È semplicemente magistrale la seconda parte dell’intervista di Valentino Rossi a Mig Babol, il podcast firmato Andrea Migno e Filippo Carloni. Non che la prima metà ci avesse deluso, anzi: inedite chicche sciorinate dal 46 sugli esordi nel Motomondiale e sulla rivalità con Max Biaggi l’avevano di per sé resa una hit, che potete leggere qui in versione integrale. Ma la sensazione è che questa nuova puntata passerà alla storia, perché Valentino per un’ora e un quarto parla dei momenti più iconici della sua estesissima carriera. Quelli più vicini in ordine di tempo, quelli che appassionati - e non - ricordano più nitidamente, perché coincidono con frangenti più o meno divisivi della loro stessa esistenza, con eventi che li hanno in qualche modo costretti a scegliere: stare con Valentino Rossi, coi suoi rivali, oppure appostarsi sul ciglio della strada per godere dello spettacolo in maniera distaccata?
“Una cosa importante – avverte il 46 - lo sport è fatto di rivalità. È lì che la gente si appassiona, è lì che i campioni tirano fuori l’ultimo pelo. Non è un caso che le tre gare più importanti della mia carriera le abbia fatte contro i tre avversari più importanti per me. 2004 contro Biaggi a Welkom, 2008 contro Stoner a Laguna Seca, 2009 contro Lorenzo a Barcellona”. La struttura di questo secondo episodio è chiara: Rossi è chiamato a ripercorrere gli highlights della sua carriera, quindi – oltre ai duelli coi suoi più grandi rivali – anche Valencia 2006, Sepang 2015 e la tragedia sfiorata in Austria, nel 2020. In fin dei conti, tre istantanee dal retrogusto dolce e altrettante dal sapore amaro. La novità assoluta? Valentino racconta a ruota libera, come un fiume in piena che non vuole disperdere alcun dettaglio, come uno che – a proprio agio – si sente libero di dire praticamente tutto, comprese alcune confidenze rimaste intime per oltre 20 anni. Sono dichiarazioni potenti, queste, che inevitabilmente influenzeranno l’atmosfera del paddock della MotoGP, già a partire dalla prossima gara di Misano.
Si parte dalla decisione di lasciare la Honda, al termine del 2003, per la Yamaha. Valentino, mentre cerca di mettere in ordine i fatti per esporli, si fa prendere da uno spontaneo coinvolgimento emotivo, leitmotiv di tutta la puntata. Motivo conduttore che si riflette nella scelta dei tempi verbali, spesso coniugati al presente: “La M1 la vedo per la prima volta di nascosto nei box di Donington e, cavolo, faceva schifo rispetto alla Honda RC211 5 cilindri, che era bellissima, un’opera d’arte. Avevo l’occasione di stare con lei alla sera anche quando la smontavano, dovevi vedere cos’era; tutte queste marmitte che giravano e non si capiva dove passavano. La Yamaha però poi la provo ad inizio 2004, in effetti non andava male. Aveva il problema del motore molto scorbutico, ma alla fine del primo test in Malesia Masao Furusawa – a capo del progetto – mi chiede ‘Vale, secondo te per battere la Honda cosa dobbiamo fare?’. Io gli dico ‘Secondo me ci vuole un motore più dolce, perché l’erogazione di questa moto è molto due tempi’. Dopo un mese andiamo a Phillip Island e facciamo sei giorni di test, Masao mi porta il motore con gli scoppi irregolari, lo stesso funzionamento di quello della Honda. Un motore che andava piano, ma rendeva la moto più guidabile, mi sono trovato subito bene. Masao allora mi domanda ‘Cosa scegli?’. Io rispondo ‘Continuiamo col motore a scoppi irregolari, ma deve andare un po’ più forte, perché altrimenti così perdiamo troppo’. Quando mi hanno portato il motore definitivo a Barcellona ciao, c’eravamo. Io comunque alla prima gara di Welkom mi sentivo veramente in una bolla, avrei potuto vincere anche a piedi (ride). Mi portavo dietro la squadra che avevo in Honda, che non aveva ca*ato me ma nemmeno i meccanici, un team coi controca*zi e con l’entusiasmo della rivalsa. Eravamo tutti carichi. Infatti pole position e vittoria, è stato l’apice della mia carriera”.
