È passato un anno dall’attacco di Hamas contro Israele. Il 7 ottobre 2023 il gruppo terroristico che attualmente governa Gaza ha ucciso (in alcuni casi prima torturando, violentando e mutilando) 859 civili israeliani e 278 soldati, mentre nelle stesse ore 250 persone, tra cui 30 bambini venivano rapiti e portati nella Striscia, completando il più grande pogrom ebraico dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Israele ha subito risposto, facendo scoppiare una guerra che ha portato rapidamente a un numero altissimo di vittime sia civili che militari a Gaza e oggi il conteggio è di circa 42 mila morti sotto i bombardamenti dell’esercito israeliano (Idf). Ora la guerra sembra si stia estendendo in Libano e Iran, due dei Paesi più coinvolti negli scontri con Israele, che nel corso dell’ultimo anno ha bloccato oltre 10 mila missili sparati da Hezbollah (un gruppo terroristico nascosto in Libano, considerato più potente di molti eserciti regolari di altri Paesi arabi). Le proteste, le manifestazioni e i boicottaggi dimostrano che l’Occidente è diviso su questa guerra. E la stessa “guerra civile” delle opinioni riguarda anche la nostra redazione
Di seguito due pezzi a confronto sul conflitto israelo-palestinese. Quello del filosofo Paolo Becchi e quella del nostro autore Riccardo Canaletti
Israele se ne fotte del diritto internazionale
di Paolo Becchi
7 ottobre. Un bilancio a un anno di distanza dall’inizio della guerra in Medio Oriente. A un anno esatto di distanza dall’inizio della guerra in Medio Oriente questa, in breve, è la situazione. La striscia di Gaza è sparita dalla cartina geografica, con quasi tutti i suoi abitanti. Hamas non esiste più. Hezbollah neppure. Lo Yemen è stato avvertito. Dopo aver fatto fuori il Presidente dell’Iran, Ebrahim Raisi, oggi [7 ottobre, ndr] si attendono bombardamenti su obbiettivi iraniani importanti. Tutto sta avvenendo ora con una rapidità che lascia basiti gli avversari. Reagiscono simbolicamente e in questo modo dimostrano solo la loro debolezza rispetto al nemico, che così si sente sempre più forte e libero di agire in modo sempre più spericolato. Se si esclude questo ultimo episodio tutto avviene in questi giorni con grande rapidità, sfruttando una occasione imperdibile: l’attentato terroristico di Hamas.
Una cosa bisogna pur riconoscerla allo Stato di Israele: la guerra la sa fare e spesso nel passato l’ha anche vinta. Certo è una guerra sporca, che non risparmia nessuno, ma le guerre oggi - bisogna pur riconoscerlo - non hanno più nessuna regola, il coinvolgimento dei civili è diventato la regola, con il massacro di donne e bambini incluso. Come andrà a finire questa guerra in Medio Oriente nessuno lo può sapere, ma al momento bisogna pur riconoscerlo: Israele ha raggiunto tutti i suoi obbiettivi.
Israele in pratica sta ridisegnando l’ordine politico mediorientale e il primo concorrente nella Regione, l’Iran, accetta più o meno passivamente tutto. Bisogna pur riconoscere che lo Stato di Israele la guerra la sa pur fare e la vince anche. Ah, ma il diritto internazionale… dicono alcune anime belle. Gli israeliani se ne fottono del diritto internazionale, uccidono, massacrano, radono al suolo intere città con tutti gli abitanti dentro, intervengono militarmente in altri Stati, del principio di autodeterminazione dei popoli, di quello palestinese in particolare, se ne fottono. Per loro esiste solo un popolo: il loro. Sono determinati e vincono con guerre rapide, veloci.
E i nemici? Beh, loro stanno a guardare, dimostrando in questo modo la loro impotenza. Grandi manifestazioni, parole guerriere, due o tre missili per dimostrare che esistono ma tutto qui. Credo che Aleksandr Dugin non abbia tutti i torti quando scrive che i russi dovrebbero trarre qualche insegnamento da quello che sta succedendo in Medioriente. Sono passati più di due anni e Volodymir Zelensky è sempre al suo posto. Ok, ok situazioni diverse, ok, ok, si sa, lo Stato di Israele ha sempre fatto tutto quello che ha voluto per le vicende ben note, ok, ok, ci vuole prudenza e pazienza. Tutto ok, ma Zelensky è ancora lì e tra un po’ lancerà anche i missili Nato su Mosca. Allora non sarà più tutto ok, ma forse sarà anche troppo tardi.
