Oklahoma City ha fatto la storia. E non stiamo parlando di rodei o fiere statali: stiamo parlando del primo titolo NBA da quando i Thunder si sono trasferiti da Seattle. Si sono presi tutto dopo una stagione memorabile, arrivata in Europa - e in Italia - come non capitava da tempo tra le colonne dei quotidiani generalisti. Sarà stato l'approccio da underdog, ma pure il come: Oklahoma City ha vinto una Gara 7 straordinaria contro gli Indiana Pacers, 103‑91. Davanti al pubblico del Paycom Center.
Ai titoli di coda di questa impresa campeggia, davanti a tutti, un nome lungo riassumibile in tre lettere: Shai Gilgeous-Alexander, SGA. Il canadese originario di Toronto, 26 anni, ha disputato una stagione meravigliosa: ha vinto il titolo di miglior marcatore, è stato MVP della regular season e, da stanotte, lo è anche delle Finals. Tre premi grossi, come le iniziali del suo nome. L’ultimo a riuscirci? Shaq. Ventitré anni fa. In Gara 7, con tutta la pressione della finalissima addosso, ne ha infilati 29, ha smazzato 12 assist e comandando l’orchestra dei Thunder scatenando un temporale dentro il palazzetto. Carismatico, chirurgico, spietato.
L'onore delle armi a Indiana, che perde Haliburton
Indiana ci ha provato, ma la sfiga ci ha messo lo zampino. Tyrese Haliburton, il motore dei Pacers, si è fatto male dopo 5 minuti: tendine d’Achille, lacrime, arrivederci sogni di gloria. E, da lì in poi, il match ha cambiato faccia. Primo tempo equilibrato, ma dal terzo quarto i Thunder hanno fatto la voce grossa: un parziale da paura (34-20) e una partita indirizzata in maniera netta. Gli ultimi dodici minuti? Una lunga festa a base di difesa solida, triple assassine e cori da stadio.
I Thunder sono una squadra giovanissima, ma vedendoli giocare non sembrerebbe. Jalen Williams, 24 anni, ne piazza 20, Chet Holmgren (23 anni) gioca da veterano e fa segnare 18 punti e 8 rimbalzi, e poi c’è lui, il prezzemolino dei titoli: Alex Caruso, che quando c’è da vincere non manca mai. I capelli saranno in crisi, ma il sangue è ancora glaciale.I Thunder chiudono così con un record stagionale mostruoso (68 vittorie e 14 sconfitte) e un anello che vale più di mille parole. Nessuno se lo aspettava davvero. Ma forse è questo il bello.
Hanno costruito con calma, hanno creduto nel progetto, hanno fatto crescere i loro giovani come fossero bonsai. E ora raccolgono: anello al dito, champagne in spogliatoio e un futuro che fa paura. Se nel 2017 ci avessero detto che i Thunder, dopo l’addio di Durant e Westbrook, avrebbero vinto l’anello nel 2025 con una squadra di ventenni e un canadese che si chiama Shai, avremmo riso. Ora ridiamo, sì, ma applaudendo.
