C’è un tennis fatto di calcoli, schemi, potenza, ossessione per il punto percentuale. Poi c’è Lorenzo Musetti. Uno che al manuale preferisce il pennello, al colpo sicuro il rischio, al pragmatismo l’arte. Il ragazzo di Carrara è un’anomalia vivente in un tennis sempre più robotico. Si potrebbe dire senza cadere in errore che Musetti sia uno degli ultimi prestigiatori del circuito: non un martellatore, ma uno che gioca per stupire, non solo per vincere. Guardarlo è un’esperienza e una tortura allo stesso tempo, soprattutto quando cade vittima dei suoi stessi trucchi: il rovescio a una mano che manda in visibilio anche chi di tennis capisce poco, le smorzate, le volée, gli attacchi in controtempo; ma anche i blackout mentali nei momenti chiave contro avversari alla portata.

A Madrid, però, l’azzurro ha mostrato qualcosa di diverso. Certo, non ha centrato l’impresa: la sconfitta in semifinale contro Jack Draper, dopo un primo set lasciato scivolare via e un secondo combattuto fino al tie-break, lo ha fermato a un passo dalla sua seconda finale consecutiva in un Masters 1000. Ma Lorenzo ne esce comunque a testa alta. È una sconfitta dal sapore incoraggiante, il gap con i big si sta assottigliando. La Top 10 mondiale (sesto italiano dell’era Open a riuscirci) è già un traguardo enorme, ma non basta più: ora serve lo step finale per giocarsela alla pari con i mostri sacri del circuito. Tuttavia, non renderemmo giustizia al talento di Carrara se riducessimo tutto a una questione di classifica. Musetti, infatti, rappresenta una sfida vivente al tennis moderno, sempre più dominato da colpi pesantissimi e da macchine perfette come Alcaraz o Sinner. Lorenzo non ha la loro potenza, ma ha un’arma che pochi possono vantare: l’estro. Il suo tennis è fantasia, rischio, intelligenza, e finalmente anche solidità.
A prescindere da tutto la sua vera vittoria in questi primi mesi del 2025 è aver raggiunto un equilibrio tra genio e risultato. Sta scalando la vetta del ranking mondiale senza stravolgere il suo tennis ribelle nei confronti dell’età moderna, ma cambiando il suo approccio ai momenti complicati di un match o di una stagione. Lorenzo non ha smesso di essere sé stesso: ha solo imparato a vincere pur essendo sé stesso.
A fare la differenza è stato un cambiamento mentale profondo, arrivato dopo due svolte personali: la nascita del figlio Ludovico e lo storico bronzo alle Olimpiadi di Parigi. Due eventi che lo hanno trasformato: non più solo il talento geniale e intermittente, ma un uomo capace di reggere la pressione, di giocare sul dolore (come nella finale di Monte Carlo), di affrontare i giganti senza complessi. Questo nuovo Musetti è meno vezzoso e più concreto, meno smania di stupire e più fame di vincere.
Nonostante questa nuova solidità, Lorenzo resta uno dei personaggi più genuini del circuito: juventino sfegatato, appassionato di rap, protagonista involontario di meme e clip virali grazie alle sue irresistibili imprecazioni toscane in campo. Un ragazzo che non si prende troppo sul serio, ma che ora in partita sa fare maledettamente sul serio. Madrid non sarà stata la consacrazione definitiva, ma la stagione del tennis sulla terra è ancora lunga e la prossima tappa è il Foro Italico di Roma. Chissà che la consacrazione non possa arrivare proprio tra la sua gente, sul suolo di casa.
