per sovrannumero, un epilogo olimpico che sembra un gioco da bambini (“Can we have two golds?”) e pure la scelta, nell’Italia diopatriaefamiglia, di dividere la propria strada professionale da quella del padre, per poi dedicargli la medaglia e auspicare un riavvicinamento piuttosto mariadefilippico. E, appunto, dopo il titolo iridato si parla molto di questo, perché l’Italia quella è. Insomma, Gianmarco Tamberi è, per lo sport italiano, una figura sproporzionata. Magari non il migliore atleta azzurro di sempre – e, comunque, tra i più grandi c’è senz’altro – ma sicuramente un fuoriclasse che, fosse nato altrove, sarebbe diventato larger than life. Lo è, ma s’accontentasse: qui non è Hollywood.