“Se i sogni non vi interessano, non vi interessa il Texas. Nella sua dimensione tangibile, il Texas è vuoto, grande, brutto, cafone, ed è sempre qualche cosa di troppo. Troppo caldo, troppo freddo, troppo chiacchierone, troppo ricco o povero”. Lo scrisse Vittorio Zucconi in “Si fa presto a dire America” e adesso che c’è di mezzo la MotoGP viene da dire che il Texas quest’anno arriva pure troppo presto.
Perché lì, a Austin, nella terra dei duelli a chi spara più veloce, rischia d’essere già anche tempo di sentenze. Circuito difficile, con più di qualche curva da interpretare a fantasia, come in quel deserto tutto intorno in cui la rotta che resta sulla sabbia non è mai l’unica giusta. Vale, appunto, pure per l’asfalto di Austin, il circuito che più di tutti si lascia scegliere e diventa terra di conquista, come nel destino dello stato che lo ospita.
Il conquistatore che ha issato per sempre lì la sua bandiera è Marc Marquez: nessuno ha vinto quanto lui in Texas. Ma quando il re è mancato, gli stivali ce li ha messi un certo Alex Rins. Cambiando, paradossalmente, anche il destino di Marc Marquez. Perché è proprio in Texas, l’anno scorso, che le strade di Marc e della Honda hanno cominciato inesorabilmente a separarsi. Rins aveva appena dimostrato che con quella moto, la RC213V, si poteva vincere e Marc, da assente giustificato, s’è ritrovato a non essere più l’unico a cui dare ascolto. Tanto da cominciare a guardarsi intorno, per cercare l’oro (che per uno che fa il pilota è la possibilità di vincere) altrove.
L’ha trovato. E, adesso, nella sua Austin vuole tornarci da padrone. Per ricordare a tutti che quella è la sua terra e, probabilmente, anche per scrivere – pur senza volerlo – il destino di molti suoi colleghi e rivali. Quando le moto scenderanno in pista per fare sul serio, in Italia sarà notte(Sprint alle 22 e GP della domenica alle 21) e le cose serie succedono di notte. E’ solo questione di orari, ma rende la solennità di ciò che significherà quest’anno il GP del Texas. Soprattutto adesso che gli americani di Liberty Media hanno comprato la MotoGP e che a giocarsela c’è pure un’Aprilia che ha gli stessi colori della bandiera USA. Valori aggiunti per una certezza: sarà solo il terzo week end di gara della stagione, ma sarà il primo grande crocevia del futuro.
Per chi organizza, visto che adesso la firma americana dovrà essere evidente, sperando che, come scriveva Zucconi, non si scada nel brutto e cafone. E pur per chi corre, sperando che la consapevolezza di quanto sarà importante Austin non porti a esagerare. Di temi caldi o, anzi, di duelli a chi impugna prima la pistola per sparare, dopo i fatidici trenta passi, ce ne sono tanti da proporre. A cominciare dalla leadership in Ducati. Pecco Bagnaia non vuole solo vincere, ma ha la necessità di far capire chi comanda e di mettere in chiaro sin da subito che chiunque arriverà sulla sella della Desmosedici uguale alla sua dovrà essere solo scudiero. Vale per Enea Bastianini, che su quella moto c’è già, ma vale, eventualmente, anche per Jorge Martin e Marc Marquez. Due che al “troppo” ci tendono. E che hanno tanto da dimostrare, sfidandosi a loro volta a duello per mandare un chiaro messaggio a Borgo Panigale.
C’è, poi, il duello interno a Yamaha: Fabio Quartararo ha appena rinnovato grazie a un ingaggio faraonico, ma il Texas è - come già detto - terreno di Alex Rins. I due fingono di volersi bene, ma è noto che la vedono diversamente anche sulla strada che la M1 dovrà prendere: uno vuole il V4, l’altro chiede di concentrarsi sull’aerodinamica. Mettersi le ruote davanti proprio in Texas potrebbe significare avere maggiore o minore considerazione nel confronto con gli ingegneri giapponesi. Qualcosa che, in maniera del tutto speculare, accadrà anche in Honda: Joan Mir è il pilota di riferimento, ma Luca Marini su questa pista ha sempre fatto bene e è alla ricerca di una rinascita concreta che spazzi via tutti i dubbi sul suo conto che – visti i recenti risultati – saranno venuti a lui per primo.
Basta? No, non basta. Perché il duello è addirittura a tre se buttiamo gli occhi in casa KTM. C’è un ragazzino con l’aria scanzonata che è pronto a far saltare via il cappello a chiunque e in KTM ce ne sono già altri due – un sudafricano e un australiano – che sui metodi texani hanno niente da imparare. Uno, Brad Binder, deve difendere la leadership, l’altro, Jack Miller, deve difendere proprio il posto di lavoro. Il terzo, il ragazzino, è invece Pedro Acosta, che a Losail prima e in Portogallo poi ha dimostrato di avere paura di niente e rispetto per nessuno. Il tutto mentre il mercato è in pieno fermento come un saloon nelle sere di festa, con tutti pronti lì a capire chi vorrà mettere prima mano alle pistole e quali “cadaveri” resteranno a terra.