Oltre ai Carabinieri del Ros e ai magistrati della Procura di Palermo, anche qualche giornalista è stato in questi anni alle calcagna del super-latitante di mafia Matteo Messina Denaro. Un’inchiesta andata in onda sul piccolo schermo di recente, sabato 15 ottobre 2022, si intitolava “Caccia all’ultimo padrino”, e la firma è di Nello Trocchia. Raggiunto a poche ore dalla notizia dell’arresto che ha fatto il giro del mondo, Trocchia ripercorre mentalmente una latitanza che aveva fatto tappa in vari punti d’Italia e del mondo, fra depistaggi, connivenze e intrecci che hanno fatto di Messina Denaro un mito in negativo, il boss imprendibile che invece, ieri, a trent’anni precisi dalla cattura di Totò Riina, è stato preso.
Nello, come si è arrivati solo oggi, dopo trenta lunghi anni, a mettere le mani sull’ultimo padrino?
All’arresto di oggi si arriva dopo trent’anni di latitanza. In questi tre decenni c’è in parte una sconfitta dello Stato e delle istituzioni e, di contro, il potere e l’omertà che ha aiutato Matteo Messina Denaro. Una latitanza non si fa mai da sola, ma con chi ti porta i viveri, chi ti protegge, con chi ti ha curato negli anni, e quello sanitario rappresenta uno dei segmenti in cui i poteri mafiosi si sono radicati da anni come hanno dimostrato le indagini negli anni scorsi.
Quali sono stati gli errori commessi in passato che hanno permesso al boss di farla franca per tutto questo tempo?
Ci sono stati degli errori clamorosi che hanno accompagnato la lettura del potere criminale di Messina Denaro, che è stato condannato per le stragi del ’92 in primo grado solo due anni fa, ed era stato imputato solo cinque anni fa. Prima non era stato considerato dagli inquirenti tra i responsabili di quelle stragi. Questo ha costruito un’aura di impunità, il che ha consentito a questo boss di non essere ricercato come il “primus inter pares” rispetto a Totò Riina e Bernardo Provenzano, ma come fosse stato uno degli altri… Invece stiamo parlando del figlioccio di Riina, che gli aveva affidato le redini di Cosa Nostra e la visione sanguinaria e stragista a differenza di Provenzano, il “diplomatico”, il “mediatore”. C’è stata quindi una sottovalutazione finita financo nelle aule di giustizia, sul suo profilo e sul suo ruolo nella stagione delle stragi. Inoltre, c’è anche l’elemento per cui Messina Denaro è stato capace di creare rapporti con l’imprenditoria, permettendogli così di avere anche i soldi per gestire la latitanza.
Esiste perciò, come sottolinea Nando Dalla Chiesa, una società civile ancora pesantemente condizionata da complicità e omertà, accanto ai palermitani che oggi applaudivano i carabinieri e stringevano loro le mani.
Certo, e la cattura di oggi ne è la riprova. Teniamoci perciò tutti gli strumenti a disposizione per indagare, teniamoci le intercettazioni, piuttosto che chiedere di continuo di revisionarle, e teniamoci pure il trojan, pur usato con tutti i riguardi per i altri diritti, e mi riferisco anche alle indagini per corruzione. Perché se si riducono questi strumenti in questo campo, di fatto si fa un regalo indiretto alle mafie perché quando parliamo di medici, infermieri e in generale personale delle professioni compiacente con il crimine organizzato, spesso non direttamente possono rispondere di reati di mafia, ma si trovano in quel retroterra di disponibilità, corruttela e connivenza che è terreno fertile per i mafiosi.
La famosa “zona grigia”. Come si può combatterla efficacemente?
La zona grigia la colpisci solo con questi strumenti, e invece non passa giorno che vengono messi in discussione, addirittura con una riforma Cartabia che prevede reati a querela di parte per i reati di tipo mafioso. Abbiamo un po’ dimenticato il contrasto ai fenomeni di mafia e criminalità organizzata. Vuoi perché non abbiamo più assistito a delitti eccellenti, vuoi perché sono passati anni dalle stragi di mafia. L’arresto di Messina Denaro è una grande notizia, ma ci dimostra che è stato latitante fino a ieri perché c’è un sistema diffuso di complicità che non solo siciliano, ma è esteso a tutto lo Stivale. Gli anni di latitanza il boss catturato ieri li ha fatti in Toscana, in Lombardia, all’estero, facendo la bella vita, trovando anche lì chi lo copriva e lo proteggeva. La “linea della palma” di cui parlava Leonardo Sciascia è stata abbondantemente superata da decenni. Per questo bisogna tenere altissima la guardia, anche se la mafia non spara più per strada.
