Nella legge di bilancio 2025 in Italia il governo prevede di richiedere alle banche un anticipo sul pagamento delle imposte future. Tecnicamente Dta. In pratica un prestito. Questa misura alchemica punta a ottenere circa 4 miliardi di euro per coprire parte del deficit, ovvero sostenere uscite definitive senza alcuna possibilità di compensazioni future. Si tratta di una soluzione temporanea che permetterebbe allo Stato di incassare alcuni debiti fiscali futuri delle banche. Dall’ultimo Bollettino statistico pubblicato dalla Banca D’Italia, Ed. del 9\10\2024, Fascicolo “Banche Moneta”, si appura che a fine 2022 i bilanci delle Banche Italiane esprimevano 1.319,8 miliardi di € di prestiti erogati in Italia, a imprese e famiglie. Il rendimento, il tasso di interesse medio praticato su detti prestiti, era pari al 3,20%. A fine dicembre 2023 questi prestiti ammontavano d € 1.280,90 miliardi con interessi che gravavano pari al 4,76%. Gli stessi dati, a fine agosto 2024, esprimevano prestiti per € 1.254,60, e tasso di interesse medio per le Banche pari al 4,63%. I depositi in euro alle stesse date e delle stesse categorie di Imprese e Famiglie ammontavano a 1.598,96 miliardi di euro (fine 2022), a 1.632,80 miliardi di euro a fine 2023 ed a 1.625,70 miliardi di euro ad agosto 2024, con tassi di interesse riconosciuti, rispettivamente pari allo 0,45%, allo 0,96% ed all’1,01%. Gli Spread nel medesimo periodo si attestavano al 2,75% (fine 2022) al 3,79% (fine 2023) ed al 3,72% (agosto 2024). La corsa all’aumento degli interessi ha favorito un maggior introito delle banche sui prestiti rispetto a quanto corrisposto ai depositanti con dilatazione dello spread pari a circa l’1%. È noto che gli operatori e intermediari creditizi, da fine 2022, beneficiano di un marcato utile-opportunità occasionato dal repentino aumento dei tassi di interesse puntualmente espressi dall’Euribor (dallo 0% ad agosto 2022 al 3,12% a fine ottobre 2024) esprimente il parametro al quale risultano agganciati i costi dei mutui, leasing ed altre forme creditizie. Utili generati solo ed esclusivamente dagli alti tassi d'interesse della Banca Centrale Europea. La stessa Bce, con il suo Capo della Vigilanza Claudia Buch, lo ha ribadito nell’intervista rilasciata al Sole 24 Ore del 5 novembre 2024, affermando che “la redditività delle banche è aumentata grazie all’aumento dei tassi di interesse”.
Ma tale aumento dei tassi, se porta benefici a una categoria economica porta disagi ad altre. E tutto l’aumento della redditività delle banche vede contrapposta la diminuzione degli utili della clientela sia passiva (i debitori delle Banche) che attiva (come i depositanti) ai quali gli stessi aumenti avrebbero dovuto essere traslati. Basti solo riflettere che per il 2024, a fronte del pil acquisito pari allo 0,4% su base annua e pari a circa 2.093 miliardi di €, le Banche Italiane prevedono di realizzare utili pari a circa 45 miliardi di euro dopo i 21 miliardi del 2022 ed i 32 miliardi del 2023. Utili che per il 2024 esprimono il 2,1% dell’intero pil italiano e che si accrescono solo a discapito delle famiglie e delle imprese quale conseguenza della divaricazione dello spread tra tassi riconosciuti ai depositanti e quelli praticati ai debitori. Dai dati esposti è fin troppo facile desumere chi ha concorso e concorre alla redditività delle Banche. I maggiori interessi riversati sulla clientela debitrice e non corrisposti alla clientela depositante ha causato un ingiustificato sacrificio dei primi, pari a non meno di 6 miliardi di minori interessi incassati dai depositanti nei primi 9 mesi del 2024, e a non meno di 4,7 miliardi di euro gravati in più alle imprese e famiglie indebitate. Nei primi nove mesi del 2024, il sistema bancario ha sottratto con la sua posizione contrattuale dominante al sistema economico oltre 10 Miliardi di euro non giustificati da eventi straordinari e imprevedibili ma solo con la traslazione asimmetrica dell’aumento dei tassi di interesse. Se nel sistema economico operasse una sola banca, una sola famiglia e una sola impresa, tale asimmetria sarebbe punibile con la previsione di cui all’Art. 118 del Testo Unico Bancario (“1. Nei contratti a tempo indeterminato può essere convenuta, con clausola approvata specificamente