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“Chico Forti in Italia? Giorgia Meloni ha fatto un miracolo”: parla Rita Cavallaro, autrice del libro Senza Prove con i documenti esclusivi del processo in America

  • di Giulia Sorrentino Giulia Sorrentino

9 marzo 2024

“Chico Forti in Italia? Giorgia Meloni ha fatto un miracolo”: parla Rita Cavallaro, autrice del libro Senza Prove con i documenti esclusivi del processo in America
Il caso del rientro in Italia di Chico Forti ha diviso sia la politica che la popolazione, da sempre caratterizzata da innocentisti e colpevolisti. Abbiamo chiesto alla giornalista de Il Tempo Rita Cavallaro, esperta del caso, quali siano gli elementi probatori che giocano a favore di Chico. “Io colpevolista? Chi lo dice non ha letto il mio libro”. E sulla difesa di Chico: “Hanno sottovalutato molti aspetti”. E la giuria come si è comportata? Di chi era veramente la pistola calibro 22, mai ritrovata, ritenuta l’arma del delitto? E su Giorgia Meloni: “Altro che Di Maio…”

di Giulia Sorrentino Giulia Sorrentino

La giornalista de Il Tempo Rita Cavallaro ha scritto un libro unico sul caso di Chico Forti. Ha impiegato due anni della sua vita per leggere, tradurre e rendere comprensibili oltre quindicimila pagine di atti processuali. Il titolo è Senza Prove, con la prefazione di Roberta Bruzzone, che a MOW ha dato la sua versione su questo caso. “Sono dei documenti in esclusiva”, ci dice la Cavallaro, che spiega quali sia stato l’errore più grave del processo, ovvero il fatto chela giudice Victoria Platzer abbia concesso “all'accusa di introdurre ai giurati come movente dell'omicidio la truffa che Chico voleva fare a Tony Pike per l'acquisto dell'albergo. Ma quella era una cosa che la giudice non poteva fare, perché Chico era già stato precedentemente accusato di una truffa proprio ai danni di Tony Pike, ma le indagini avevano portato al proscioglimento dell'accusa”. E come mai non è stato reso nullo il processo per questo? “La difesa avrebbe dovuto spingere su questo, ma ha sottovalutato molti aspetti”. E la pistola calibro 22 era di Chico Forti? “Chico ha pagato una calibro 22, ma era a nome di Thomas Knott che, il giorno dell'acquisto, non aveva i soldi e ha chiesto un prestito a Chico. Per cui lui la pistola non era sua”. Poi ci spiega per filo e per segno chi era Tony Pike e tutto quello che non torna tra le prove presentate dall’accusa. 

Rita Cavallaro Giornalista de Il Tempo
Rita Cavallaro Giornalista de Il Tempo

Rita Cavallaro, hai scritto un libro sulla vicenda di Chico Forti. Perché? L'obiettivo era che tutti si potessero fare un'idea su questo caso?

Esattamente. Quando Luigi Di Maio aveva annunciato che Chico sarebbe rientrato, ho deciso di occuparmi in modo più approfondito del caso. Le uniche notizie venivano dalla famiglia di Chico e da lui, che ovviamente sostenevano una tesi innocentista, o dalla parte opposta che ne sosteneva la colpevolezza. A quel punto ho capito che bisognava mettere le mani sulle carte del processo.

Davanti a che cosa ti sei trovata?

Erano quindicimila pagine che abbiamo tradotto in modo fedele e ho scelto i passi importanti di diciotto giorni di processo, inserendo le parti clou di ogni testimone che è andato a deporre al processo, sia dell'accusa che della difesa. L'obiettivo era quello di fornire a chiunque i documenti originali, in modo che ci si potesse fare una propria idea sulla base di documenti reali e non sulla base di chiacchiere.

È la prima volta che quei documenti sono emersi.

Sì, sono dei documenti in esclusiva. Ho voluto porre ogni lettore nel ruolo di giurato, in modo tale da poter assistere all'intero processo, rendendosi conto delle prove portato alla condanna o di chiedersi se ci fossero delle stranezze o un'assenza di materiale probatorio.

