Una semplice azienda privata nata dal nulla, sulle fondamenta del miracolo economico cinese, o un’appendice dell’esercito di Pechino? Tanti si interrogano sulla vera identità di Huawei Technologies, pochi sanno rispondere con esattezza. Gli Stati Uniti hanno più volte accusato il colosso di Shenzhen di essere un cavallo di Troia usato dalla Cina per spiare Washington e, più in generale, i Paesi di tutto mondo. In poche parole: Huawei è considerata dalla Casa Bianca una pedina al servizio del sistema militare guidato dallo Stato cinese. RenZhengfei, fondatore della società, ha più volte ribadito l’indipendenza della sua creatura e ha respinto simili ricostruzioni, pur senza mai convincere l’intelligence statunitense. Secondo il portale Bloomberg, ad esempio, Huawei avrebbe collaborato – e continuerebbe a collaborare – con l’Esercito Popolare di Liberazione cinese, tanto che negli ultimi dieci anni l’azienda si sarebbe resa responsabile della realizzazione di almeno dieci progetti di ricerca a stretto contatto con il personale delle forze armate nazionali. I temi citati nel dossier sono scottanti perché riguardano i settori economici che la Cina sta utilizzando per diventare la principale potenza del mondo – intelligenza artificiale, geolocalizzazione satellitare e altro ancora – mentre i soggetti coinvolti nelle pratiche comprenderebbero la Commissione Militare Centrale e la National University of Defense Technology (l’accademia militare dell’esercito cinese), che avrebbero operato con la società di Shenzhen per estrarre e classificare una raccolta di immagini satellitari e coordinate geografiche. Il portavoce di Huawei, Glenn Schloss, ha respinto in toto la ricostruzione americana. “Huawei”, ha specificato Schloss, “non è a conoscenza del fatto che i suoi dipendenti pubblichino documenti di ricerca a titolo personale. Inoltre, Huawei non ha alcuna collaborazione o partnership con le istituzioni affiliate all’esercito. L’azienda sviluppa e produce solo prodotti di comunicazione conformi agli standard civili in tutto il mondo e non personalizza i prodotti di ricerca e sviluppo per i militari”.
Passando in rassegna l’infinita mole di inchieste, approfondimenti e ricerche sul caso, vale la pena citare un controverso documento del 2019. Si intitola Huawei Technologies’ Links to Chinese State Security Services ed è firmato da Christopher Balding, professore della Fullbright University Vietnam. L’accademico, dopo aver esaminato i curricula di migliaia di dipendenti Huawei, sostiene di aver scoperto una solida relazione tra Pechino e la società di Shenzhen. Con la collaborazione del think tank londinese Henry Jackson Society, Balding ha analizzato gran parte del materiale notando “una relazione profonda e duratura tra Huawei, i suoi dipendenti e lo Stato cinese”, e arrivando alla conclusione che all’interno dell’azienda ci sarebbe “personale tecnico di medio livello” legato a “specifici casi di hacking o spionaggio industriale condotti contro imprese occidentali”. Il documento cita un caso di un ingegnere informatico assunto nel reparto controllo qualità delle reti – tale Li Jingguo – che sarebbe anche un ricercatore della National University of Defense Technology. Questo, ha sottolineato Balding, non dà la certezza che l’ingegnere abbia intrecciato le due attività. Ma indica come il soggetto in questione sia, almeno in teoria, tecnicamente e materialmente capace di fare da anello di collegamento tra l’intelligence e i dati dei clienti Huawei. Certo, il fondatore della compagnia, il citato RenZhengfei, ha lavorato per l’esercito tra gli anni Settanta e Ottanta, ma gli altri elementi presi in considerazione da Balding mancano di concretezza. La società, confermando che “la sicurezza informatica è di primaria importanza”, ha risposto alludendo al fatto che un passato militare non è un impedimento all’assunzione, a patto che “il candidato fornisca documentazione che provi come il rapporto di lavoro con l’esercito o il governo sia terminato”. E ancora: “Accogliamo positivamente relazioni sulla trasparenza di Huawei che siano professionali e basate sui fatti. Ci auguriamo che ulteriori ricerche conterranno meno congetture, in modo da evitare speculazioni su ciò che il professor Balding ‘crede’, ‘deduce’ e ‘non può escludere’”. Le inchieste fin qui pubblicate, insomma, non hanno mai dimostrato un chiaro legame tra Huawei e l’esercito cinese ma, semmai, che esisterebbe un’area di sovrapposizione, sfumata e dai contorni poco chiari, tra una parte del personale dell’azienda e le forze armate cinesi. Dal canto suo Huawei ha più volte sottolineato come non abbia mai rivelato informazioni sensibili al governo, né le istituzioni le abbiano in nessun caso fatto richiesta di dati appartenenti ai clienti. Nel frattempo, in Cina c’è chi ha ribaltato la questione facendo notare alla stampa internazionale che anche negli Stati Uniti esistono, per alcune aziende, molte fonti di finanziamento diverse, comprese quello militare. Propagande incrociate che, nel bel mezzo della nuova guerra fredda sino-americana, contribuiscono ad avvelenare il clima tra le due potenze. In un contesto del genere, Huawei continua a consolidare la propria posizione al di fuori dell’Occidente. Tra i vari traguardi raggiunti, il colosso di Shenzhen è diventato inoltre il principale fornitore di servizi di telecomunicazioni 4G nell’intera Africa, avendo costruito oltre il 70% della rete del continente.