“Nella corsa dei cavalli basta mettere il musetto davanti. Nel calcio è uguale. Non c’è bisogno di vincere di cento. Musetto davanti, “corto muso”, semplice. Chi perde di “corto muso” arriva secondo, chi vince di “corto muso”, primo”. Nel 2019, quando era ancora allenatore della Juventus, Massimiliano Allegri rivoluzionava a sua insaputa il calcio spiegando una teoria elementare, quasi ovvia: nel gioco del pallone non conta vincere ogni partita di svariati gol di scarto, ma semplicemente arrivare in fondo alla stagione con almeno un punto davanti al diretto avversario. Apriti cielo: il tecnico della squadra più vincente d'Italia si accontenterebbe che la sua squadra facesse il minimo indispensabile per vincere? Follia, sacrilegio, besetemmia! In un mondo ossessionato dal guardiolismo e dai teorici della lavagnetta, fino a quel momento mai nessuno ai massimi livelli si permesso di mettere in discussione il “bel gioco”. Allegri lo ha fatto, ribellandosi al populismo del web e proponendo una filosofia concreta. Quella indagata da Giuseppe Alberto Falci nel suo ultimo libro “A corto muso. Max Allegri e gli altri. Il calcio diventa politica”, edito da Paesi Edizioni, dove emerge un ritratto inedito di un allenatore che assomiglia molto a un politico della Prima Repubblica Italiana, ma che al contempo ha saputo istituzionalizzarsi prendendo in prestiti i connotati di alcuni leader attuali.

Max è un allenatore strano: più alza trofei e più gli opinionisti lo criticano. Lo criticano perché per lui il calcio è una cosa semplice, dove non contano solo gli schemi ma anche la gestione dell'imprevisto, il saper cambiare in corsa, l'adattarsi alle situazioni. Se ci pensate bene queste sono caratteristiche che possiedono anche i politici di razza quando si ritrovano a gestire situazioni d'emergenza. E infatti Allegri assomiglia a un politico, o meglio, a più politici. Non si scompone mai come Matteo Renzi, e come il suo corregionale sa utilizzare l'ironia e la leggerezza, la comunicazione diretta e pure la stilettata. Così come l'ex Royal Baby del centrosinistra ha rottamato la vecchia nomenclatura del progressismo italiano, Max ha fatto dimenticare ai tifosi milanisti e juventini due mostri sacri della panchina del calibro di Carlo Ancelotti e Antonio Conte. Renzi e Allegri sono due outsider chiamati a far cambiare idea alla rognosa opinione pubblica italiana. Ma a ben vedere il tecnico livornese è anche ambizioso, sa quello che vuole, punta a ottenere il massimo, ha delle intuizioni geniali: ecco l'elemento berlusconiano. Come se non bastasse, Silvio Berlusconi è stato il primo vero leader moderno a polarizzare l'opinione pubblica del Belpaese. L'attuale allenatore del Milan ha fatto lo stesso nel calcio, suddividendo la platea in allegriani e anti allegriani.

Le affinità con i grandi personaggi della politica non finiscono qui. Allegri sa stare in silenzio come Giulio Andreotti ma è anche discreto e pragmatico come Bettino Craxi. Max, tra l'altro, ha un'altra peculiarità: è l'unico a contestare più o meno direttamente l'impalcatura che sorregge, non solo il calcio in sé, ma l'intera narrazione che se ne fa. Questo sport è stato quasi totalmente fagocitato dalla tattica, tutto può essere spezzetato e spiegabile dai “demiurghi del pallone”. Ecco, Allegri sta dalla parte opposta di dove siede l'allenatore alchimista, il “santone” elogiato dalla stampa di settore ma che, in fin dei conti, non vince un caz*o. L'utopia del “bel gioco” è il nuovo populismo calcistico, il “Movimento 5 Stelle del pallone” che tenta, in tutti i modi, di sabotare la realtà offrendo agli spettatori uno spettacolo che, in fin dei conti, ha un senso limitato. Max rifugge da tutto questo, è un reduce della Prima Repubblica e vuole sconfiggere i pupulisti mettendoli di fronte alla realtà: “Cosa vuol dire giocare bene? Io non l’ho ancora capito. Se qualcuno lo sa, me lo dica. Ci sono allenatori che vincono e altri che non vincono mai: ci sarà un motivo, no?". Non c’è più mestiere: sembra tutta teoria…