dal cliente, la facoltà di modificare unilateralmente i tassi, i prezzi e le altre condizioni previste dal contratto qualora sussista un giustificato motivo. […] 4. Le variazioni dei tassi di interesse adottate in previsione o in conseguenza di decisioni di politica monetaria riguardano contestualmente sia i tassi debitori che quelli creditori, e si applicano con modalità tali da non recare pregiudizio al cliente”). L’illegittimo arricchimento a discapito dell’economia nazionale prima di un ristorno sotto forma di tassazione aggiuntiva, c.d. “extraprofitti”, dovrebbe essere resa secondo i codici della deontologia. Invece, né l’una né l’altra riperequazione ma solo una indicibile trattativa volta a far prestare allo Stato una minimissima parte di detti superprofitti sotto forma di contributo per 2,5 miliardi di € attuato attraverso il rinvio delle deduzioni nel 2025 sulla svalutazione di crediti, avviamenti e impatto da adozione dei principi contabili ifrs9, più altri 1,5 miliardi rinviati al 2026. In sostanza il sistema bancario subisce per il 2025 una riduzione della percentuale annua di deduzione delle perdite su crediti che era prevista pari all'11% mentre viene azzerata. Per l'anno 2026 la stessa deduzione prevista pari al 4,7% viene diminuita al 2,75%. In tal modo le entrate dello Stato si concretizzano in 787,6 milioni di € per il 2025 ed in 460,0 milioni di € per il 2026. Il trucco e lo sgarbo agli operatori dell’economia reale è che per il triennio successivo 2027-2029 le medesime percentuali vengono aumentate per consentire il recupero di imposte. A fronte la sospensione della deducibilità per gli avviamenti 2025-2026 farà entrare nelle Casse erariali 865 milioni per ciascun anno 2025 e 2026.
Tutte le alchimie studiate dai banchieri e accettate dal governo per salvare la faccia e la Cassa comporta in sostanza un onere indiretto al sistema bancario di circa 300-400 milioni di € quali minori interessi lucrati sulle sospensioni (con successivi recuperi) di prelievi fiscali a vario titolo. Tra queste da porre in evidenza anche le deduzioni sulle perdite per l'adozione del principio contabile ifrs9 ed un recupero dello stesso ifrs9 attraverso la riduzione dall'80% al 65% della possibilità di compensare il maggior reddito imponibile dovuto al rinvio delle deduzioni con perdite pregresse. Queste misure prevedono sostanzialmente un versamento di circa 4 miliardi di euro da parte delle banche. Siffatto contributo è stato negoziato tra il Ministero dell'Economia e l'Associazione Bancaria Italiana (abi) e si basa su un anticipo delle imposte differite attive (dta), il che significa che le banche potranno recuperare questi importi in futuro, rendendole simili a un prestito senza interessi al governo. Il disagio che le banche sopportano per tale prestito, come detto, ammonta a scarsi 400 milioni di €. Se ogni Impresa ed ogni Famiglia potesse fare altrettanto dal 2026, anno di restituzione da parte dello Stato alle Banche di tutti prestiti avuti in sostituzione delle imposte, l’Italia si avvierebbe verso la bancarotta. Infatti, i signori banchieri sono molto pratici di Bancarotta: a discapito pubblico non loro. Ci si deve chiedere se è accettabile che una pubblica amministrazione Statale sia ostaggio di una categoria economica come quella dei banchieri? Poi i 400 milioni di minori interessi sono più che compensati con i 10 miliardi circa di maggiori interessi da posizione contrattuale dominante. In sostanza, il contributo alla manovra 2025 delle Banche lo hanno sborsato le Famiglie e le Imprese con una maggiorazione di ben 25 volte: 25 € di maggiori introiti dalla clientela operativa a fronte di ogni € di contributo delle banche alla manovra. In un sistema in cui la potestà impositiva è di esclusivo esercizio e normativo dello Stato secondo i sacri principi costituzionali che tutti concorrano fiscalmente al suo mantenimento, siffatte trattative, oltre che oltraggiare le collettività produttive e prive di ogni forza condizionante, potrebbero minare di incostituzionalità la Legge di Bilancio 2025. Ora, nella necessità di reperire risorse per il bene pubblico, lo Stato legifera autonomamente e non può cooperare con sottocategorie economiche se tassarle oppure no o come farle partecipare alla