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The MotoGP Masterclass, a Benzine l'intervista definitiva ad Andrea Dovizioso: “Gli altri hanno vinto di più, io non ho mai mollato”

  • di Cosimo Curatola Cosimo Curatola

13 ottobre 2025

Una lunga intervista allo 04 Park di Monte Coralli per parlare di tutto. La voglia di farcela, la carriera, gli avversari, la vita. Andrea parte da quando il padre Antonio lo portava alle gare facendogli saltare le prove, con una moto da discarica nel furgone perché non c’erano i soldi. Vent’anni più tardi Dovizioso è in pista in Giappone, da uomo, per lottare contro un dio e portargli via un po’ della sua gloria. Ricordandoci che superare gli altri può essere facile, farlo con noi stessi non lo è mai

di Cosimo Curatola Cosimo Curatola

L’idea era quella di di provare tutto quello che lo 04 Park Monte Coralli ha da offrire in un giorno solo: la pista da cross, la pump track, l’enduro e il minicross, possibilmente senza fratture, per poi intervistare il suo proprietario. Andrea Dovizioso questo parco l’ha cercato, voluto e costruito negli anni, nel periodo ormai lontano in cui si sentiva ingabbiato dalle lingue d’asfalto e si sentiva libero nel motocross.

Fissiamo il giorno, preparo la scaletta, ho due amici per aiutarmi a girare le clip, abbiamo raccolto tre macchinette tutte diverse e di questo ci accorgeremo presto. A tre giorni dalle riprese suona il telefono, è Andrea: “Mi sono cappottato con il cross e non riesco a girare. Come vuoi che facciamo? Ho guardato il meteo e mercoledì ne viene giù tanta”. Mi chiede se preferisco rimandare, ci penso. Il giorno dopo rilancio con un pranzo prima dell’intervista. Eccoci, davanti a degli ottimi cappelletti in brodo a parlare di corse mentre fuori piove forte.

Andrea Dovizioso incidente motocross Toscana
In questi anni Andrea Dovizioso ha costruito lo 04 Park di Monte Coralli, struttura difficile da descrivere in una didascalia: più che un parco giochi per motociclisti è un Luna Park per far girare le ruote.

È la prima volta che mi trovo con tutto questo tempo a disposizione con Andrea senza tuta, senza divisa e senza fretta. In quindici minuti scopro un personaggio micidiale: diretto, ironico, divertente, il pensiero svelto e i modi educati. Andrea adagia il tovagliolo sulle gambe, versa l’acqua a tutti, è gentile con i camerieri. Passiamo un paio d’ore meravigliose, lui è un oracolo della velocità.

Finiamo di mangiare che ancora piove forte, fortunatamente nei 17 ettari dello 04 Park un paio di punti buoni per sederci a parlare ci sono. Durante l’intervista prenderemo la pioggia, poi verrà il sole e a quel punto vento, nuvole e ancora sole: per le riprese è un disastro, io però me ne accorgo solo rivedendo il materiale perché durante l’intervista sono nel tunnel. Ho una sedia con scritto Un s po dì gnit, non si può dire niente.

Andrea parla di tutto. Quando gli chiedo se c’è qualcosa di più importante del talento per vincere, lui ci pensa per un attimo e risponde preciso: “La fame ha una percentuale enorme nella riuscita o meno di un obiettivo. Il talento ha un limite, la fame no. La determinazione non ha limiti. Molti ragazzini hanno questa energia per un po’ di tempo, il punto è avere questo fuoco dentro per tanti anni”. Questa determinazione he gli ha permesso di avere una carriera lunga nel motomondiale, anzi lunghissima, iniziata che aveva quindici anni appena e non ancora davvero conclusa: “Quando sono arrivato in MotoGP, dopo aver vinto il mondiale nel 2004, ancora me la raccontavo. Ero nella situazione in cui pensavo di vincere 10 mondiali. Adesso sto esagerando, però… Sogni, sogni, sogni… Ho pensato ‘Ne posso vincere un tot’, perché un po’ te la racconti. Ma poi ti viene sbattuta in faccia la realtà e bisogna lavorare. Perché sei arrivato lì con una buona base, il talento e la fortuna, ma senza il lavoro sarebbe stata una carriera come tante, di qualche anno. Invece grazie anche a chi mi è stato attorno, che ha cercato di aprirmi la mente - cosa molto complicata - sono riuscito a lavorare sui miei limiti. E con tanta sofferenza ho continuato, al punto che i migliori risultati sono arrivati a fine carriera. Tanta sofferenza prima, troppa. Ma quando ci arrivi…”

