Ci ricorderemo a lungo dei giochi di Tokyo. Lo faremo prima di tutto per il momento storico in cui sono caduti e per quell’anacronistico 2020 che sottolineerà per sempre l’eccezionalità (e la provvisorietà) dei tempi che stiamo vivendo. Arriverà il giorno in cui i nati in questi anni ci chiederanno perché le Olimpiadi di Tokyo del 2021 erano marchiate “2020” e rispondere a questa domanda sarà (speriamo) salutare e liberatorio. E poi ci ricorderemo dei giochi di Tokyo anche per le quaranta medaglie vinte. Quattro in più del precedente record (Los Angeles ’32 e Roma ’60) con la delusione della scherma è vero, ma al tempo stesso con il trionfo in discipline inaspettate come i cento metri e la staffetta 4x100 che ci hanno lanciato nello spazio a orbitare con i giganti dello sport. Ma a cosa è dovuto questo improvviso exploit? In questo articolo – condividendo anche alcuni pareri di colleghi e addetti ai lavori - cercheremo di tracciare una traiettoria ipotetica per rispondere alla domanda delle domande. Perché l’Italia ha vinto così tanto a Tokyo2020?
Una prima risposta, leggendo un po’ di rassegna stampa, arriva dalla Reuters. L’agenzia di stampa inglese (proprio loro!) in questo articolo lancia una tesi che suona tra le righe (ma guarda un po’) come un’accusa: “Durante il Covid-19 l’Italia – scrive Reuters – ha permesso a un piccolo gruppo di atleti d'élite di allenarsi mentre gran parte del mondo era in isolamento. Questo via libera ha dato buoni frutti alle Olimpiadi di Tokyo 2020. Mentre altre nazioni chiudevano palestre, piscine e piste e mentre la pandemia mieteva milioni di vite in tutto il mondo, l'Italia ha concesso un'esenzione a circa 250 atleti d'élite per continuare ad allenarsi per gran parte degli ultimi 18 mesi”.
Messo da parte il rancore anglosassone che comunque ci sembra giusto evidenziare, abbiamo raggiunto alcuni addetti ai lavori che ci hanno aiutato a inquadrare meglio la faccenda.
Ecco le loro risposte.
Una zona di comfort per smaltire il fuso e preparare le gare
Il due volte oro olimpico Davide Tizzano ha diretto dal Giappone il campus preolimpico, una struttura studiata per far smaltire il fuso orario agli atleti e garantire gli standard di allenamento italiani. Ecco le sue parole: “Queste 40 medaglie in realtà sembrano molto soddisfacenti, ma devo dire che ci aspettavamo qualche oro in più. Soprattutto se guardiamo quei venti bronzi conquistati. Per inquadrare bene le aspettative: noi ci immaginavamo 12 ori che ci avrebbero proiettato tra i primi sette del medagliere. Detto questo, ovviamente certifichiamo che il nostro comitato olimpico gode di ottima salute ed è andato a bersaglio con tante discipline. Uno dei motivi è sicuramente il lavoro di pianificazione e la creazione del campus che ha consentito agli atleti di prepararsi al meglio. Questo centro che ho avuto il privilegio di dirigere si poneva l’obiettivo di creare un’area di comfort per gli atleti, dando modo di smaltire il fuso orario e facendo trovare attrezzature per gli allenamenti di alta qualità. Ci siamo appoggiati all’università di Waseda nella città di Tokorozawa dove avevamo a disposizione una pista di atletica, un palazzetto dello sport, una piscina olimpionica e una foresteria con 150 posti letto. Ovviamente abbiamo portato anche tutta l’esperienza della cucina del centro di preparazione olimpica di Formia. Insomma l’idea era di far sentire i nostri atleti a casa creando un’esperienza che fosse in tutto e per tutto identica alle strutture di allenamento italiane. Con noi ci sono state le medaglie della scherma e i cinque ori dell’atletica. Non è stata l’unica, ma di certo il Campus può essere messo tra le ragioni del successo azzurro”.
Il senso di appartenenza e il circolo virtuoso
Elena Marinelli, autrice di Steffi Graf. Passione e perfezione (66thand2nd) e collaboratrice di Ultimo Uomo, vede un possibile motivo del successo dell'Italia nella rivalutazione del concetto di squadra: “Nell’atletica o nel basket, per fare due esempi importanti e differenti, la squadra è diventata uno strumento per allenare la competizione, quella sana che porta a ridisegnare gli obiettivi, anche oltre le aspettative di partenza. Molti nostri atleti hanno detto che si sono ispirati a vicenda, creando un circolo virtuoso di possibilità. La squadra, quindi, vuol dire non sentirsi isolati, significa ritrovare un centro fatto di confronto, attenzione, interesse reciproci”.
Dobbiamo capire se siamo nel bel mezzo di un cambiamento epocale
Giancarlo Dimaggio, psichiatra e psicoterapeuta, prossimamente in libreria con Il diavolo prenda l’ultimo. La fuga del narcisista (Baldini + Castoldi) avanza prima un dubbio: “Da un punto di vista metrico è difficile capire se queste Olimpiadi siano andate meglio di altre… Il dato in sé non è così sicuro, soprattutto se facciamo un calcolo tra il numero di medaglie vinte e il totale di medaglie assegnate non siamo così distanti dal nostro standard. Detto questo però non può non colpire la vittoria in alcune specifiche discipline. Penso ai 100 metri e alla 4x100. Due vittorie che ci dicono inequivocabilmente che l’Italia sta iniziando a beneficiare della multietnicità e questo si riflette nella possibilità di essere più competitivi in alcuni sport dove in passato lo eravamo meno”.
E poi, racconta Dimaggio, “è importante capire se siamo nel mezzo di un momento casuale o no. Intanto gustiamoci però l’idea che stia accadendo davvero qualcosa di bello e importante: Penso agli Europei, alla vittoria dei Maneskin, all’esplosione del tennis… tutti elementi che ci portano a vedere una sprovincializzazione. Come se gli italiani stessero facendo leva su alcuni aspetti caratterizzanti del nostro Paese come la creatività, l’inventiva e la tenacia per emergere e competere”.
Infine impossibile con lui non affrontare il tema della mente nello sportivo: “Si tratta di un argomento delicatissimo: si sta aprendo una cultura della psicologia dello sport. È una professione, ci vuole una laurea e poi occorre seguire un percorso di formazione che dura almeno due anni. Non entro nel discorso dei mental coach perché è un terreno scivoloso, ma è importante che si inizi a comprendere che la prestazione dell’atleta può essere aiutata e sostenuta da persone capaci”.
La bellezza della radio
Gabriele Brocani conduttore di Rai Radio1 Sport ci racconta con parole molto belle e appassionate quanto il mezzo radiofonico sia stato fondamentale per la costruzione di queste indimenticabili giornate olimpiche: “La squadra di Radio 1 Sport ha esaltato il record di medaglie e le storie dando a quelle esperienze olimpiche un valore sonoro che tra dieci o venti anni ricorderemo ancora. Le olimpiadi alla radio hanno dato una forma poetica a una narrazione che non toglie nulla alle immagini ma aggiunge una profondità in più con la dovizia, i dati, i racconti e le competenze dei giornalisti impegnati”.
Questa forse non è una vera e propria ragione per spiegare il segreto del successo, ma di certo anche nelle radiocronache di Radio Rai conserveremo la bellezza e le emozioni di quelle storie che ci hanno fatto battere il cuore, nell’estate dei vaccini e della ripartenza.