“Io vorrei, e questo sia l'ultimo ed il più ardente dei miei desideri, io vorrei che l’ultimo dei re fosse strangolato con le budella dell’ultimo dei preti”. Jean Meslier pre-illuminista ateo (“Il miracolo arriverà presto, con un altro prete, l’abate Meslier, finalmente riconoscibile come santo, eroe e martire della causa atea” Michel Onfray, Trattato di ateologia). Una versione leggermente diversa è sicuramente stata scritta da Denis Diderot. Il concetto, al di là di attestazioni e paternità intellettuali, esprime bene un certo sentimento antireligioso e anticlericale tipico dell’Illuminismo ateo (diverso è l’Illuminismo cattolico, di cui pochi parlano e che molti ancora negano). Se quello stesso sentimento fosse ancora presente nel Ventunesimo secolo? Sembra che la Chiesa sia di moda solo quando vale la pena attaccarla, denunciarla, criticarla. I mangiapreti sono figli del cattivo giornalismo e della buona propaganda e colgono ogni occasione per prendersela con il Vaticano. L’esempio più sistematico e ottuso è stato l’attacco a Benedetto XVI nel corso di tutta la sua parabola da pontefice – qualcuno, come Paolo Flores D’Arcais, anche da prima – e che portò i più a credere che il papa dell’amore agostiniano e della ragione fosse in realtà un bigotto amico dei pedofili. A nulla sarebbe servito ricordare che proprio Ratzinger, prima come prefetto della Congregazione per la dottrina della feda e poi come papa, era stato davvero il “rottweiler di Dio”, soprattutto contro i casi di abuso, non solo improntando la sua attività all’interno del Vaticano in un’ottica di “tolleranza zero”, ma denunciando pubblicamente (era la Via Crucis del 2005) la “sporcizia nella Chiesa” e chiudendo il caso Maciel, sul fondatore dei Legionari di Cristo. Un altro caso eclatante. Sempre Benedetto XVI verrà accusato di essere nazista per via di una presunta vecchia foto del teologo con il braccio teso. Peccato che la foto, tagliata e diffusa senza verifica anche da alcuni giornali, ritraeva Joseph Ratzinger e suo fratello Georg durante la celebrazione di una messa nel 1951. I due fratelli avevano infatti entrambe le braccia alzate. E non è possibile consigliare ai critici di leggere la biografia scritta da Peter Seewald – oltre mille pagine – in cui si può scoprire come la famiglia di Ratzinger sia stata sempre, come gran parte della loro comunità, critica nei confronti del nazismo (semmai legato a una forma di cristianesimo positivo e antiebraico che mai riguarderà Benedetto XVI).
Poi ci sono le nuove dosi di cospirazionismo necessarie per la solita propaganda anticlericale, di notevole fascismo ma di scarsissima attinenza. Peccato che poi, una svolta confutate, queste tesi riescono a rimanere nell’aria e, anzi, della confutazione nessuno dà notizia. Un caso eclatante e recente riguarda la Chiesa canadese. Il 27 maggio del 2021 il capo Rosanne Casimir della Tk’emlúps te Secwépemc First Nation denunciò la presenza di fosse comuni sotto un college cattolico. Grazie alla tecnologia Gpr (Ground Penetrating Radar), infatti, si parlò della presenza di 215 resti di bambini sotto la Kamloops Indian Residential School, il più grande centro scolastico della zona fino al 1969. La notizia venne data immediatamente per vera. Cosa c’è di strano nella presenza di oltre duecento cadaveri di bambini sotto a un edificio della Chiesa? Nulla a quanto pare. Il giorno dopo il New York Times dedicò un pezzo al caso intitolato “Una storia orribile” e in Italia tutti i giorni – tutti – ripresero la notizia. Il 6 gennaio all’Angelus Papa Francesco chiese scusa e pochi giorni prima il premier canadese Justin Trudeau impose le bandiere a mezz’asta in segno di lutto per la drammatica scoperta. Da quel momento a oggi, a volerci vedere solo uan casuale correlazione, novantasei chiese sono state bruciate in Canada. Una cosa vergognosa che Trudeau giustificò in nome di una “rabbia reale” dettata dal “passato vergognoso di cui siamo tutti sempre più coscienti”. Il problema? Nessun corpo sotto il collegio. La stessa coordinatrice della ricerca con Gpr, Sarah Beaulieu, negò che i rilievi avessero fornito evidenze di bari o resti di corpi umani. Semplicemente il terreno mostrava delle irregolarità sotto il frutteto della scuola, dove nel 1924, si scoprirà successivamente, venne allestito un campo settico. Un altro sito verrà scavato per gli stessi motivi ma anche in quel caso: nessuna evidenza. Si parlò subito di “genocidio culturale”, altro termine di moda in questo periodo. I capi di alcuni gruppi della popolazione indagine hanno poi ammesso che i numeri anche di altri casi fossero esagerati ma anche questo non è bastato. In Italia la notizia della “chiusura” di questo caso, tanto assurdo quanto convincente, è stata data solo da Il Foglio e da Tempi. Ma come, non è stata una notizia allarmante nel 2021, trattata anche dall’ultimo dei blog di provincia?