A ventidue anni Andrea si trova con un contratto con HRC, una figlia e i piloti più forti della storia con cui dividersi un mondo piccolo e dei podi difficili. C’erano Jorge Lorenzo, con cui ha diviso buona parte della carriera, e Valentino Rossi, con cui si è dovuto dividere il pubblico. C’erano Dani Pedrosa e Casey Stoner, assieme ai quali ha guidato la Honda e poi lui, Marc Marquez. “Loro hanno vinto più di me”, racconta Andrea, “Ma io non ho mai mollato. Lavorando sono riuscito a fare la differenza anche su piloti che hanno vinto più di me. Poi io per tanti anni ho sempre puntato al risultato, al metodo. Non ho mai saltato una gara in 22 anni. Ho sempre guardato al campionato senza mai cercare il sorpasso estremo, il che ti fa arrivare meno alla gente. Però ti porta risultati”.

Gli dico che vederlo lottare con Marc Marquez negli anni in Ducati era commovente. Vedevi un uomo che sfidare un dio con tanta convinzione che, se lo avessero visto i greci duemila anni fa, avrebbero disegnato le staccate di Andrea sulle anfore. Lui sorride, ringrazia e poi parte: “Quello che ha fatto Marc quest’anno ha ucciso tutti. Era talmente forte… all’inizio per un po’ te la racconti, poi però psicologicamente ti distrugge. Ma è vero, io avevo la piena consapevolezza di andare contro a uno così. Me ne sto rendendo conto di più adesso”.

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Sul Marc Marquez di oggi poi, Andrea è chiarissimo: “Quello che vediamo quest’anno è la realtà. Ed è la cosa brutta per gli altri piloti, vedono anche loro quello che riesce a fare. Non è imbattibile, nelle gare può succedere di tutto. Però è una botta importante, chi non l’aveva ancora vissuta sulla propria pelle… è dura. Poi da lì si può lavorare, come Pecco Bagnaia: in Giappone ha dimostrato che se è in forma può fare la differenza. Aveva bisogno di dimostrarlo a sé stesso? No, a tutti”.

Poi Andrea racconta con precisione il rapporto tra ingegneri e piloti: “Cosa è successo in Ducati lo sanno loro. La ragione non è mai da una parte sola, ma qualcosa è successo. E dalle interviste è tutto un po’ strano. Spesso gli ingegneri dicono che non c’è differenza ma invece c’è. Poi se questa differenza c’è ma loro non lo hanno capito - o non vogliono dirlo - è un altro discorso. Gli ingegneri a volte pensano di avere il controllo di cose che in realtà non hanno. Ma non fraintendetemi, con questo non voglio dire che il pilota ha quasi sempre ragione, anzi: il pilota ha quasi sempre torto”. Arriviamo a parlare di Casey Stoner nel box di Bagnaia, di Valentino Rossi (“Una grande ispirazione e un problema per tutti”) e  perché non crede ai coach della MotoGP (“Un lavoro che va bene con piloti giovani, in MotoGP ci sono i dati”).

Il meglio esce a fine intervista, quando Andrea Dovizioso parla della morte, di Dio e del denaro. Lo fa come se stesse parlando delle corse. Preciso, profondo e onesto. Sono le risposte che può darti un uomo che ha visto tanto, uno che continua a cercare. La verità è che Andrea Dovizioso ha superato sé stesso più di quanto abbia superato gli altri, che è un esercizio complicato. Perché superare gli altri può essere facile, farlo con noi stessi non lo è mai.

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