In ordine cronologico, è il turno della sconfitta del 2006: “Il fatto che Elias mi abbia battuto per cinque millesimi all’Estoril è stato un brutto presentimento. Poi Elias caz*o, bravissimo poverino, campione del mondo anche lui, ma in MotoGP forse ha vinto solo quella gara (sorride). Ho tanti rimpianti per il 2006, ma posso dire adesso che– dopo aver vinto cinque Mondiali di fila – in quella stagione avevo mollato un attimo la presa. Ho la sensazione che qualcosa in più avrei potuto dare, ma fisiologicamente un po’ di fuoco, di stamina, mancava. Sempre Elias mi stende alla prima curva a Jerez, mi si rompe il motore a Laguna Seca, a Le Mans si spacca una valvola negli ultimi giri, quando aveva già vinto la gara. Lì ho detto ‘diobò questi punti qui alla fine dell’anno me li ricorderò’. Comunque in Portogallo Pedrosa stende Hayden – salutiamo Nicky ovunque sia perché è stato un gran figo, una gran persona – e arriviamo a Valencia che per me è praticamente fatta, perché ho una decina di punti di vantaggio. Hayden, venendo dagli ovali americani, era un sinistrorso. A Valencia andava forte, pestava. Però io nelle prove volavo, facevo paura. Io, che non sono mai stato un gran pole sitter, in qualifica faccio primo. Al sabato sera il titolo sembra già vinto. Ora io non lo, ci saranno stati anche dei motivi tecnici – e adesso è anche brutto parlarne perché ho perso e punto – però dal warm-up non andavo più un caz*o, alla domenica mattina ho fatto undicesimo. In gara sbaglio la partenza, mio grande classico, ma poi comunque vado piano, mi si chiude davanti dappertutto. Fino a quando, alla seconda curva, mi stendo. Lì è stato un taglio netto, fino a lì ero stato invincibile, non vincevo tutte le gare ma vincevo tutte quelle che contavano. Da lì in poi si è aperta un’altra fase della mia carriera. Ma lì per lì, cavolo che delusione. Sono stato dieci giorni a casa, senza uscire, a rigirarmi nel letto tutto il giorno”.
Sul filo del dolore, Valentino collega il 2006 ai fatti del 2015, incendiando letteralmente la puntata: “La delusione del 2006 è comunque imparagonabile a quella del 2015. Nel 2006 ho sbagliato io, sono stato un co*lione, Hayden ha vinto. Punto, basta, finito, questo è lo sport. Il 2015 è diverso, potremmo stare a parlarne fino a domattina, ma cerco di fare un riassunto. Alla fine del 2013 ho cambiato il mio capotecnico, Jeremy Burgess, che era con me dal 2000. È stata dura a livello emotivo, ma lui non aveva più tanta voglia. È arrivato Silvano Galbusera al mio fianco e nel 2014 abbiamo fatto davvero un bel lavoro. Marquez vinse dieci gare di fila, ma nelle ultime gare del campionato fregai Lorenzo per il secondo posto in campionato e all’ultima di Valencia (Rossi sottolinea Valencia, non la sua pista preferita, ndr) me la giocai con Marquez. Lì ho detto ‘aspetta, perché l’anno prossimo non saremo messi male’. Nel 2015 sapevo che i miei avversari principali per il Mondiale sarebbero stati Marquez e Lorenzo. Marquez alla prima curva della prima partenza, a Losail, va dritto (Valentino fa il gesto di uno che si leva un peso dallo stomaco, ndr). È un segnale, come quando a Jerez alla prima curva mi ha steso Elias, ma all’opposto ovviamente. ‘Iniziamo bene’, penso. Vittoria in Qatar e poi vittoria in Argentina, dove tutto nasce”.
