Un recente studio condotto da un team di docenti dell’Università La Sapienza di Roma, guidato da Riccardo Gallo, offre un quadro preoccupante sulla dinamica dei redditi nell’industria italiana. L’analisi, basata sui dati del centro studi di Mediobanca - e riportata oggi dal Fatto quotidiano a firma di Mauro Del Corno -, mette in luce profonde disuguaglianze nella distribuzione della ricchezza generata dalle imprese italiane di medie e grandi dimensioni. Dal 2019 al 2023, il fatturato delle aziende considerate è cresciuto del 34%, mentre il valore aggiunto è aumentato del 33%. Tuttavia, la quota destinata ai redditi da lavoro è scesa del 12%, mentre la remunerazione degli azionisti è aumentata del 14%. Gli azionisti hanno prelevato l’80% degli utili come dividendi, lasciando solo il 20% per nuovi investimenti. La scarsità di investimenti produttivi è un tema centrale. Solo il 40% delle risorse è stato destinato a materiali per le fabbriche, mentre il restante 60% è finito in acquisizioni finanziarie. L’età media delle immobilizzazioni è rimasta stabile a 19 anni, segno di investimenti limitati al puro mantenimento.
L’insufficienza di investimenti compromette la produttività del lavoro, che potrebbe crescere attraverso migliori tecnologie e processi organizzativi. Tuttavia, l’industria italiana continua a investire poco, perpetuando una situazione di stallo. A peggiorare il quadro è il mancato rinnovo di molti contratti collettivi di lavoro. Tra i dipendenti di aziende aderenti a Confindustria, il 53% ha un contratto scaduto da meno di un anno, il 10% da oltre due anni e il 13% ne avrà uno scaduto nei prossimi mesi. Questo ritardo implica una perdita significativa di potere d’acquisto per i lavoratori. Lo studio individua anche una crescente disaffezione imprenditoriale. Gli imprenditori sembrano preferire il prelievo immediato degli utili piuttosto che reinvestirli nelle proprie aziende. Il basso livello di indebitamento registrato non deriva dalla scarsità di credito, ma da una limitata propensione al rischio. Secondo Gallo, l’incertezza economica e la perdita di competitività dell’Italia alimentano un circolo vizioso: meno investimenti significano minore competitività, che a sua volta riduce l’attrattività del sistema industriale. Come sottolineato anche dallo storico Sergio Bologna su Il Manifesto, una maggiore attenzione alla redistribuzione della ricchezza è cruciale per rafforzare le rivendicazioni sindacali e garantire una crescita economica più equilibrata.
Alla luce dello studio sulla distribuzione della ricchezza nell’industria italiana condotto dall’Università La Sapienza di Roma, emergono importanti spunti per valutare Stellantis, uno dei principali gruppi automotive. Nonostante la crescita dei ricavi e degli utili, gran parte della ricchezza generata sembra essere stata destinata alla remunerazione degli azionisti tramite consistenti dividendi, limitando gli investimenti produttivi. Gli annunci di progetti legati all’elettrificazione e alla sostenibilità pongono interrogativi sulla reale entità degli investimenti in ammodernamento degli impianti. L'azienda deve bilanciare la gestione dei costi con l'esigenza di innovare per evitare che la produttività ristagni, specialmente in un contesto europeo sempre più competitivo. Un altro nodo cruciale riguarda le relazioni industriali. Molti lavoratori operano con contratti scaduti o in attesa di rinnovo, esponendosi al rischio di erosione del potere d’acquisto. Per mantenere una posizione competitiva, Stellantis dovrà rafforzare il dialogo sindacale e incrementare gli investimenti tecnologici. Solo così potrà contrastare la “disaffezione imprenditoriale” evidenziata nello studio e assicurare una crescita sostenibile nel lungo termine.