Se questo però venisse fatto per ogni processo non sarebbe un po’ pericoloso?

Certo. Ma dobbiamo partire da un presupposto: è ovvio che ci siano delle problematiche all'interno di questo processo. Ma il processo americano è un po’ un gioco delle parti tra accusa e difesa, in cui ognuno espone la propria tesi e c'è poi una giuria che decide quale delle due versioni è quella che pesa di più. È normale che se noi prendessimo tutti i processi che si sono svolti, troveremmo in ognuno degli elementi su cui discutere. Ma la famiglia di Chico e lui stesso si sono resi conto che continuare sulla linea dell'innocenza di Chico diventava un po’ controproducente, perché era proprio l'elemento che continuava a infastidire quel sistema di giustizia, quello degli Stati Uniti, che si vanta di avere proprio delle caratteristiche di libertà ed equità. Per cui, lo stesso Chico, anche perché aveva esaurito qualunque appello, aveva deciso di accedere alla convenzione di Strasburgo, che implica che ci si debba dichiarare colpevoli.

Tu che idea si è fatta? Sei vista come una colpevolista del caso di Chico Forti.

Io penso di essere vista come una colpevolista da quelli che non hanno letto neanche una pagina del mio libro, perché inizia con una prefazione di Roberta Bruzzone, che non credo avrebbe mai fatto una prefazione a un libro colpevolista. Poi c'è l'incipit di Gianni Forti, che definisce il mio come un lavoro enorme, per cui non credo che nemmeno la famiglia avrebbe mai messo anche solo una riga su un libro colpevolista. Io per tutti i primi capitoli sviluppo le cose che non erano state chiarite sul caso di Chico Forti, perché ci sono tanti elementi che l'accusa ha sbagliato. Nel mio libro non c'è neanche un rigo in cui dico che lui è colpevole, anzi.

La Bruzzone in un'intervista a MOW, ha contestato l'avvocato Tacopina, perché secondo lei c'erano tutti gli elementi per cercare di riaprire il caso, facendo in modo che Chico Forti tornasse in Italia da uomo libero. Strategia che a quanto pare non è stata perseguita da questo avvocato. Tu che Cosa ne pensi?

Si poteva fare e la Bruzzone ha assolutamente ragione. Tacopina però ha scelto una linea differente, che era quella della speranza di un trasferimento di Chico. Se fosse stata scelta un altro tipo di linea, ovvero la riapertura del processo, a quel punto, qualora gli Stati Uniti lo avessero riaperto e fosse arrivata la condanna, allora Chico non avrebbe avuto più alcuna possibilità, nemmeno quella di accedere alla convenzione di Strasburgo. Ma capisco che la scelta di Tacopina, per chi crede che Chico sia innocente, dispiace, perché si poteva tentare di dimostrare fino all'ultimo che lui era innocente. Ma sono sicura che Tacopina ha scelto in accordo con Chico Forti, barattando l'onore nella speranza di tornare e poter almeno abbracciare la propria madre. Credo che la linea sia stata scelta per questo motivo. Per cui ha ragione la Bruzzone, ma è una linea difensiva che è stata scelta nel momento in cui lui è subentrato.

Avendo tu analizzato tutto il processo, qual è la più grande anomalia contro Chico Forti che hai potuto riscontrare?

La prima in assoluto è che la giudice Victoria Platzer concede all'accusa di introdurre ai giurati il movente dell'omicidio, come la truffa che Chico voleva fare a Tony Pike per l'acquisto di questo albergo. Ma quella era una cosa che la giudice non poteva fare.

Perché?

Chico Forti nei due anni precedenti, dal 1998 fino al 2000, anno in cui poi è stato istruito il processo, era già stato precedentemente accusato di una truffa proprio ai danni di Tony Pike, ma le indagini avevano portato al proscioglimento dell'accusa. Allora la giudice, che è la stessa che lo aveva prosciolto precedentemente, ha permesso di introdurre come movente dell'omicidio la truffa a Tony Pike, cosa che avrebbe dovuto rendere immediatamente nullo il processo e la difesa avrebbe dovuto spingere su questo.