Agganciandosi agli avvenimenti di Termas De Rio Hondo 2015, Rossi torna a parlare della rivalità con Marquez, come mai aveva fatto prima. I prodromi dello strappo: “In Argentina nella prima metà di gara, con la media al posteriore, Marquez se ne va, fa il cu*o a tutti. Però io dietro avevo la hard, ed ero fiducioso, la Yamaha volava se riuscivi a mettere la hard posteriore Bridgestone in temperatura (al ricordo di quella sensazione, Valentino ancora ghigna con voluttà, mentre mima il distacco di quattro secondi e mezzo da Marquez che si riduce giro dopo giro, ndr). Comincio a fare i giri veloci, uno dietro l’altro, pam pam, e vedo Marquez che si avvicina. Intanto, basandomi sui decimi che gli recuperavo e sui giri che mancavano, faccio i conti pensando al momento della gara in cui l’avrei agganciato. Lo prendo a due giri dalla fine e vado così più forte di lui che, nonostante sia Marquez, in quel momento passarlo per me diventa una formalità. Alla staccata della 4 lo passo bene, vado per chiudere la curva e ca*zo, Marquez mi viene addosso, pieno. Lui fa palesemente apposta a sbattere contro di me per provare a buttarmi giù. Fino a quel momento il nostro rapporto era ok, eravamo sempre andati abbastanza d’accordo, ma lì penso ‘guarda te sto bastardo’. Io poi torno nella mia linea, ci ritocchiamo e lui cade. Da lì il nostro rapporto va in frantumi, anche se lui continua a leccarmi il cu*o e a far finta di andare d’accordo con me. Ad Assen i facciamo una gara incredibile, io e lui facciamo il vuoto, prendo un po’ di vantaggio al penultimo giro ma lui è tosto e non molla. All’ultima esse, convinto che lui ci provi, stacco più forte possibile e vedo come va. Già di mio non so se sto dentro la curva, lui nonostante la mia staccata esagerata mi viene addosso un’altra volta. Io, naturalmente, appena sento che mi arriva addosso, vado dritto, resto in piedi sulla ghiaia non per miracolo ma quasi, taglio la esse e vinco. Non avevo tanta scelta. Alla fine lui, senza appoggiarsi su di me, in pista non sarebbe mai rimasto. Infatti è andato nel verde comunque, anche dopo avermi buttato fuori. Arrivo al parco chiuso e lui è incaz*ato nero, una faccia che non gli avevo mai visto. ‘Facile vincere così, tagliando’, mi dice. Io gli rispondo ‘Ma come taglio, mi sei venuto addosso, cosa dovevo fare? Spiegamelo per favore’. Lui replica ‘No, no, così comunque non vale perché hai tagliato’. Io dico ‘Diobò Marc, devi essere obiettivo. Se mi vieni addosso e mi butti fuori ti devo far vincere?’. Poi andiamo a rivederla in Direzione Gara, io gli chiedo di nuovo cosa avrei dovuto fare, lui farfuglia irritato. Da lì in poi è finita, gelo”.
La ferita incolmabile, Sepang 2015. “Successivamente – racconta il 46 - vengo a sapere da alcuni miei amici spagnoli che Marquez ed Emilio Alzamora (ex manager di Marc Marquez, ndr) andavano in giro per il paddock a dire ‘il Mondiale non lo vinciamo noi, ma non lo vince nemmeno lui’. Mi hanno messo in guardia. Che Marquez in Australia abbia fatto la gara su di me, non è un’ipotesi, ma un fatto. Basta avere pazienza, andare a vedere i tempi e guardare cosa succede in gara giro per giro. Io in Malesia ho provato a spu*tanarlo in conferenza stampa, sperando che lui dicesse ‘lascio perdere’. Anche perché ricordiamoci che il Mondiale ce lo giocavamo io e Lorenzo, questo è il grande nocciolo della questione. Se non ti giochi il titolo devi avere il rispetto di non rompere i co*lioni agli altri. Fare la tua gara, provare a vincere e basta. Chi te lo fa fare di metterti in una condizione così, dove nessuno dei due è il tuo compagno di squadra, tuo amico o tuo fratello? Cioè, fatti i caz*i tuoi. Poi la domenica in gara mi ha danneggiato per tutta la gara, cercando di farmi cadere tre o quattro volte, solo che non mi ha preso il manubrio. Io nell’ultima destra che stringe gli sono andato molto vicino, come fai per strada quando litighi. L’ho guardato nel casco come per dirgli ‘Basta, ma che caz*o fai?’. Sul quel contatto ho molti dubbi, perché lui non cade mai (sottolinea ‘mai’, ndr) e invece in quel momento forse gli si è incastrata la leva del freno nel mio ginocchio. Io non volevo buttarlo giù, ma comunque è caduto”.