Mi stai dicendo che quello di oggi è un segnale di forza che in realtà nasconde una debolezza ultradecennale, da parte dello Stato?
La debolezza dello Stato è di averlo preso solo ieri. Ciò significa che fino a ieri esisteva un sistema di collusioni che teneva libero un latitante condannato per le stragi che hanno insanguinato il nostro Paese. Dove c’è la mafia, c’è silenzio, e dove c’è silenzio, alligna la corruzione.
Perché beccarlo proprio adesso? Cos’è cambiato, rispetto a un anno o a tre o a cinque anni fa?
Diciamoci le cose in franchezza. È chiaro che in ogni arresto che abbiamo raccontato c’è stato – penso al covo di Totò Riina – un’evidente opacità, sono stati commessi errori gravi che hanno compromesso la capacità di ricostruire le responsabilità esterne delle stragi. Questo è indubbio. Ed è altrettanto indubbio che a ogni arresto di un latitante ci sono equilibri che evidentemente sono saltati, strutture criminali e contesti che si modificano. È palese che non ha retto più la rete di protezione che copriva Matteo Messina Denaro, perché altrimenti non arrivavano fin dentro la clinica, sarebbe stato avvisato. Come è certo che per un malato anziano come lui è più difficile tenersi libero, considerando che in questi anni i magistrati e le forze dell’ordine non sono state a guardare. Hanno comunque fatto terra bruciata.
Nelle tue ricerche giornalistiche avevi “fiutato” qualcosa?
Ricordo la frase di un suo amico condannato che è stato per vent’anni in carcere per associazione mafiosa, che andai a intervistare per uno degli speciali su Messina Denaro: mi disse “è vivo, perché se fosse morto avrebbero riconsegnato il corpo”, così quel territorio non sarebbe stato più investito da continue indagini. E infatti era, ed è, vivo. Ora bisogna ricostruire le fasi che hanno portato al suo indebolimento dal punto di vista criminale, facendo chiarezza sul fatto che il suo arresto sancisce la fine di una stagione.
E in quale nuova stagione ci troveremmo, ora?
È un segnale anche a quei pezzi di apparato, pezzi di Stato, pezzi di istituzioni che hanno talvolta pattinato negli ambienti del crimine, a volte anche a fin di bene, ma comunque generando effetti devastanti. Penso alla trattativa Stato-mafia, benché non abbia prodotto giudiziariamente delle condanne. Ora il punto vero per capire se possiamo assimilare la cattura di Messina Denaro a quelle di Riina e Provenzano, cioè grandi fuochi d’artificio e tutti contenti per l’arresto e perché ora pagherà per gli orrori di cui è colpevole, ma anche effetto zero per lo Stato, perché Riina e Provenzano non hanno collaborato, non hanno rivelato nulla.
Rischiamo di festeggiare l’arresto di un criminale per poi trovarci con un pugno di mosche in mano?
Si deve far luce sui segreti che custodisce, a cominciare dalla mole di documenti scomparsi dal covo di Riina che, secondo alcuni collaboratori, è stata nelle disponibilità di Messina Denaro. C’è da mettere le mani su quelle carte, lo Stato deve fare in modo che lui riveli finalmente la verità piena sulle stragi, sui mandanti esterni e sulle entità esterne. Per la strage di Firenze c’è ancora un’indagine aperta in fase preliminare, dopo che altre Procure ne avevano aperte e archiviate tre a carico di un ex Presidente del Consiglio e di un ex senatore della Repubblica, cioè Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri. Anche a garanzia di costoro, si faccia chiarezza piena per capire chi o cosa o in che modo pezzi dello Stato abbiano contribuito a quella stagione stragista. L’arresto di Matteo Messina Denaro deve aiutarci a sapere se c’erano altri soggetti esterni legati a quelle bombe, perché ormai è chiaro che c’erano. Chi sono? E perché erano presenti in attentati che non hanno solo ucciso Falcone e Borsellino e gli agenti delle scorte, ma ha ucciso anche a Roma, Milano e Firenze? Quest’anno è l’anniversario di queste stragi, di cui Messina Denaro insieme ai Graviano è stato il principale responsabile. Sarà giorno di vera festa se riusciremo a carpire a Matteo Messina Denaro chi erano gli altri che hanno gioito quando saltavano in aria servitori dello Stato e vittime innocenti.