Spieghiamo un attimo per chi non lo sa chi è Tony Pike.

È un albergatore che a quei tempi era molto famoso. Era il proprietario del Pikes hotel, hotel del jet set mondiale, che negli anni 80, al di là dell'immagine, aveva un gran valore economico. Tony Pike era anche amico di un personaggio che casualmente abitava proprio nel palazzo di Chico Forti, a Williams Island, dove Chico aveva un appartamento ed è lì che conosce questa persona che si chiama Thomas Knott, un criminale truffatore, che era già stato in galera in Germania. Dopo essere uscito dal carcere, Thomas era in libertà vigilata e, durante questo periodo, grazie all'aiuto di Tony Pike, che gli fornisce un passaporto falso, scappa ed entra illegalmente negli Stati Uniti.

Come si conoscevano Thomas Knott e Tony Pike?

Perché Thomas frequentava il Pikes hotel di Ibiza. Quindi, Thomas Knott, che in quel momento era sotto mentite spoglie perché nessuno sapeva che fosse un criminale, fa amicizia con Chico e gli presenta Tony Pike, dicendogli che c'era questo albergo molto importante, che era un affare e che l'avrebbe potuto comprare a un valore inferiore rispetto al prezzo di mercato. Da lì nasce tutto. Ma in realtà, la compravendita dell'hotel era una truffa ardita da Thomas Knott e Tony Pike ai danni di Chico.

Perché?

Tony Pike non aveva più la proprietà di quell'hotel, che era stato ceduto a un trust, per cui lui non avrebbe potuto venderlo.

Mi stai dicendo che Chico da colpevole era vittima.

Esattamente. Perché quello che emerge realmente dai dati è che Chico era la vittima di questa compravendita, anche se l'accusa lo fa passare da carnefice.

E in che modo?

Perché l'accusa dice che Tony Pike era malato di demenza da aids e che quindi era manipolabile. Sempre secondo l'accusa, Chico avrebbe voluto sottrargli l'hotel per poche centinaia di migliaia di dollari rispetto al reale valore di circa quattro milioni.

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Secondo te qual è stato il più grande errore della difesa di Chico?

Non spingere più di tanto sulla questione del movente, ovvero sul fatto che non potesse essere introdotta alla giuria la motivazione della truffa quale movente del delitto. La difesa avrebbe dovuto puntare anche sul fatto che la calibro 22, che sarebbe l'arma del delitto, non è stata mai trovata.

Ma quella calibro 22 apparteneva a Chico?

Sì, ha pagato una calibro 22, ma era a nome di Thomas Knott che, il giorno dell'acquisto, non aveva i soldi e ha chiesto un prestito a Chico. Per cui lui ha pagato una pistola che in realtà era di Thomas Knott. Inoltre, la pistola non è mai stata trovata. Loro collegano Chico all'omicidio attraverso una calibro 22 che non è stata mai trovata. Quando fanno una perquisizione a casa di Chico, trovano una pistola, ma una calibro 38 regolarmente detenuta, che non aveva nulla a che fare con l'omicidio in quanto il calibro era completamente diverso. Siamo davanti a un processo in cui non abbiamo l'arma del delitto, il movente non poteva essere contestato a Chico perché da quell'accusa era già prosciolto. Per cui cadono due dei tre pilastri di un processo: arma del delitto, movente e corpo.

E sul corpo cosa possiamo dire?

Il corpo c'è, ma sulla scena del crimine non c'erano tracce di DNA collegabili a Chico Forti, non c'è il suo DNA in nessuno dei possibili punti che possono collegarlo a Dave Pike.

Poi ci sarebbe la questione della sabbia.

Anche lì bisognerebbe vedere come è stata ritrovata quella sabbia. Quella è l'unica prova “scientifica” che collega Chico Forti a quella spiaggia. Ma ci sono problemi su come quella sabbia sia stata ritrovata.