Ma ora vi racconterò due chicche molto belle – annuncia Valentino subito dopo. “Al termine della gara di Sepang mi chiamano in Direzione Gara, dove c’erano Mike Webb, Carmelo Ezpeleta e Marquez con Alzamora. Io arrivo con Meregalli e Alzamora comincia ad insultarmi, perché io gli dico ‘Alzamora, ma perché sei qui? Sei della Honda? Sei il manager di Marquez, io sono con Meregalli della Yamaha, allora posso chiamare Uccio’. Era incaz*atissimo, io comunque ero da solo, perché Meregalli è molto soft, invece lì ci voleva uno che mi aiutava. Ognuno dice la sua e alla fine Mike Webb sentenzia ‘Abbiamo deciso che a Valencia partirai ultimo’. Una cosa che non è mai successa, perché se loro mi ritenevano responsabile della caduta di Marquez avrebbero dovuto darmi un ride through da scontare nella stessa gara di Sepang, dove invece di terzo avrei fatto quinto. Invece si inventano questa penalità, che mi tagliava le gambe. Nel momento in cui Mike Webb ha detto che sarei partito ultimo a Valencia a me si è gelato il sangue. ‘Ho perso’, pensavo. Ma la reazione successiva è stata osservare Marquez, che ha guardato Alzamora e ha fatto sì con la testa (Valentino mima col capo un ‘ce l’abbiamo fatta’, replicando il gesto reciproco tra Marquez e Alzamora, ndr). Marquez che fino a poco prima era a testa a bassa, perché avevamo litigato e io gli avevo detto ‘guarda, se fai questa cosa, poi te la porterai dietro per tutta la carriera’. È andata così. Marquez – devo dire – è un pilota fortissimo, un fuoriclasse, sempre aggressivo e border line. Ma nel 2015 è proprio passato dall’altra parte. Perché diversi piloti sono aggressivi e al limite dello sporco, potrei fare tanti esempi. Ma mai nessuno dei fuoriclasse del motorsport ha lottato per far perdere un altro pilota. Altri sono stati magari molto sporchi, sì, ma per sé stessi. Perché avevano voglia di vincere”.
