Ci sono tanti modi in cui un calciatore può guadagnarsi una squalifica, ma c’è probabilmente un solo posto al mondo in cui questo può succedere per aver abbracciato una persona che ha invaso il campo. Nei giorni scorsi, la Federcalcio iraniana ha comunicato una sospensione di un turno più una multa per Hossein Hosseini, 31enne portiere dell’Esteghlal di Teheran, che durante una partita del 12 aprile aveva abbracciato una ragazza che era entrata in campo correndogli incontro. Le immagini, circolate successivamente sui social, non possono non destare preoccupazione: Hosseini è stato circondato da agenti della sicurezza, che lo hanno separato dalla ragazza con la forza, trascinandolo fuori dal campo. Non sappiamo se dovrà anche affrontare un processo penale: in Iran, i contatti fisici tra un uomo e una donna che non appartiene alla sua cerchia famigliare sono severamente vietati. Così come non sappiamo cosa accadrà alla ragazza, che mentre correva in campo ha visto l’hijab scivolarle via dal capo: anche questo è un crimine, in Iran, come ha tragicamente insegnato il caso di Mahsa Amini, nel settembre 2022.
In quell’occasione, molti calciatori iraniani presero espressamente posizione contro il regime e la violazione dei diritti delle donne. Zobeir Niknafs, centrocampista dell'Esteghlal, mise online un video mentre si rasava i capelli, un gesto di protesta divenuto popolare in quei giorni, dopo che Amini era stata uccisa dalla polizia proprio perché dei capelli le spuntavano da sotto il velo. Tutte le principali leggende del calcio locale, lo sport più amato e seguito in Iran, avevano commemorato la morte della ragazza, da Ali Daei a Mehdi Mahdavikia, e lo stesso avevano fatto i campioni in attività in questi anni, compresi Mehdi Taremi, centravanti del Porto che nella prossima stagioni giocherà con l’Inter, e Sardar Azmoun, attaccante quest’anno alla Roma. La protesta era proseguita ai Mondiali in Qatar, dove i giocatori della nazionale si erano rifiutati di cantare l’inno nazionale prima delle partite. Un altro calciatore professionista della massima divisione, Amir Nasr-Azadani, è stato arrestato e condannato a 26 anni di prigione nel gennaio 2023, per aver partecipato alle proteste contro la morte di Amini.
Tutto passa dal calcio, in Iran. In questi anni è diventato il principale campo di battaglia per i diritti civili delle donne: il libero accesso allo stadio è la punta dell’iceberg delle lotte femministe iraniane. Nel 2006, il film di Jafar Panahi Offside - che racconta di un gruppo di tifose che si mascherano da uomini per entrare allo stadio Azadi di Teheran durante una partita della nazionale maschile - ha avuto un successo tale da spingere sempre più tifose a sfidare i divieti degli ayatollah. Non senza conseguenze drammatiche: nel 2019 Sahar Khodayari, una giovane tifosa dell’Esteghlal arrestata per essere entrata clandestinamente in uno stadio e che rischiava sei mesi di prigione, si è tolta la vita dandosi fuoco. Le proteste seguite alla sua morte e le pressioni della Fifa hanno spinto il governo iraniano a concedere le prime aperture per l’accesso delle donne alle partite. Sempre a condizioni molto restrittive: pochi posti, settori recintati e per sole donne, e solo per partite della nazionale, che hanno la maggiore visibilità internazionale. Solo nel settembre 2022 è stato permesso a un gruppo di appena 500 tifose di assistere a una partita del campionato. Nel derby di Teheran tra Esteghlal e Persepoli, questo traguardo è stato tagliato solamente in questa stagione, ma lontano dalla capitale la situazione è rimasta fondamentalmente immutata, come segnala spesso sui social Open Stadiums, un’associazione femminista iraniana impegnata proprio sulla battaglia per l’accesso agli stadi.
L’episodio di Hosseini segna un altro punto critico della repressione dei diritti delle donne in Iran. La Federcalcio ha deciso adesso di vietare nuovamente l’ingresso delle tifose allo stadio di Arak, dove è avvenuto il fatto del 12 aprile, e la stessa cosa avverrà in quello di Tabriz. Un modo per evitare altre invasioni di campo e quindi il rischio che altre partite di calcio diventino occasione di contestazione politica verso il governo. Mentre le forze dell’ordine separavano Hosseini dalla tifosa, il pubblico aveva iniziato a inveire rabbiosamente verso la polizia, prendendo le difese del giocatore e della giovane donna. Lo sport più amato del Paese continua dunque a essere una fucina di dissenso contro le violazioni dei diritti umani.