Infine il caso Orlandi, la più grande produzione cinematografica e complottista mai realizzata, tenuta in piedi da un dolore reale e da un mucchio di presunte evidenze, spesso in contraddizione tra loro, mai smentite pubblicamente, mai rifiutate come platealmente fantasiose e, soprattutto, sfruttate per costruire una storia romanzata e cupa intorno a un caso di sparizione né raro né unico. Inchiesta che sembrava potesse essere gestita, fino al passaggio del comando a esperti di antiterrorismo, come un semplice caso di rapimento o omicidio, o tentato abuso finito male. Qualcosa che avesse a che vedere anche un parente, una persona vicino a Emanuela, qualcuno che potesse poi sparire. Invece entrò in gioco il Vaticano e, successivamente, la pista si allargò al punto da coinvolgere quasi tutte le sfere, fino ad arrivare, forse, a Papa Giovanni Paolo II stesso. Peccato che le domande più elementari siano sempre rimaste senza risposta. Uno: poniamo che fosse l’ennesimo caso di pedofilia dentro alla Chiesa. Perché comportarsi con 999 bambini allo stesso modo (nascondere, infangare, circuire, gestire nel silenzio e mantenendo un profilo basso tutto il tempo necessario) per poi scegliere con un caso tra i tanti, quello di Emanuela, di organizzare un giro interminabile che avrebbe fatto finire la ragazza, tra l’altro, a Londra, creando un’emergenza per la sparizione di una ragazzina minorenne? Due: come spiegare l’eccezionalità del caso della Orlandi di fronte ai i risultati di uno studio condotto dall’agenzia di esperti NeuroIntelligence e curata dai criminologi Franco Posa e Jessica Leone su richiesta di Valter Biscotti e riportati da Dagospia a luglio del 2023? Si può leggere: “Prendete come centro la Basilica di San Pietro, tracciatevi intorno una circonferenza di un chilometro e mezzo: tra maggio e giugno del 1983, da dentro quel perimetro, sono scomparse sedici ragazze, tra le quali Emanuela Orlandi, con un'età tra i quattordici ed i diciotto anni. […] Se appena appena si allarga il cerchio, ma neanche più di tanto, e vi si aggiungono due o tre quartieri limitrofi, dal 1982 al 1983, lo studio accerta che nell'area geografica presa in considerazione i casi identificati salgono a 34, tutte ragazze con una età media di 15,7 anni. Nessuna è mai stata ritrovata”. Si parla anche, in modo chiaro, di altre piste, arrivate in mano del fratello di Emanuela, Pietro Orlandi, direttamente da prelati e figure interne al Vaticano. E che dire del presunto fascicolo sul caso Orlandi ben visibile sulla scrivania del braccio destro di Benedetto XVI, monsignor Georg Ganswein? Peccato che questo sollevi un’altra domanda: quarant’anni di segreti e poi il segretario del papa teneva i documenti sul caso in bella vista nel suo ufficio?
Quello che emerge, in modo tanto chiaro quanto comico, è il meccanismo seriale e pseudoilluminista volto a infangare la Chiesa e le sue figure eminenti, quelle che, in un modo o nell’altro, come Benedetto XVI, avrebbero potuto mantenere questa istituzione solida in un periodo di crisi. E sembra che, almeno in Europa, visto il crollo di nuovi fedeli registrato, il tentativo di distruggere la fede attraverso un attacco alla cieca stia dando i suoi frutti. Allora viene in mente l’Allegoria della Chiesa trionfante di Elia Naurizio (siamo nella prima metà del Seicento), una nave affollata e resistente, che dura da oltre mille anni. Qualcosa che il pettegolezzo ideologico, la bava dei mangiapreti, non potrà davvero distruggere.