“Laguna Seca 2008?” – chiede poi, sarcastico, Valentino. “Per raccontarla bene – premette - bisogna partire dal 2007, in cui Stoner mi fa il cu*o. In cui io passo dei momenti difficili; dopo le beghe con le tasse e con il fisco italiano ero praticamente finito. Sette mondiali vinti, due anni che non vincevo, avevo quasi 30 anni, dai ormai sembrava fatta. Nel 2008 parlo con Furusawa e gli dico ‘voglio restare con Yamaha, però bisogna che facciate qualcosa perché la moto non va un ca*zo’. Fanno la moto che va bene e, dopo varie peripezie e qualche vittoria, arriviamo a Laguna Seca con Stoner che aveva vinto tre gare di fila, continuava a guadagnarmi punti e lì in California volava. Io non ero messo malissimo, ero secondo ma Casey faceva un altro sport. Laguna si prefigurava un po’ come la resa dei conti. Al venerdì Stoner mi dava un secondo e sei, poi ho recuperato un po’ ma fino al warm up lui girava in 1’21”5 e io in 1’22”2. Mi ricordo che la domenica mattina, sulla strada per andare in circuito, Uccio mi chiede ‘come facciamo oggi? Io gli dico ‘oggi è tutto per tutto, il primo obiettivo è che lui non vinca, poi se ci stendiamo entrambi o se io non vinco va bene uguale’. Lui, col vantaggio che aveva, non si aspettava che io reagissi così, l’attacco della rissa è stato subito al primo giro, dove l’ho passato al Cavatappi mentre lui bello tranquillo scaldava ancora le gomme. Lì deve aver pensato ‘ma come?’. Da quel momento in poi abbiamo cominciato a fare da matti, ci siamo passati sette, otto volte. Il sorpasso mitico, di nuovo al Cavatappi, è stato al quinto giro. Solo che Laguna Seca è corta, di giri ce n’erano 30. Quando sono passato per primo, dopo quel sorpasso al Cavatappi, e ho visto ’24 laps to go’ ero finito. Però sapevo che non dovevo farlo stare davanti nella parte in discesa, un ultimo settore in cui lui faceva paura, mi dava una vita. Se io gli stavo davanti, però, lo tappavo. Lui continuava a provare a passarmi, si è innervosito e alla fine ha fatto l’errore. Stoner è stato il pilota con più talento che abbia mai visto, faceva cose incredibili con la moto, soprattutto col vento o in condizioni miste. Di testa però era più vulnerabile, e io ho cercato di puntare lì (ride)”.
Arriva il momento di parlare di due dei sorpassi più iconici della storia del Motomondiali, andati in scena entrambi – uno dopo l’altro – nel Gran Premio della Catalunya, anno 2009: “In quella stagione col monogomma passano tutti alle Bridgestone e facciamo il muro nel box, perché non volevo che i miei dati li passassero a Lorenzo. Grande polemica nei miei confronti, ancora adesso certi piloti dicono ‘Ah ma non faccio mettere il muro come Valentino’, che palle. Invece il muro è stato un grande bluff, perché alla fine, vista la polemica, i miei dati andavano comunque tutti a lui, così come i suoi venivano condivisi con me. A Barcellona, dopo sei gare, arriviamo io Lorenzo e Stoner a pari punti, esattamente 120. Barcellona è casa di Lorenzo, lui arriva tutto vestito blaugrana. Ci alterniamo; lui fa il primo tempo in un turno, io rispondo alla sessione successiva. Al sabato mattina sono in testa, al pomeriggio fa la pole lui per tre centesimi. Arriviamo in casa allo stesso livello, lui è in casa ma Barcellona è sempre stata una delle mie piste preferite. Però Barcellona, a differenza di Welkom e Laguna Seca, ha il sorpasso all’ultima curva. Caz*o, emotivamente di dà una scarica di adrenalina indimenticabile. Comunque, torniamo alla gara: non ci stacchiamo più l’uno dall’altro e siamo costretti alla resa dei conti degli ultimi giri. In quei casi, visto che con la scia sul rettilineo dei box potevamo sorpassarci ogni giro a vicenda, si contano i passaggi che restano al traguardo per cominciare l’ultimo giro in seconda posizione. Al penultimo giro, lui mi passa sul dritto; si dice che l’eroe è un pazzo o uno che semplicemente non ha scelta: io non ho scelta in quel caso, perché lui dopo avermi passato chiude la linea e mi stacca davanti. Io gli stavo andando addosso, non facevo più in tempo ad andare a destra, quindi sono andato all’esterno, sperando di passare, e sono passato. In un pertugio, chiudendo il ginocchio. Solo che in questo modo lui ha la possibilità di passarmi di nuovo nel rettilineo che inaugura l’ultimo giro dove – memore di quello che successo in precedenza – non mi lascia più spazio alla staccata della prima curva. ‘Caz*o’, penso. Provo a passarlo alla 4, ma lui mi incrocia. Alla 9, l’ultimo posto dove si può passare, non riesco a passare perché lui aveva accelerato meglio alla 8. Però lui alla 9 protegge comunque la traiettoria interna, io dall’esterno faccio la linea giusta e gli arrivo alla 10 attaccato. Nel 2007 ero riuscito a passare Stoner all’ultima curva, ma a metà gara. In quel momento lì, con Lorenzo che intanto fa la 10 e la 11 non rilassato ma comunque non alla morte, ci penso. Allora alla 12, all’ultima curva, mi butto. Freno ma capisco che non mi fermerò mai, così invece di fare la curva in terza metto la seconda, colpo di genio. Cavolo a centro curva mi si è chiusa davanti, ero veramente al limite, ma grazie alla seconda marcia non sono cascato. E così sono riuscito a fregarlo. Devo dire che Lorenzo è stato pazzesco, perché è arrivato lì appena dopo la gara e mi ha detto tipo ‘grande, vaffan*ulo mi hai fregato, ma grande’. Non è arrivato lì con l’atteggiamento che hanno avuto altri negli anni successivi. È stato veramente un signore”.