Cioè?

L'avrebbe ritrovata un detective che fa questo sopralluogo l’ultimo, smontando la macchina per l'ennesima volta, insieme a un suo amico assicuratore, che non c'entrava nulla con le indagini e non fotografa nemmeno il momento in cui la sabbia e stata trovata. Per cui già ci sono dei problemi su come viene certificato il ritrovamento, poi c'è uno studio che viene fatto dall’uomo della sabbia del momento, il dr Harold Wanless, che analizza la sabbia.

E cosa scopre?
Dice che quella sabbia, trovata peraltro in una quantità che si può paragonare forse a un cucchiaino da caffè, è compatibile con quella della spiaggia in cui è stato ritrovato il corpo Dave Pike. Ma negli anni Settanta c'è stato un enorme intervento a Miami di riporto di sabbia da spiaggia a spiaggia. Per cui, in realtà, la sabbia di tutte le spiagge di Miami può essere compatibile.

Questo lo ha detto anche la Bruzzone.

Certo e ha ragione. Ci sono tanti problemi e credo che la difesa di Chico abbia sottovalutato alcuni aspetti su cui avrebbe potuto puntare anche in un successivo appello.

Ma se tutto quello che mi stai dicendo è vero come è vero, allora che cos'è che è incastrato Chico a tal punto da fargli ottenere l'ergastolo?

Sei in America menti una volta sei già colpevole. Il problema di Chico nasce dal fatto che lui, quando ha parlato con la polizia la prima volta, ha detto di non aver visto Dave Pike. Ha detto di essere andato a prenderlo all'aeroporto, ma che Dave Pike non era arrivato. Quel giorno Chico chiama anche la moglie e le dice la stessa cosa. Quella bugia, del cui errore lui stesso si rende conto, tanto che il giorno dopo torna a lui dai poliziotti per rinegoziare quello che aveva detto, ha fatto sì che tutto quello che lui dicesse dopo non avesse lo stesso peso. Se lui avesse detto fin dall'inizio la verità sarebbe stato diverso. Da lì nasce tutto il sospetto che ha contraddistinto i diciotto giorni di processo.

E i giurati?

Una delle giurate, Veronica, che all'epoca aveva solo diciott'anni, ha detto negli ultimi anni che lei in realtà non era convinta di voler condannare Chico, ma che ha ricevuto pressioni dagli altri giurati. Lei che avesse dei dubbi lo ha ammesso, tanto che non voleva che venisse emesso quel verdetto di colpevolezza, ma se i giurati non fossero stati tutti d'accordo, avrebbero dovuto continuare con le consultazioni o il processo sarebbe stato dichiarato nullo. Ma, alla fine Chico Forti viene condannato con una consultazione della giuria che dura meno di quattro ore. È chiaro che i giurati hanno erano stanchi e che volevano chiudere la questione, hanno seguito il processo anche in modo svogliato, tanto che c'era chi mangiava patatine e chi beveva la Coca Cola. Questo è stato il processo di Chico Forti.

Cosa rispondi a chi dice che il merito del ritorno in Italia di Chico è di Di Maio?

Questa è una vittoria esclusivamente di Giorgia Meloni. Tutti i governi degli ultimi anni hanno tentato di portare avanti questa trattativa, tutti i ministri degli esteri hanno provato a portare avanti rapporti diplomatici per trovare un accordo che però non è stato mai possibile. Quello che forse gli altri non sanno è che la Meloni, già prima di diventare premier, si era occupata del caso di

Chico ed era in contratto stretto con Gianni Forti, lo zio. Lei aveva dato la sua parola che avrebbe fatto di tutto e di più per ottenere questo trasferimento In Italia.

Quindi la Meloni ha lavorato in sordina?

Lei non ci ha marciato sopra perché non lavora così. Ha sempre detto “noi siamo quelli del fare”, perché prima fanno e poi dicono. Non è mica come Di Maio che prima ha detto e poi non ha concluso niente. Questa è una politica differente, un modo di porsi più serio su determinate questioni.

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