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“Irrituale ingerenza italiana”: IL RUGGITO DEL VATICANO ALLA SBARRA, che alla prima udienza del “processo Becciu” cita come teste il sottosegretario Mantovano (uomo ombra di Giorgia Meloni)

  • di Emanuele Pieroni Emanuele Pieroni

  • Foto: Ansa

10 luglio 2025

“Irrituale ingerenza italiana”: IL RUGGITO DEL VATICANO ALLA SBARRA, che alla prima udienza del “processo Becciu” cita come teste il sottosegretario Mantovano (uomo ombra di Giorgia Meloni)
Il sottosegretario Alfredo Mantovano, "grande giurista, grande cattolico" come lo definì Giorgia Meloni, è stato citato come teste alla prima udienza del processo sui fondi dell'8Xmille che vede alla sbarra il fratello del Cardinale Becciu e pezzi grossi della Chiesa sarda. Sì, è tutto vero: lo scopo sarebbe dimostrare alla giustizia italiana che lo Stato, nel caso specifico la Guardia di Finanza, non può mettere il naso sugli affari del Vaticano

Foto: Ansa

di Emanuele Pieroni Emanuele Pieroni

Un conto è essere condizionanti, un altro è essere condizionati. Nel primo caso è quasi un talento di cui andare fieri, nell’altro caso è, invece, inaccettabile ingerenza. È il messaggio che la Chiesa sta inviando allo Stato Italiano? Probabilmente sì e direttamente dall’aula di un tribunale. Quello di Sassari, per la precisione, che adesso rischia di trasformarsi nell’epicentro di un terremoto giudiziario che scuote i delicati equilibri tra Stato italiano e Santa Sede, mentre si apre un processo che mette sotto accusa la gestione dei fondi dell’8xmille e getta luce sulle ombre delle relazioni bilaterali. Al centro, l’udienza inaugurale del procedimento contro nove imputati – tra cui Tonino Becciu, fratello del cardinale Angelo Becciu già condannato in Vaticano, e il vescovo di Ozieri Corrado Melis – accusati di aver deviato oltre 2 milioni di euro destinati alla diocesi sarda. La difesa, guidata dagli avvocati Ivano Iai e Antonello Patanè, reagisce con un colpo di scena che è clamoroso davvero: chiama a testimoniare l’attuale sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, uomo-chiave di Giorgia Meloni (e anche il giurista vaticano Raffaele Coppola). Una mossa che non è solo strategia processuale, ma un vero (paradossale e preoccupante) ruggito di protesta contro quella che il Vaticano considera “un’irrituale ingerenza" italiana nella gestione dei fondi ecclesiastici, violando il Concordato e l’articolo 7 della Costituzione.

Il sottosegretario Alfredo Mantovano
Il sottosegretario Alfredo Mantovano

Gli imputati sfilano in un cast giudiziario dai contorni intricati e rigorosamente di nero vestiti: Tonino Becciu, il vescovo Corrado Melis, don Mario Curzu (direttore Caritas diocesana), don Francesco Ledda (economo diocesano), Giovanna Pani e Maria Luisa Zambrano, chiamati a rispondere di peculato e riciclaggio; don Roberto Arcadu, Franco Demontis e Luca Saba accusati invece di false dichiarazioni al pm e favoreggiamento. L’inchiesta, condotta dalla Guardia di Finanza su delega della Procura di Sassari (gli ufficiali che se ne erano occupati lavorano già altrove a seguito di trasferimenti), parte da un filo rosso che si dipana fino allo scandalo londinese del cardinale Becciu. Tra il 2013 e il 2016, fondi dell’8xmille e 100mila euro provenienti dalla Segreteria di Stato vaticana sarebbero finiti nella cooperativa Spes, presieduta da Tonino Becciu, per poi essere utilizzati a scopi privati. Le perquisizioni del febbraio 2022 a Ozieri, Pattada, Bono e Roma hanno portato alla luce un sistema di deviazioni che lega la diocesi sarda alla rete del cardinale, già condannato a 5 anni e 6 mesi dal tribunale vaticano nel dicembre 2023 per lo scandalo del palazzo acquistato a Londra.

Il cardinale Angelo Becciu
Il cardinale Angelo Becciu

Proprio qui si innesta la sfida legale della difesa, che contesta la legittimità stessa dell’azione italiana. Secondo gli avvocati Iai e Patanè, il controllo sui fondi dell’8xmille spetta esclusivamente alla Cei, in base ai Patti Lateranensi, e ogni intervento esterno costituisce una violazione della sovranità vaticana. Sì, è tutto vero e questa è è esattamente la tesi difensiva che si porterà avanti. La citazione di Mantovano e Coppola non è casuale: il primo, plenipotenziario di Meloni con profondi legami nella Santa Sede; il secondo, ex procuratore generale della Corte d’Appello vaticana, oggi avvocato della Curia romana. Due testimoni d’eccezione per certificare la natura "extraterritoriale" della controversia. Il tribunale di Sassari, presieduto da Giancosimo Mura, frena sull’immediata ammissione dei testi, chiedendo una riduzione delle liste (originariamente quasi 100 nomi) e rinviando al 17 settembre l’ascolto dei primi tre testimoni: proprio i militari della Guardia di Finanza che hanno condotto le indagini. Non è uno scontro istituzionale, ma è impossibile non parlare di provocazione, visto che la figura di Alfredo Mantovano, sessantacinquenne leccese, laureato in giurisprudenza a Roma e da sempre vicinissimo agli ambienti vaticani, è considerato uno degli uomini ombra di Giorgia Meloni. La premier stessa l’aveva presentato al Papa come "grande giurista, grande cattolico". Con anche una vecchia delega ai Servizi segreti. Ex vicepresidente del Centro Studi Livatino e presidente della fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre, Mantovano è ricordato anche per una vecchia frase: “l’atteggiamento del cristiano è ‘viva il Papa, chiunque sia’". E anche qualunque cosa facciano i suoi ministri? È la domanda a latere a cui sembra destinato a rispondere un processo che ora diventa grimaldello di un chiarimento diplomatico. Da un lato, lo Stato italiano che attraverso la Guardia di Finanza rivendica il diritto di indagare su fondi pubblici (l’8xmille); dall’altro, la Santa Sede che brandisce il Concordato come scudo contro un’ingerenza "irrituale". Così, mentre la procura di Gianni Caria prepara i primi tre testimoni in uniforme, la difesa agita lo spettro di uno scontro istituzionale. In gioco c’è la definizione di un confine sfumato da ridefinire. Il dubbio, semmai, è sui nomi scelti.

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