Si passa successivamente ad uno dei più grandi rischi corsi da Valentino Rossi in pista: “Non volevo smettere mentre ero sulla cresta dell’onda, volevo smettere quando non ce la facevo più, quando sapevo che non avrei avuto rimpianti. Zeltweg 2020 è stata una gara importante in questo percorso, perché comunque negli ultimi anni ho sempre cercato – non di stare attento, perché sei in MotoGP – ma di non fare il pazzo. Sono sempre stato un po’ così, perché cadere e farmi male non mi è mai piaciuto (ride). In Austria ero lì tranquillo, stavo facendo una bella gara con Vinales,. Ero concentrato per non far scappare Maverick, e mi ricordo che – mentre inserivo la moto in curva – ho visto un’ombra passare. Una cosa che di solito non vedi, ho pensato all’ombra dell’elicottero. Poi un attimo dopo ho visto la moto di Zarco esplodere e volare sopra Vinales. Maverick d’istinto ha lasciato le mani dal manubrio. ‘Caz*o’, ho detto. Ero abbastanza scosso, sono tornato ai box con le mani nei capelli, anche se io la moto di Franco – che è stato il mio vero rischio – non l’ho vista. È stato un flash scuro. Mi sono seduto al box e ho detto ‘Caz*o, è andata bene a Vinales che gli è passata la moto di Zarco sopra’. Solo che attorno a me li vedevo tutti – Uccio, Alex, Brent - belli bianchi. Ad un certo punto mi chiedono ‘ma la moto di Franco?’. Io rispondo ‘quale moto? Non l’ho vista’. Subito dopo ho riguardato le immagini, la moto di Franco mentre mi sfiorava andava dal basso verso l’alto, sarebbe stato un disastro. Solo che bisognava ripartire subito per riprendere la gara e Uccio per non farmi rivedere più le immagini mi ha messo il casco e ha detto ‘vai vai vai, dai che c’è l’altra gara’. Non è andata neanche male poi, perché ho fatto tipo quinto (ride). Lì ho pensato che sia io che Maverick abbiamo avuto una bella fortuna, però cavolo: dall’altra parte avremmo avuto anche una bella sfi*a. Ho pensato che, se corri con la MotoGP, anche se stai attento, puoi trovarti nel posto sbagliato al momento sbagliato, e sono ca*zi. Dopo nel 2021 non ero neanche più tanto competitivo e, di conseguenza, ho smesso”.
La puntata si chiude degnamente con una curiosa buonanotte: “Uso il phon per addormentarmi, è vero. Non mi piace stare nel buio totale e nel silenzio totale. Quindi il rumore del phon in sottofondo mi aiuta ad addormentarmi. Ma è anche dovuto al fatto che da piccolo mio mamma mi addormentava così, sono stato sempre abituato. Comunque ho visto che fa effetto anche alla Giulietta e ho letto sui giornali che non sono solo io a prendere sonno così (ride)”.