copertura del fabbisogno. Peggio ancora se tale concorso non comporta alcun trasferimento definitivo di ricchezza dalla sottocategoria all’erario ma solo anticipi di prelievi comunque dovuti. In pratica con il provvedimento varato lo Stato si indebita verso il Sistema Bancario con restituzione compensatoria negli anni successivi. E le risorse per restituire tale gravame vengono poi prelevate da altre categorie economiche con buona pace del rispetto del principio costituzionale che vuole con l’art. 53 che “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva.". In siffatta fattispecie, invece, il concorso alle spese pubbliche viene attivato in base alla “capacità di fare credito”. Capacità quest’ultima tipica delle imprese bancarie. Altro principio Costituzionale disatteso è l’Art. 2 che Stabilisce i doveri di solidarietà economica, politica e sociale, che possono essere interpretati anche in relazione alla contribuzione fiscale, in quanto pagare le tasse è un dovere di solidarietà nei confronti della collettività. Ma certamente il dovere fiscale non può essere assolto con quello creditizio: Ti presto denaro e poi me lo restituisci decurtandomelo dalle imposte che dovrò pagare. In Italia, il sistema fiscale è regolato da leggi e normative che determinano le modalità di assolvimento dei tributi. In linea generale, i doveri fiscali sono imposti dalla legge e si applicano uniformemente a tutti i cittadini e le imprese, senza che vi siano trattative individuali o di categoria con lo Stato per definire come adempiere agli obblighi fiscali.
Solo in determinati casi, si può permettere una certa flessibilità o dialogo tra lo Stato e specifiche categorie economiche o imprese:
1. Accordi preventivi (Advance Pricing Agreement, APA): In materia di imposte sui redditi, le grandi imprese o gruppi multinazionali possono stipulare con l'Agenzia delle Entrate accordi preventivi, principalmente per quanto riguarda la determinazione dei prezzi di trasferimento (transfer pricing). Questi accordi servono a evitare conflitti e contenziosi fiscali.
2. Ruling fiscale: Questo strumento consente a determinate categorie di contribuenti di ottenere, da parte dell'amministrazione finanziaria, chiarimenti anticipati su questioni fiscali specifiche che riguardano l'interpretazione delle normative tributarie.
3. Regimi agevolativi: Ci sono regimi fiscali agevolati, che vengono concessi a determinate categorie economiche o settori. Ad esempio, esistono regimi fiscali agevolati per start-up innovative, per i lavoratori autonomi con regime forfettario o per i settori agricoli. Anche se queste agevolazioni sono stabilite dalla legge, possono essere frutto di negoziazioni o pressioni da parte di gruppi di interesse o associazioni di categoria durante il processo legislativo.
4. Convenzioni con associazioni di categoria: In alcuni casi, lo Stato o le Regioni possono stipulare convenzioni o accordi con associazioni di categoria per gestire la riscossione di determinati tributi o la regolamentazione di specifiche situazioni fiscali (es. il settore artigiano o agricolo). Tali accordi non modificano l'obbligo fiscale, ma possono facilitare il processo di pagamento o ridurre la complessità amministrativa.
5. Concordato preventivo e concordato di massa: Questi strumenti possono riguardare la definizione agevolata di controversie o la sanatoria di situazioni irregolari, ma di solito non rappresentano una negoziazione sulle modalità di assolvimento del dovere fiscale per una categoria intera, bensì piuttosto su singole posizioni debitorie.
In generale, mentre ci possono essere forme di dialogo e cooperazione tra lo Stato e specifiche categorie economiche, i principi di capacità contributiva e uniformità del trattamento fiscale restano alla base del sistema tributario italiano. Pertanto, una categoria economica non può trattare liberamente con lo Stato l'assolvimento del proprio dovere fiscale, se non all'interno dei limiti e delle condizioni stabilite dalla legge. Soprattutto non può trattare di non pagare imposte ma di anticiparne il pagamento previa totale esenzione di quanto sarebbe dovuto. Non fosse altro quale ristoro alla collettività di quanto indebitamente prelevato con l’esercizio asimmetrico delle prerogative di mercato.