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Guerre, rivoluzioni, terrorismo. Guida a tutto quello che puoi fare con le criptovalute

  • di Federico Giuliani Federico Giuliani

10 maggio 2024

Guerre, rivoluzioni, terrorismo. Guida a tutto quello che puoi fare con le criptovalute
L'analista di crypto-intelligence Elham Makdoum, In uscita con il libro La geopolitica ai tempi delle criptovalute (Castelvecchi), spiega a MOW tutti i segreti delle monete virtuali. Usate dagli imperi come gli Usa. Usate e abusate dagli imperi concorrenti come la Cina. Strausate da paesi sotto sanzioni come L'Iran. Un mondo sommerso di cui sappiamo poco. Ma che conta moltissimo...

di Federico Giuliani Federico Giuliani

Quello delle criptovalute è un concetto inflazionato, sempre più presente nel dibattito pubblico mondiale, ma non sempre approfondito a dovere. Le cripto nascono negli anni Sessanta con l'intenzione di aggirare l'allora emergente spettro delle società poliziesche e sfuggire dall'ombra della sorveglianza (che presto avrebbe assunto i connotati di una sorveglianza di massa). Nel corso del tempo queste monete virtuali hanno iniziato a muoversi in un complesso sistema di pagamento, ma soprattutto hanno rivoluzionato gli affari internazionali assumendo un crescente valore geopolitico. Trasfigurando persino le guerre, come ha spiegato nel dettaglio a MOW l'analista di crypto-intelligence Elham Makdoum, in uscita a breve con un libro unico nel suo genere nel panorama italiano (e non solo): La geopolitica ai tempi delle criptovalute (Castelvecchi).

https://mowmag.com/?nl=1

Le criptovalute si sono perfettamente inserite negli arsenali delle guerre convenzionali

Partiamo dalle basi. Che cosa sono le criptovalute?

Per raccontare al meglio la natura delle criptovalute bisogna fare un salto negli anni Novanta, periodo in cui viene pubblicato il Manifesto dei Cypherpunk, i membri di un movimento secondo cui la graduale e inevitabile computerizzazione della società avrebbe esacerbato la sorveglianza di massa. I Cypherpunk ambivano a combattere la tendenza della "grandefratellizzazione" per mezzo della crittografia. Ed è proprio in questi ambienti che viene sviluppata la tecnologia blockchain, che è essenzialmente un registro pubblico e immutabile che permette di tracciare le proprietà e le transazioni in assetti digitali senza la necessità di un'autorità centrale. Le criptovalute sono valute digitali che grazie alla loro natura crittografata garantiscono transazioni sicure a chi le utilizza, non vengono emesse da banche centrali né sono supportate da governi, e operano su blockchain. In altri termini, le transazioni in crypto vengono registrate su una data blockchain o registro digitale.

Nel suo libro La geopolitica ai tempi delle cripto valute, di prossima uscita per Castelvecchi, assegna alle criptovalute una dimensione geopolitica. Qual è il loro potenziale?

Le criptovalute hanno smesso da tempo di essere il conio dei cypherpunk per diventare lo strumento prediletto di anti-stati e stati. Anti-stati come organizzazioni guerrigliere e terroristiche bisognose di aggirare le maglie strette della sorveglianza nel mondo reale. E stati alla ricerca di modi per evadere regimi sanzionatori e per fare (tanto) denaro in breve tempo. Le criptovalute, inoltre, si sono perfettamente inserite negli arsenali delle guerre convenzionali e non. La loro dimensione geopolitica è pertanto vasta – e in perenne espansione.

Può fare qualche esempio?

Posso citare alcuni esempi utili a far capire a chi ci legge la dimensione geopolitica delle criptovalute. Uno è sicuramente il progetto dei BRICS+ di creare una criptovaluta stabile rispetto al dollaro, un passo avanti verso il processo di dedollarizzazione che monitoro con attenzione. Un altro, che riguarda gli impieghi meno ortodossi delle criptovalute, è quello della Corea del Nord che con le cripto-rapine ha finanziato parte del suo programma nucleare. Si tratta di due esempi che ben dimostrano quale sia il potenziale delle criptovalute. Le decentralizzazione e l'autonomia completa delle criptovalute rispetto a enti governativi e a banche tradizionali sono realmente in grado di riscrivere le dinamiche finanziarie e geopolitiche globali.

Come fa un governo ad usare le criptovalute per espandere la propria influenza?

Penso che l'esempio migliore che io possa fare per spiegare come possa uno stato espandere la sua influenza attraverso le criptovalute sia rappresentato dalla bitcoinizzazione di El Salvador, dove, dal 2021, il Bitcoin è diventato ufficialmente una valuta di corso legale.

Fermiamoci su questo progetto e proviamo ad approfondirlo.