Un anno dal 7 ottobre e dall’attacco di Hamas contro Israele: l’odio contro gli ebrei, le accuse di genocidio e una verità che non volete sentire
di Riccardo Canaletti
Quest’immagine ovviamente non c’entra nulla con quanto sta accadendo in Medio Oriente tra Israele, Hamas e Hezbollah (Libano). È stata una pura associazione di idee. Mentre pensavo a questo articolo ho visto l’ultimo post della pagina ufficiale dell’Aushwitz Memorial. Si tratta della rampa ferroviaria che portava a Aushwitz II-Birkenau, costruita nel 1944, poco prima della deportazione degli ebrei ungheresi a maggio dello stesso anno. Mi sembra che la foto sappia dirci più di quel che accade a Gaza e in Libano di quanto non sappiano fare alcuni analisti e certi giornali. Alla fine c’è una verità scomoda che non riusciamo a pronunciare, ma i nuovi attacchi in Libano la dimostrano in modo incontrovertibile. La verità è che odiate Israele perché sa difendersi.
Pensiamoci. Per un anno si è detto che i bombardamenti a tappeto di Israele su Gaza erano un genocidio. La notizia dell’evacuazione del nord di Gaza è stata usata come critica verso Israele, quando l’evacuazione era seguita invece agli avvertimenti israeliani di evacuare quelle zone. Non si è mai tenuto conto del fatto che i militanti di Hamas si stessero nascondendo tra i civili, senza indossare uniformi e senza dare nell’occhio (come i terroristi di Hezbollah che sono stati uccisi e feriti dai loro cercapersone; ma ci arriviamo dopo).
Ci siamo subito fidati delle stime dei ministeri palestinesi gestiti da Hamas, che ora danno come numero ufficiale circa 41 mila morti, ma non ci siamo mai chiesti se questo numero facesse differenze tra civili morti e soldati. Non ci siamo neanche mai fidati delle stime di Israele, nonostante Israele stesso concordasse, leggermente al ribasso, con i numeri dati da Hamas. Bene, nessuno si sta chiedendo quanti terroristi di Hamas siano morti. A maggio Hamas aveva dichiarato di aver perso tra i 6.000 e gli 8.000 combattenti, mentre Netanyahu parlava di 14 mila su circa 30 mila morti totali. Ora l’Idf ha dichiarato di essere in possesso di una corrispondenza tra i capi di Hamas in cui si direbbe che i combattenti morti potrebbero essere 17 mila su 41 mila vittime. Hamas non ha né confermato né smentito la stima.
Volendo essere davvero scettici sui numeri della democrazia israeliana e fidandoci solo di quelli forniti dal gruppo terroristico Hamas, potremmo anche confrontare il numero morti totali attuale e il numero di combattenti morti a maggio, quattro mesi fa. Sul totale dei morti, il 19,51% sono combattenti. Questo vuol dire che l’80,48% delle vittime sono civili. Questo numero, per un conflitto in un’area urbana com’è Gaza, è più basso della media di tutti i precedenti conflitti secondo le Nazioni Unite.
Gli studi mostrano infatti come, nel caso di conflitti urbani, il numero di civili uccisi sia circa il 90% del totale (o 89%), una percentuale otto volte superiore a quella nei conflitti non urbani. Poniamo che ci siano più morti di quelli dichiarati e che la percentuale di combattenti di Hamas uccisi sia rimasta – miracolosamente per Hamas – invariata negli ultimi quattro mesi. Potremmo arrivare al 90%? Forse, in linea con tutti gli altri conflitti urbani registrati. Sono stati tutti genocidi?
Passiamo al caso del Libano. Per un anno Hezbollah, il gruppo terroristico nato con il dichiarato obiettivo di cancellare lo Stato di Israele, autore di svariati attentati fin dalla sua nascita (basti pensare al 1983, in Libano contro un contingente francese e nel Kuwait, poi nel 1985, un ristorante di Madrid, e nel 1986, tredici attentati in vari centri commerciali francesi), ha lanciato missili contro Israele. Per un anno ha fallito, pur costringendo circa 60 mila persona a evacuare dal nord dello Stato. A luglio Hezbollah, che ha ovviamente negato (rivendicando però altri sette attacchi), ha ucciso 12 bambini in un campetto da calcio in Golan con un razzo.
