Continuano a far discutere le vicende interne alla famiglia Agnelli-Elkann, e cioè la faida che da anni mette gli uni contro gli altri Margherita Agnelli (madre) con John, Lapo e Ginevra Elkann (figli); ma chi pensa che si tratti di una semplice lite tra parenti, beh si sbaglia, si sbaglia di grosso. In ballo ci sono miliardi di euro, quelli delle eredità di Gianni, l’Avvocato, e sua moglie Marella Caracciolo, ma da qualche giorno ci sono anche società segrete sparse in paradisi fiscali, e una presunta frode dal valore di 4 milioni di euro, in cui c’entrerebbe anche John, il nuovo capofamiglia (ora iscritto nel registro degli indagati). Intanto, gli avvocati dei tre figli puntano il dito verso Margherita, accusandola di essere “mamma che perseguita i figli e i genitori” (come riportano tutti - o quasi - gli organi di stampa). E come se non bastasse, ad alimentare ancora di più questo grande incendio, c’è anche la questione automobilistica, i problemi con il Governo Meloni, e continue richieste di sussidi allo stato italiano, e tanto altro ancora. Ma se i problemi di famiglia si risolvono sempre in famiglia, o in tribunale, i problemi della Fiat, o Stellantis che dir si voglia, sono invece nazionali. E per questi Maurizio Belpietro, direttore del quotidiano La Verità, avanza una soluzione: “Ora la famiglia (Agnelli, ndr) ci ridia l’Alfa: con un partner può risorgere”.
Già, perché mentre gli Agnelli e gli Elkann (e in parte anche i de Pahlen) si sbranano sulle due eredità e sul controllo della cassaforte di famiglia Dicembre, questa analizzata nei giorni scorsi dalla guardia di finanza di Torino, il Paese deve fare i conti con il presunto addio della storica fabbrica automobilistica torinese, che sembrerebbe aver scelto la via della de-industrializzazione. “Mentre a Torino infuria la battaglia per l’eredità - scrive Belpietro -, […] John Elkann chiede soldi per non chiudere alcuni stabilimenti del gruppo. […] La minaccia - continua il giornalista - è stata anticipata da una lettera che il gruppo automobilistico ha spedito ai fornitori, invitandoli a trasferirsi in Marocco, dove l’azienda ha intenzione di dirottare parte della propria produzione. Qualora Giorgia Meloni decidesse di acconsentire alle richieste non fermerà il trasloco - commenta Belpietro -, ma regalerà soltanto qualche altro miliardo alla famiglia Agnelli e ai suoi soci”. Intanto lo storico stabilimento di Mirafiori è già entrato in cassaintegrazione, la nuova Panda verrà prodotta in Serbia (e a Pomigliano rimarrà la Pandina), per non parlare della 600 in Polonia e così via. In Italia rimane nulla o poco, se non qualche fabbrica desolata. Ma esiste una soluzione? “Forse il declino dell’ex Fiat – si legge sempre su La Verità - può essere l’occasione per far nascere qualcosa di alternativo”.
Belpietro porta l’esempio della svedese Volvo, che “qualche anno fa […] fu venduta agli americani della Ford e poi alla cinese Geely. In tanti - sottolinea il giornalista - pronosticavano la fine dell’azienda. In realtà, a dieci anni dal passaggio di mano, Volvo vende più di prima […] Che voglio dire? Che nei panni di governa comincerei a pensare di favorire l’arrivo in Italia di un gruppo che possa essere alternativo alla Fiat”. E così Belpietro fa il nome di un’altra storica azienda automobilistica italiana, ovvero Alfa Romeo (sempre parte del Gruppo Stellantis). Nel suo articolo ricorda di quando “l’Iri di Romano Prodi, invece di vendere l’Alfa Romeo alla Ford, la cedette alla Fiat”, e poi anche di quando “qualche anno fa, i tedeschi dell’Audi si fecero avanti per rilevare l’Alfa e farla risorgere, ma Marchionne disse no”. Ma adesso, “siccome il futuro della Fiat è la ritirata dall’Italia - scrive il direttore -, bisognerebbe convincere i signori degli Agnelli a mollare ciò che hanno praticamente ricevuto in regalo […] e consentire che un gruppo straniero, magari cinese, faccia ciò che John Elkann non vuole fare, ovvero investire nel nostro Paese”. E a proposito di investimenti in Italia e di incentivi per l’acquisto di automobili green (o meno), il ministro delle imprese e del made in Italy Adolfo Urso, durante il question time alla Camera, ha voluto far chiarezza sulla questione: “In passato quasi l’80% degli incentivi, risorse pubbliche, sono andati ad acquistare modelli prodotti all’estero, importati e immatricolati in Italia. Se questo dovesse accadere anche quest’anno l’anno prossimo destineremo tutte le risorse del fondo automotive a incrementare e incentivare la produzione e non più i consumi” (fonte Ansa).