Il progetto salvadoregno è sicuramente interessante, pionieristico, ma pochi sanno che dietro di esso si cela la figura di Samson Mow. Mow è un noto imprenditore del settore crypto che con la sua realtà, JAN3, ha reso possibile la bitcoinizzazione del Paese centroamericano fornendo expertise e sostegno variegato. Al Congresso degli Stati Uniti non è sfuggita l'origine della mente e dell'esecutore della bitcoinizzazione del Salvador – Mow è cinese al 100% – e in un documento ha espresso forte preoccupazione per questo ménage a deux tra Bukele e la Cina. Ma non è tutto. La situazione diventa ancora più intrigante parlando di un progetto inserito nella campagna di bitcoinizzazione di Bukele: Bitcoin City. È una città di fondazione che, cartina alla mano, dovrebbe sorgere ai piedi del vulcano Conchagua, nel sudest di El Salvador, dietro la cui progettazione si cela lo zampino, ancora una volta, di Mow. Nella visione di Mow, la vita e le operazioni di mining a Bitcoin City verrebbero alimentate dall'energia geotermica, che da quelle parti è parecchia. Ma questo è uno specchietto per le allodole: il Dragone ha messo gli occhi sulla costa pacifica dell'El Salvador da anni, senza mai riuscire però a entrare nelle sue infrastrutture a causa degli alt americani. Se Bitcoin City andasse in porto la Cina avrebbe ufficialmente fatto l'allunaggio nelle Americhe, nell'estero vicino degli Stati Uniti, e grazie alle criptovalute. Osservando la situazione da questo punto di vista, le preoccupazioni del Congresso americano sono più che fondate.

Lei è stata l’unica a notare un aspetto curioso. Mentre l’Iran attaccava Israele il mercato criptovalutario veniva travolto da un terremoto speculativo. Nelle sue analisi ha parlato di 1,5 miliardi di dollari di posizioni leverage in bitcoin and co shortate, alludendo ad un possibile coinvolgimento di Teheran. Che cosa significa tutto questo, spiegato in termini più semplici?

Si è parlato all'unisono del crash del mercato criptovalutario come della conseguenza del lancio dei missili iraniani su Israele, ma oggi sappiamo, grazie a delle analisi on chain, che i movimenti speculativi contro il bitcoin erano cominciati prima che l'Iran attaccasse e che erano partiti da una crypto-exchange iraniana, Nobitex, in combutta con la HTX del cinese Justin Sun. La caratteristica di HTX? È una piazza di scambio che permette di scommettere sul ribasso del prezzo degli asset, in questo caso il bitcoin. Facendo qualche passo indietro, la sera del doppio crash – dei missili iraniani e delle criptovalute – avevo ipotizzato, dopo aver notato delle stranezze nel crollo poi corroborate da uno scambio di informazioni con delle fonti personali, che l'Iran potesse aver giocato un ruolo in quel moto speculativo allo scopo di rifarsi delle spese affrontate per attaccare Israele. Non sarebbe stato difficile, vista la quantità di bitcoin detenuti e il loro valore – settantamila dollari l'uno l'11 aprile. Per quanto riguarda la cifra illustrata in questa domanda: riguarda i dollari andati in fumo durante le fasi iniziali del crash, non il denaro raccolto dall'Iran dalle operazioni speculative. Sulla dimensione del bottino iraniano non abbiamo né dati certi né stime complessive, ma solo un'ipotesi alla quale una piccola analisi on chain ha dato ragione.

Ha definito l'Iran “uno dei sovrani del criptoverso” (tanto è vero che il 5% di tutti i bitcoin sarebbe annualmente minato a queste latitudini). Che utilità ha questa moneta parallela per Teheran?

L'Iran, come altri paesi sottoposti a regimi sanzionatori, utilizza le criptovalute per racimolare denaro in una vasta gamma di modi, alcuni legali – come il mining – e altri no – rapine e scammate. A un certo punto del 2021, secondo dati di Elliptic e del Cambridge Centre for Alternative Finance, l'Iran è arrivato a estrarre quasi il 5% di tutti i bitcoin minati globalmente. Un mucchio di soldi, considerato che all'epoca i miner venivano ricompensati con dodici bitcoin per ogni operazione conclusa. Questo ci porta direttamente a rispondere alla domanda: una criptovaluta come il bitcoin può essere utile semplicemente facendo presenza nel portafoglio, visto che il suo valore è aumentato esponenzialmente nel tempo, può essere venduta o ci si può speculare sopra in leva. In un futuro non troppo lontano, ritengo plausibile che potenze delle risorse naturali come l'Iran inizieranno ad accettare pagamenti in criptovalute, e non soltanto nelle emergenti CBDC, dai clienti interessati ad acquistare i loro ori energetici, dal gas al petrolio. È probabilmente questo il motivo per cui l'Iran e la Russia stanno parlando di sviluppare una stablecoin sperimentale nella zona economica speciale di Astrakhan', mentre negli ambienti BRICS+ si parla di una stablecoin collettiva con cui espellere il dollaro dai traffici commerciali e finanziari tra i membri del gruppo.

