“E’ tutto più umano: giri in ciabatte nel paddock e ti sorridono, ti dimentichi il cappellino e non frega niente a nessuno”. La frase è di parecchio tempo fa e è di Danilo Petrucci, appena approdato in Superbike dopo tutti gli anni in MotoGP. E ‘ una frase che torna continuamente in mente ogni volta che ci scappa, per lavoro o meno, il paragona tra il mondiale delle derivate di serie e quello dei prototipi. Non i soliti paragoni su chi va più forte, su cosa farebbero quelli di una parte traslandoli dall’altra e cose così che neanche stanno in piedi, ma su come si sta e come funziona dentro due mondiali che sono due mondi e che in comune hanno solo il gusto della velocità e i mezzi che si usano per godersi quel gusto. Ecco, quel paragone è tornato di prepotenza in questo fine settimana, con la SBK che ha vissuto il suo ultimo atto a Jerez e con un episodio, il crash tra Nicolò Bulega e Toprak Razgatlioglu nella Superpole Race, che ha scatenato un inferno durato sì e no 24 ore. Fino a quando, insomma, tutti quelli che dovevano chiedere scusa hanno chiesto scusa, tutti quelli che dovevano dire grazie hanno detto grazie e tutti quelli che hanno provato un minimo di vergogna non per l’episodio di gara, ma per il comportamento di alcuni tifosi, hanno preso le distanze da quegli stessi tifosi. Roba, insomma, di cui in MotoGP si sarebbe parlato forse per anni e senza venire assolutamente a capo di niente.

Già domenica pomeriggio, con un abbraccio in pista e parole sussurrate da casco a casco, i due diretti protagonisti, Nicolò Bulega e Toprak Razgatlioglu, avevano chiarito tutto. Poi c’è stato chi ha voluto comunque montarci qualcosa sopra e il pilota italiano, in quella giornata, ha douto pure muoversi scortato per le minacce (addirittura di morte) di alcuni tifosi turchi. Cose che possono succedere? Sì, ma che non devono. E in SBK, contrariamente a quanto accade in MotoGP, si è agito invece che stigmatizzare e basta, partendo proprio da quelli che hanno vissuto tutto sulla loro pelle. “C’era solo TNT sport come tv – ha detto Bulega – e ho quindi approfittato di loro per scusarmi subito pubblicamente, visto che Toprak e il suo staff, giustamente, mi avevano detto che avrebbero preferito aspettare la fine di Gara2 per un chiarimento faccia a faccia”.
La sera, in sala stampa, Toprak Razgatlioglu ha poi spiegato che quel chiarimento c’era stato, che restavano le considerazioni sull’errore e che, tra lui e il suo avversario più difficile, era già tutto a posto. Con stima immutata. Con affetto rimasto uguale. Ma c’è stato comunque chi non ha smesso, soprattutto sui social. E Nicolò ha pubblicato un ulteriore post che è un manifesto di sportività, ma pure di umanità. Non lo stiamo a trascrivere, ma è qua sotto. Trascriviamo, invece, la risposta a quel post di Kenan Sofuoglu, ex pilota e pure, in qualche modo, padre professionale di Toprak Razgatlioglu. Perché è uno sempre un po’ spavaldo, sempre un po’ così, e invece questa volta è stato da incorniciare.
“Nicolò – scrive l’ex pilota e oggi manager turco - voglio congratularmi con te. Hai avuto una stagione fantastica. Credo e sono completamente d’accordo con te sulla Superpole Race. Voglio scusarmi per la reazione dei fan. Penso che questo sia stato un incidente di gara. Un incidente tra due piloti che si stanno giocando il titolo e l’organizzazione avrebbe dovuto gestirlo con più attenzione, perché avrebbe potuto cambiare il risultato del campionato. Buona fortuna per il tuo futuro“. Poche parole intorno a una parola sola: “scusa”. Che poi sono parole che in qualche modo fanno il paio anche con un altro post comparso in queste ore sui social e che porta la firma di un altro padre, questa volta di sangue, che è stato anche pilota: Davide Bulega.
“Ci sono vittorie che si misurano in punti, podi e trofei – scrive Davide rivolgendosi direttamente a quel ragazzo che per tutti sarà “solo” un pilota e un campione, ma per lui è figlio -E poi ci sono quelle che si leggono negli occhi, nel coraggio, nella determinazione di chi dà tutto, anche quando tutto sembra sfuggire di mano. Anche quest’anno hai corso con il cuore, con il talento, con la fame di chi sa di avere qualcosa da rivendicare. Hai lottato curva dopo curva fino alla fine e sempre correttamente. Eppure, a volte, la sorte è più dura degli avversari. Gli episodi sfortunati non potranno mai toglierti ciò che sei: un pilota vero, un esempio di forza, un campione nell’anima. Non servono classifiche per riconoscere cosa hai fatto quest’anno. Hai vinto nel cuore di chi ti guarda, di chi ti segue, di chi sa riconoscere la grandezza, anche quando la sorte è ingiusta. Il tuo cammino non si ferma qui. Il meglio deve ancora venire. Io sempre qui, a tifare per te. Con orgoglio. Con emozione. Con gratitudine. Tuo Papà”. Niente da aggiungere. Solo che di questa SBK si fa bene a innamorarsi, perché, come diceva Petrucci, “si gira in ciabatte e dimenticando il cappellino”, ma con, ancora, il valore di uno “scusa”, di un “grazie”, delle distanze da prendere quando c’è da vergognarsi e delle emozioni da lasciar passare come qualcosa che ci ricorda nessuna moto avrà mai tutti i cavalli che ha l’umanità. E chi sta vicino spegne, piuttosto che infuocare. Sì, questa SBK è ancora motorsport e forse dobbiamo chiederci se la MotoGP lo è ancora…