A settembre Israele ha scelto di attaccare in modo specifico Hezbollah facendo esplodere i cercapersone che da febbraio di quest’anno erano in dotazione ai militanti del gruppo (che distrussero i telefoni per paura di essere intercettati da Israele; ironia della sorte). I cercapersone sono probabilmente stati prodotti da una fabbrica gestita da Israele e i servizi segreti avrebbero costruito una copertura in questi mesi per poter conquistare un vantaggio contro Hezbollah. L’attacco è andato a buon fine. Come si è detto, Hezbollah, al pari di Hamas, si nasconde tra la folla, per cui ci sono stati dei feriti di civili e una bambina di dieci anni è morta.
Sono partite le polemiche e molti attivisti e alcuni giornali hanno definito l’attacco di Israele un’azione terroristica, dimenticandosi chi fossero i destinatari dell’attacco, cioè dei veri terroristi. Alcuni hanno persino evitare di nominare Hezbollah, parlando di un attacco contro civili libanesi. Se prima non andavano bene i bombardamenti a tappeto su Gaza, ora non vanno bene gli attacchi mirati. Come attacca, Israele sbaglia. Non c’è via d’uscita per lui. Ora il Libano sta assistendo a uno degli esodi più importanti della storia recente del Paese e ovviamente la colpa non può che essere dei bombardamenti di Israele contro le città.
Quali bombardamenti? Leggendo i giornali sembrerebbe si tratti dell’ennesimo attacco arbitrario di Israele. Ma non solo per un anno Israele ha fermato i missili che arrivavano dal Libano (dall’8 ottobre, a poche ore di distanza dall’attacco terroristico di Hamas), anche dopo l’attacco mirato contro Hezbollah ha dovuto fermare razzi diretti contro le città israeliane, tra cui Tel Aviv. La verità è che, in fondo, Israele è costantemente minacciato ma abbastanza preparato per difendersi. I suoi nemici, invece, adoperano strategie di difesa più sanguinarie (per esempio confondersi tra la gente, o abbandonare i civili mentre ci si nasconde in strutture sanitarie o in gallerie sotterranee). Quando poi attacca, Israele, che non sembra ferito, viene accusato di essere il bullo, non il ragazzo che ha imparato la difesa personale.
Poi la manifestazione del 5 ottobre. Con o senza i disordini con la polizia (provocati, indotti, inscenati, quel che volete), il problema è capire cosa alimenta queste manifestazioni. Intanto la necessità di contrapporsi al 7 ottobre come giorno di tributo alle vittime israeliane di un attacco terroristico. Primo segno di antisemitismo. Secondo sintomo: una delle pagine più seguite in Italia sul conflitto è quella dei giovani palestinesi, 128 mila follower, tra cui i santoni dell’informazione filopalestinese (Kharem from Haifa, Carlotta Vagnoli, Flavia Carlini). E un post recente in occasione del 7 ottobre: ritorno dell’intifada, e si definisce il pogrom ebraico del 7 ottobre un “eroico attacco da parte della Resistenza palestinese”. Chi definisce eroico un attacco del genere (un tempo Franco Piperno, tra i riferimenti del ’68 insieme a Toni Negri e altri, definì eroico l’attacco dalle Torri gemelle dell’11 settembre, per intenderci), vuol dire che non ha in odio le morti provocate da Israele, ma Israele stesso, ben prima della risposta di Israele a Gaza.
Israele sa difendersi e per questo viene odiato. Ci sarebbero molte critiche da fare al governo di Netanyahu, ma la maggior parte della gente ha scelto di recuperare i discorsi antisemiti che si facevano in Unione Sovietica. Israele è stato fin da subito solo, come ha notato – forse con troppa enfasi e retorica – Bernard-Henri Lévy nel suo ultimo pamphlet, Solitudine di Israele. E questa solitudine è anche la solitudine della ragione, mentre il “fascismo liberal” si unisce al fascismo islamico.