Le potenze delle crypto

Quali sono le principali “potenze delle crypto”?

Ti rispondo con una domanda: che cosa s'intende con potenza criptovalutaria? Se intendiamo il peso rivestito nell'estrazione globale di criptovalute, stando ai numeri aggiornati al 2023, la prima potenza sono gli Stati Uniti, che guidano la “classifica” col 35% di criptovalute minate annualmente. Segue il Kazakistan col 18%, che grazie al basso costo delle fonti energetiche domestiche è diventato un gigante del mining. Al terzo posto avremmo un attore geopoliticamente interessante, la Russia, con circa l'11%, che utilizza le criptovalute principalmente per scopi antisanzionatori. Andando un po' più in basso troveremmo l'Iran, che, stando alle cifre ufficiali, nel 2023 ha minato il 3,1% di tutte le criptovalute, e la Cina. Ma questa classifica, così come impostata, è difettosa.

In che senso?

Prendiamo il caso dell'Iran: quel 3,1% non tiene conto delle operazioni che il paese degli Ayatollah non effettua direttamente, perché svolte in mining farm clandestine, né tiene conto delle attività estrattive dei proxy dell'Asse della resistenza. La Cina è ancora più ombrosa: non abbiamo dati certi, completi e affidabili sulle sue attività di mining, che, similmente all'Iran, svolge sia clandestinamente sia all'estero.

Quindi?

Per concludere, reputo che la domanda per comprendere al meglio la dimensione geopolitica del criptoverso non abbia a che fare con “quanto”, bensì con “perché”. E ritengo necessario che si inizi a rivalutare le criptovalute, che in una molteplicità di contesti non occidentali non sono viste come un mero strumento di investimento, di speculazione o di guadagno “facile”, ma si dà loro una forte valenza ideologica che si presta a una militarizzazione sia nelle guerre convenzionali, come ci insegnano i casi della guerra russo-ucraina e della guerra semi-simmetrica in Terrasanta, sia nelle guerre non convenzionali, come ci illustra la guerra ibrida del fentanyl che vede i cinesi nel ruolo di fornitori di precursori degli oppioidi, i narcos messicani nelle vesti di fabbricatori del prodotto finale e di venditori al dettaglio nelle strade statunitensi, e le criptovalute come metodo di pagamento o di smaterializzazione del pagamento originale.

Ci sono Paesi occidentali che impiegano le criptovalute come strumento geopolitico?

Al momento, con la singola eccezione degli Stati Uniti, che comunque sono in contrattacco dopo anni di diffidenza e indifferenza e continuano a mostrare una forte divisione sul tema, nessun paese occidentale sta capitalizzando l'enorme potenziale geoeconomico e geopolitico delle criptovalute. Dobbiamo l'arretratezza occidentale sulla comprensione dei lati e dei risvolti politici delle criptovalute a una questione, che, come mi piace spesso dire, ha a che fare con l'erroneo framing cognitivo che abbiamo dato, che abbiamo voluto dare, al denaro crittografato. Nei Paesi occidentali le criptovalute non sono mai state viste di buon occhio: ieri erano il conio dei nerd, oggi sono tendenzialmente percepite come un qualcosa a metà fra la truffa e la bolla speculativa. Penso che sia dovuto in parte dovuto alla disinformazione, in parte ai tanti scam che sono stati compiuti negli anni da mandrie di malfattori – e che purtroppo continuano ad avere luogo – e in parte all'ignoranza che ruota attorno a questa forma di denaro digitale, le cui origini affondano nel Movimento cypherpunk e nella sua lotta contro la sorveglianza di massa e la "grandefratellizzazione" delle nostre vite.

E al di fuori dell'Occidente?

Altrove nel mondo, specie in Paesi sottoposti a embarghi e a regimi sanzionatori, le criptovalute sono state viste da subito come una manna dal cielo, una via di fuga da problemi che prima della loro comparsa erano ritenuti irrisolvibili. Non è una coincidenza che le principali potenze criptovalutarie siano la Corea del Nord, che coi cripto-reati finanzia i suoi programmi militari, la Russia, che è la padrona indiscussa dei darknet market illegali del web oscuro, l'ambigua Cina, che in apparenza banna e che in realtà mina, dalla Libia al Texas, e l'Iran, che è tra i principali minatori di bitcoin del pianeta e i cui proxy dell'Asse della resistenza tradano, speculano, investono, minano e possiedono persino delle crypto-exchange.

 

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