Ci sono piloti a cui il vanto della notorietà e l'amore delle folle non interessano. Piloti che non si emozionano davanti ai successi, non piangono sopraffatti dalle gioie più grandi, non pensano agli altri prima di parlare, accusare, commentare pubblicamente. Ci sono uomini che sono nati per correre, primeggiare, collezionare risultati, e del resto riescono a fare un contorno sbiadito, una cornice a cui non dare importanza.
Che Max Verstappen fosse uno di quelli, terribili e ingovernabili, lo avevamo capito già molto tempo fa. Quando, pupillo d'oro di una Formula 1 che lo ha accolto ancora minorenne, non ha mostrato timore davanti a niente e nessuno. Non le critiche di Niki Lauda, non l'assalto dei giornalisti che lo dipingevano troppo cruento, spavaldo, falloso. Immobile di fronte alla folla esultante della sua Zandvoort, tranquillo - quasi sconnesso - nel giorno del suo secondo successo mondiale a Suzuka.
Max corre per vincere, lo ha sempre fatto. È stato cresciuto per questo, forgiato nel carattere da un padre che lo ha voluto campione, buttato tra gli squali della massima serie prima di tutti gli altri. E non sorprende quindi che una predisposizione naturale all'egoismo abbia trovato spazio per crescere dentro la testa del giovane olandese, mostrandosi oggi come un tratto ingovernabile, e a volte incomprensibile, del suo carattere. L'ultimo esempio, il più eclatante, è quello visto - e ascoltato - al termine della gara di Interlagos 2022: un Verstappen già campione del mondo che deliberatamente non restituisce la posizione al compagno di squadra Sergio Perez privandolo di un sesto posto che lo avrebbe aiutato nella lotta mondiale per la seconda posizione nel campionato piloti, al momento a pari punti con Charles Leclerc.
Uno smacco, seguito da un team radio in cui lo si sente gridare "non dovete darmi ordini di scuderia", che ha dato il via a una serie di critiche: dallo stesso Perez, che lo accusa di egoismo dopo averlo "aiutato a vincere due mondiali", ai tantissimi fans delusi dal comportamento dell'olandese che - in meno di 24 ore - ha perso più di 40mila followers su Instagram ed è stato sommerso dagli insulti online. Ma Max non indietreggia, non si scusa, non ammette di aver esagerato: è un uomo solo al comando e così gli piace essere, poco importa delle critiche. Verstappen non è diventato quello che è, e non è arrivato dov'è oggi, con la gentilezza e l'altruismo. Mentre tutti parlano dei problemi che emergeranno da oggi in poi in casa Red Bull, dopo lo scontro con Perez, Max va avanti per la sua strada consapevole delle proprie capacità, insensibile ai fattori esterni.
Sbaglia? Forse. Ma la storia sta dalla sua parte. I piloti non sono sempre pronti a cedere, a dimostrare rispetto per chi li ha aiutati, a farsi da parte quando serve. I piloti, da Schumacher a Senna passando per Alonso e Piquet, si sono rivelati qua e là poco sportivi, pericolosi, egoisti, difficili da gestire all'interno del box. Eppure sono diventati grandi campioni, qualunque fosse il carattere che portavano in pista. E Max Verstappen è già un grande campione: i due titoli mondiali che si porta sul petto lo dimostrano.
Così mentre i social si dividono Max continua sulla sua strada e prende le sembianze di un altro grande, odiatissimo, campione: Marc Marquez. Un pilota sopravvissuto alla più grande ondata di odio mai vista tra il pubblico del motorsport, quella che lo ha colpito dopo il presunto "biscotto" del 2015 ai danni di Valentino Rossi. Monarca assoluto di una MotoGP che lo ha visto re, imperatore, tiranno solitario fino all'incidente che da alieno lo ha riportato a uomo normale, Marquez nella sua scalata verso il successo ha imparato a non interessarsi degli altri. L'odio lo avrebbe schiacciato, e così lui ha schiacciato il resto. Isolato dentro un mondo che chiede dominio ma gentilezza, vittorie ma altruismo, il pilota spagnolo si è preso sulle spalle il ruolo del nemico pubblico, del pilota da bloccare, da fermare nella salita verso i nove titoli del grande avversario italiano.
E dentro la solitudine di un carattere complesso si assomigliano Verstappen e Marquez. Odiati, forse proprio perché - loro per primi - poco interessati all'odio degli altri, focalizzati su un obiettivo che, hanno imparato a loro spese, non chiede sconti, permessi, non lascia spazio alle fragilità. Protetti da una barriera di egoismo che li rende antipatici agli occhi di chi non li tifa ma che ce li restituisce vincenti dentro l'albo d'oro dei migliori di sempre.