Che il mondo in cui viviamo stia gradualmente impazzendo, anche a causa dei social, mi sembra ormai un dato di fatto. Ma che la cura a una malattia possa essere l’ipocrisia, beh, mi appare alquanto discutibile. Ipocrita - o male informato, o ingenuo o, ancora peggio, paracu*o - è chi, nelle ultime ore, sta cancellando, o forse soltanto mettendo in "pausa", il proprio account dalla piattaforma X (ex Twitter) in protesta al comportamento - e alle dichiarazioni - del suo proprietario, il bilionario Elon Musk. In buona sostanza, siccome ha sostenuto Trump in campagna elettorale, probabilmente avrà un ruolo nel suo governo, ha pubblicato tweet contro le Ong che salvano migranti e i giudici italiani che si oppongono (per legge) alla deportazione degli stessi in Albania, con conseguente risposta del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, allora è diventato insostenibile utilizzare una piattaforma social. “Non è democratico” lo accusa qualcuno. “Vuole scavalcare le istituzioni” aggiunge qualcun altro. E via con la fiumana di post, foto e video (alcuni anche di tutorial) per far sapere al mondo - attraverso altre piattaforme social, naturalmente - di aver tolto la loro presenza da X. Ma ci siete o ci fate?
Non serve entrare in difficili tecnicismi per ricordare a tutti questi dissidenti della ragione, più che della “dittatura Big Tech", che mentre spiegano di essere fuggiti da X aggiungono contenuti, interazioni, visualizzazioni e dati personali ad altre piattaforme che di democratico non hanno mai avuto nulla. È forse democratico Meta, che comprende Facebook, Instagram e Whatsapp, solo per citarne alcuni social che ha in pancia? Stiamo parlando di una realtà che da sempre non paga le tasse dovute ai vari paesi in cui opera, come tutte le altre, perché utilizza l’escamotage di stabilire la sede legale in “paradisi fiscali” nei quali può risparmiare il più possibile. Cosa significa? Molti meno soldi nelle casse degli stati (democratici) e molti di più in quelle di Mark Zuckerberg. Una azienda che, tra l’altro, l’anno scorso è stata sanzionata per 1,2 miliardi di euro per aver trasferito dati personali appartenenti a utenti europei negli Stati Uniti, in violazione del Regolamento Generale per la protezione dei dati. E qui sembra di sentire riecheggiare Fantozzi: “Com’è umano lei”. Oppure “com’è democratico Mark Zuckerberg”. I rivoluzionari da tastiera, però, hanno anche altre opzioni per trovare luoghi più in linea con le loro velleità democratiche trasferite sul digitale. Per esempio TikTok, una società cinese attiva nel settore informatico con sede a Pechino e fondata da Zhang Yiming nel 2012. Società cinese con sede a Pachino, vi dice qualcosa? Al di là della suggestiva denominazione di Repubblica popolare, la Cina è controllata da un organo come il Congresso nazionale che nel 2018 ha sancito presidente a vita Xi Jinping (a vita!) grazie a una votazione da far rabbrividire quelle bulgare: 2.958 favorevoli, 2 contrari e 3 gli astenuti. E pensate che TikTok, oltre a non essere internamente democratico, non risponda direttamente alla Repubblica popolare cinese che la democrazia non sa neanche dove sta di casa? Le notizie su manipolazione dei dati, dell'informazione e delle proteste dei dissidenti, quelli veri che rischiano la vita e non di bruciare qualche follower, sono innumerevoli.
Non credo serva continuare, analizzando ogni singola piattaforma. Ma nel 2024, a un passo dal 2025, forse è il momento di aprire gli occhi (e anche la testa) su quello che usiamo ogni giorno, per lavoro o per svago: i social sono di società private, che hanno interessi propri, rispondono esclusivamente a logiche legate al profitto, utilizzano i nostri dati come moneta di scambio (c’è ancora qualcuno che li ritiene gratis?), che controllano in ogni istante quello che possiamo pubblicare e quello che non possiamo pubblicare, se ce lo fanno pubblicare possono favorirlo o sfavorirlo a loro insindacabile giudizio (qualcuno è convinto che il proprio feed sia libero e non controllato dagli algoritmi?), e che avendo ormai più liquidità di tanti paesi e un controllo capillare dei contenuti pubblicati o fruiti dall’opinione pubblica, influenzano o fungono da strumenti di influenza da parte della politica. Tutti, non solo X di Elon Musk. E chissà come mai Jack Dorsey, il suo fondatore, si è scoperto democratico solo dopo averlo venduto a suon di miliardi dichiarando: “Gli algoritmi ci tolgono il libero arbitrio”. In questo scenario apocalittico chi ci salverà? Forse Jeff Bezos, che con Amazon nel 2021 è stato sanzione per 1 miliardo e 128 milioni di euro per abuso di posizione dominante? Insomma, sono tutti democratici con i social degli altri. Peccato che nessuno, per ora, si cancelli da tutte le piattaforme come vero segno di rottura. Gli sarà rimasta la consapevolezza che, senza social, farlo sapere agli altri con i segnali di fumo è piuttosto complicato.